ALA

--- Associazione Lavoratori Seniores d'Azienda --- GTE SIEMENS ITALTEL NOKIA-SIEMENS

Carmine Scavello: le sue “storie”

 

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello:

12 Ottobre 2024 – Gita Ala con visita a Novara, all’Abbazia dei Santi Nazario e Celso e alla Riseria Crespi di Nibbia – NO.

 Come di consueto i due organizzatori, Tina Marcantonio e Angelo Allevi, ci hanno proposto le visite in oggetto, concordate con l’Agenzia Viaggi Avvenire e organizzate nei minimi particolari. Novara è a due passi da Milano e tanti dei presenti non c’erano ancora stati a visitarla.

   Succede spesso di andare a visitare i luoghi lontani e lasciare per ultimi quelli vicini; poi, il tempo passa e, così, ogni lasciata diventa persa, disattendendo il famoso e vecchio detto popolare.

   Torno alla visita. Un’esperta guida turistica, di nome Patrizia, ci ha fatto vedere, illustrato e spiegato i punti più salienti di Novara, tipo il Castello Sforzesco, la Piazza del Duomo, il Duomo stesso, il Battistero, il Chiostro della Canonica, la Piazza delle Erbe, il Broletto e la Basilica di San Gaudenzio, che è anche il patrono della città.

   Non sto qui a spiegarli in dettaglio in quanto sono meglio descritti e documentati nei canali di ricerca, come anche non mi soffermo sulla sua storia, che è lunga e ben articolata.

   Cito, invece, alcune curiosità emerse durante la visita alla città. Novara è chiamata la città dei Sciavatin, perché è sede dell’Università dei Calzolai, ed è pure famosa in quanto è soprannominata la capitale del formaggio Gorgonzola, aromatizzato con le erbe. Non si può non citare pure che è la patria dell’aperitivo Campari, conosciuto in tutto il mondo e scoperto nell’antico Bar dell’Amicizia da Gaspare Campari nel 1860 e dei biscotti Pavesini, prodotti dalla ditta Pavesi. Se cercate il simbolo di Novara è presto trovato: è la cupola di San Gaudenzio di Alessandro Antonelli.L’attuale nome Novara deriva dal nome latino Novaria.

   Ho notato che la qualità della vita a Novara è abbastanza alta grazie agli spazi verdi e alle molte iniziative culturali e ricreative di cui è ricca la città. Chi viene a Novara non può non può non andare a fare una tappa, quasi obbligata, presso il Biscottificio Camparelli  per un assaggio e comprarne le confezioni. Ah proposito, si chiamano biscotti perché sono cotti due volte e già si parla di triscotto. Nella Piazza delle Erbe c’è un triangolino di granito bianco che risalta sul manto scuro: rappresenta il centro della città. E pensare che è stato trafugato, ma, poi, è stato ritrovato in un confessionale e rimesso al suo posto.

   A Novara circola la leggenda che nei cunicoli sotterranei del Castello Sforzesco sia nascosto il Cavallo Dorato disegnato da Leonardo da Vinci e commissionato da Ludovico il Moro. Si parla ancora del fantasma di Celestina, amante del fabbro Mazzagat e da lui uccisa per sbaglio, che di sera circolava nel vicolo dove era stata uccisa. E’ bastata un’immagine della Madonna sul luogo del delitto per farla scomparire.

   Dopo la sosta per il pranzo all’agriturismo della Cascina Sensi, abbiamo visitato il santuario del Santi Nazario e Celso. Qui ci ha accolto un ragazzo nei panni di giovane guida e ci ha illustrato la storia dell’edificio.

   Il clou della serata è stata la visita alla Riseria Crespi. Ci ha accolto il proprietario, il signor Serafico. L’attenzione è stata al massimo in quanto quel signore ci ha spiegato seraficamente dove, come e quando nasce, cresce e si miete il riso. Ci ha illustrato quante varietà di riso ci sono in commercio, le loro proprietà nutritive e il bisogno di tanta acqua che viene prelevata con un canale dal Lago Maggiore. E pensare che il livello del lago si abbassa di un centimetro al giorno, suscitando i reclami degli Svizzeri che si lamentano per i danni prodotti alla navigazione. Altra curiosità: si usano come concime del terreno gli scarti di lavorazione delle concerie delle pelli.

   E stato un piacere ascoltare Serafico, un uomo molto preparato su tutta la filiera del riso che ha colmato tante nostre ignoranze in materia. Ci ha fatto la domanda come si fa a capire se il riso che comperiamo è scaduto. Ci ha dato la risposta: verificare che a contatto con le mani non lasci polverina; che i chicchi siano integri, che non ci siano parassiti e che il colore sia originale.

Col consueto arrivederci alla prossima uscita, lo scrittore Carmine Scavello vi lascia augurandovi una piacevole lettura e buona, lunga e serena vita

9 Ottobre 2024 – Quadretto Letterario “La verità”

 Mio padre mi diceva che esistevano tre verità: esisteva la sua verità, esisteva la mia verità ed esisteva la verità. Allora non prestai molta attenzione alle sue parole, però, crescendo ho capito cosa intendeva dire. Così, ho paragonato la verità a una figura piana – tipo rettangolo o quadrato – perché mostra sempre la stessa e unica faccia, mentre la menzogna somiglia a una figura solida – tipo parallelepipedo o cubo – in quanto mostra più facce. Poi, più sono le facce del solido e più versioni ci sono della stessa verità.

    Bisogna essere convinti che la verità esiste altrimenti non perderemmo tempo a cercarla, anche se spesso qualcuno cerca di nasconderla per loschi interessi. Chi ci imbroglia ci nasconde la verità e ci convince della sua negazione.

    Quando una bugia viene ripetuta innumerevoli volte finisce per diventare una verità e tutti ci credono, perché non c’è contradditorio. In questo caso ci frega l’ignoranza e la cieca fiducia sulla fonte di informazione. La televisione ha il potere di entrare in tutte le case e le notizie se sono false passano per vere.

    Il pastorello che gridava al lupo al lupo, e il pericolo non era vero, pagò le conseguenze della sua menzogna quando il lupo arrivò veramente e uccise alcune sue pecorelle. Quando la gente viene presa in giro con false verità e se ne accorge in tempo, fa presto a voltare le spalle agli impostori: buoni sì e fessi no! La verità prima o poi viene sempre a galla perché la bugia ha le gambe lunghe e va velocemente a nascondersi. In pratica, la verità si fa strada da sola perché non può essere taciuta per tanto tempo.

    Un mio vecchio collega di lavoro mi mise in guardia sulla verità. Mi disse: Se vuoi conoscerla devi ascoltare due bugiardi. Mi raccontò pure questo enigma. Un viandante chiese la strada a un contadino per raggiungere una località sede di una piccola cappella votiva. Sapeva di essere in zona, ma mancava poco per raggiungerla e la segnaletica era molto carente. Il contadino gli disse che le uniche persone che conoscevano il luogo esatto erano due fratelli gemelli, perché l’avevano edificata loro e abitavano più avanti a pochi chilometri in una casa al centro di un bivio a forma di “Y”. C’era un problema però; i due fratelli erano gemelli e assai somiglianti, molto strani e schivi e con un difetto: uno diceva sempre la verità e l’altro la bugia e consentivano che venisse posta a loro una sola domanda. Il viandante ci ragionò su e chiese al primo che gli aprì la porta: quale strada mi consiglierebbe tuo fratello se gli chiedessi la giusta direzione per raggiungere la cappella votiva? Sarebbe bastato fare, per logica, il contrario.

    In generale la maldicenza non arreca grossi problemi alla persona onesta in quanto la verità è destinata a trionfare. Basta pensare alla piena di un fiume che copre tutto il suo letto, però, cessata l’inondazione, l’acqua si ritira e tutto ritorna asciutto come prima. Alla fine, chi perde la credibilità nessuno più gli crederà e l’inganno gli si ritorcerà contro. E’ come buttarsi la zappa sui piedi e convincersi che la verità viene a galla come l’olio.

     Possiamo non dire sempre la verità, ma c’è un caso che siamo obbligati a dirla ed è quando abbiamo di fronte il medico, l’avvocato e il confessore. Non dire la verità in questa circostanza si ritorcerà contro perché non si potrà contare sul loro aiuto, avendoli imbrogliati a nostro svantaggio.

     Mille probabilità e nessuna certezza non formano una verità, quindi non domandare mai al sarto che ti ha cucito un vestito come ti sta. La sua risposta è che ti sta benissimo a pennello. E’ bugiardo? Direi che è in mala fede per un suo tornaconto personale per nascondere qualche difetto. Coloro che non mentono mai sono lo specchio, perché riflette ciò che vede, e l’eco che rimanda indietro le parole che le urliamo. Se il sarto dicesse sempre la verità farebbe meglio a chiudere bottega.

     Quando veniamo a conoscenza casualmente o volutamente di un fatto dobbiamo avere la consapevolezza che ne conosceremo solo la parte che fa più comodo far sapere, mentre il resto rimane segreto perché certe verità non vengano esposte ai quattro venti.

    Se vuoi sapere la verità bisogna ascoltare i bambini, i matti e gli ubriachi. Quando il cervello non è connesso, la lingua non ha freni a spifferare quelle verità che vanno tenute segrete.

     Un giorno una persona mi ha detto di avere detto la verità e le è stata sbattuta la porta in faccia ed è stata considerata cattiva e ingrata. Poi, ha aggiunto: chi me lo ha fatto fare! Quindi, si è fermata a riflettere e si è tranquillizzata in quanto col suo coraggio si era tolta un peso dallo stomaco e dal cervello al pensiero che tanti per vigliaccheria o per comodità prediligono nascondere pure ciò che ovvio. 

     Chi ha in mano l’informazione ha in mano il potere. Certe verità non vengono svelate per non perdere il consenso o per non creare allarme sociale. Aspettano che le acque si calmino per trovare tutto il tempo a cercare soluzioni alternative e allargare così le maglie dei controlli per far rientrare i parametri di riferimento.

    Certe persone preferiscono vivere nell’ignoranza e non conoscere la verità per non vedere sfumare i loro sogni e le loro illusioni. Vanno contro corrente rispetto a coloro che invece prediligono soffrire, sapendo la verità, piuttosto che essere contenti e accontentarsi delle bugie. La verità è appannaggio dei coraggiosi che non hanno paura di assumersi le proprie responsabilità.

     Spesso la strada che conduce alla verità è tortuosa e piena di buche; se fosse liscia come l’olio tutti la direbbero e non la nasconderebbero, avendo la certezza di non subire conseguenze a svelarla e a farne una bandiera. Ci vuole coraggio, invece, a cominciare a cercarla fino in fondo e a non abbandonare l’impresa a metà strada. Gli ingannatori, i manipolatori, gli imbroglioni e i ricattatori godrebbero e troverebbero pane per i loro denti se la gente credesse alle favole e agli asini che volano.

Buona lettura e buona vita

05 Ottobre 2024 – Convegno 2024 a Casale Monferrato
Cari amici,
questo appuntamento a cadenza annuale è come se fosse il compleanno dell’ALA. Il nostro presidente Daniele Roderi ci ha comunicato che l’associazione è solida e conta circa trecentocinquanta soci. Al convegno attuale eravamo presenti in centoventicinque; più o meno come lo scorso anno.    
Apprezzo lo sforzo degli organizzatori in quanto trovare un ristorante capiente che possa accogliere un numero così grande di partecipanti non è facile e, poi, c’è il rapporto qualità prezzo.

    Ad ogni modo la scelta caduta su Casale Monferrato è stata gradita; non ho sentito voci in contrario. Questa cittadina ha meritato di essere visitata per la sua storia, per la posizione geografica e per la ricchezza del suo patrimonio artistico. Sara, la guida turistica del mio gruppetto, ha seguito un percorso che ci ha condotto nei posti più caratteristici della città. Ci ha raccontato tutte le vicissitudini storiche e i vari personaggi che si sono succeduti nel tempo al potere. Ci ha illustrato alcune caratteristiche e curiosità di Casale: la sua posizione geografica sulle rive del Po; il nome Monferrato che deriva da Mons Pherrathus per le sue terre ricche di farro; zona ricca di vini; e patria dei famosi biscotti Krumiri rossi. Ah proposito, l’ALA ce ne ha offerto un assaggio insieme al caffè nella sede storica, che sorge sulla grande piazza Mazzini.

    Nel pomeriggio ci siamo spostati a Cereseto – distante dodici chilometri – per recarci nel ristorante “Monferrato Resort”. Questo è stato il vero punto di incontro che ci ha riuniti in quanto prima eravamo divisi in piccoli gruppi ognuno legato alla propria guida e viaggiato su piccoli autobus perché la stradina di collegamento al ristorante era molto stretta.

    In questo grande salone abbiamo assaggiato i prodotti tipici della zona e avuto la possibilità di salutarci tra una portata e l’altra e aver rinfrescato la memoria dei nomi e dei volti degli ex colleghi e la loro posizione lavorativa. Un momento di commozione ha attirato l’attenzione di tutti i presenti quando il presidente Roderi ha ricordato la figura carismatica del nostro amico e pilastro dell’ALA Gianpiero Furlan. Per chi volesse leggere o rileggere la lettera che ho scritto per ricordare la sua figura di uomo buono, generoso e disponibile, la trova al link nella pagina Scavello scrive o vada su Google e scriva “carmine scavello e le sue storie” e faccia scorrere fino a trovarla.

    All’andata e al ritorno siamo passati davanti Mamma GTE, riconoscibile dalla torre, che è l’unico vessillo rimasto in piedi dopo l’abbattimento dell’intera struttura. Con la fantasia dietro quelle nuove costruzioni abbiamo immaginato i luoghi simbolo che caratterizzavano la struttura aziendale: Gli Uffici, Il Capannone, la Mensa, il Laghetto con i germani, Fort Apache, il Lazzaretto, il Bunker, il Building, la Piscina, le Acque … il Morteo.

    Mi sono tornate in mente i personaggi buffi e le storie divertenti raccontate in una parte del mio nono libro “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita”. Il protagonista principale Francesco, nome inventato, è un nostro collega che ha lavorato in GTE/Siemens per un ventennio negli anni Settanta/Ottanta. Costui è attore e spettatore diretto e indiretto di tante storie e fatti qui ambientati che rasentano la fantasia umana. Sembrano usciti dalle trame di film di commedie all’italiana e di spettacoli di cabaret, invece i personaggi erano in carne e ossa. Il divertimento è assicurato in quanto di personaggi strana l’azienda ne era piena.
Arrivederci al prossimo anno e buona, lunga e serena vita a tutti.

20 Settembre 2024 – Quadretto letterario: “Il Dovere”
Per cominciare a trattare l’argomento mi servo del discorso che fece Vincenzo, uno dei due protagonisti del mio decimo libro, il romanzo “Maestri di scuola e di vita senza tempo”. Rivolto ai suoi alunni disse: Oggi vi parlo del dovere. Per il buon funzionamento della classe occorre che io come maestro venga tutti i giorni a scuola col dovere di insegnare, di non scaldare la sedia e non di guadagnarmi lo stipendio a tradimento. Voi come alunni avete il dovere come me di venire ugualmente tutti i giorni a scuola con l’intento di imparare, di stare attenti alle lezioni, di rispettare le regole scolastiche e di non scaldare il banco. A queste condizioni partiamo col piede giusto e sono sicuro che termineremo soddisfatti l’anno scolastico in quanto il dovere ci chiama.

     Il secondo personaggio del libro Giovanni, che fu maestro anche di Vincenzo, rivolto ai suoi alunni, a proposito del dovere, disse: cari miei allievi, voi avete il diritto di imparare a leggere e a scrivere e io sono qui per accompagnarvi in questo percorso di vita. Lo faccio con grande piacere sebbene sia mio dovere farlo perché sono pagato per questo, ma lo farò comunque con amore e passione in onore della professione che ho scelto come una missione da compiere per la vostra formazione. Voi dovete collaborare, rispettare le regole scolastiche e seguire le mie direttive: insieme riusciremo nell’impresa, se tra noi si instauri un rapporto di fiducia reciproca e senza che io faccia valere il mio ruolo facendo uso di violenza fisica, morale e verbale. Il rispetto dev’essere libero e spontaneo e non di circostanza. Anche nel suo caso prevalse il senso del dovere come norma e non come imposizione.

    La seguente storiella curiosa e a tema ci è stata raccontata da Compare Gennaro per farci capire che quando i ruoli non sono definiti il senso del dovere è campato in aria e nessuno si prende le responsabilità che competono. L’ascoltai anche molti anni dopo da colleghi di lavoro toscani, siciliani e pugliesi che l’ascoltarono pure loro alla loro latitudine; convenni che tutto il mondo è paese e che le storielle fanno il giro del mondo.

    I protagonisti sono quattro persone che vengono appellate così: Ognuno, Qualcuno, Ciascuno e Nessuno. C’era da svolgere un lavoro importante e Ognuno era sicuro che Qualcuno l’avrebbe svolto. In pratica, Ciascuno di loro l’avrebbe potuto svolgere, però Nessuno lo svolse. Ciò accade quando i comandi non sono assegnati, ma lasciati alla discrezione del gruppo.

     Ci sono tre verbi che fanno al caso nostro e cioè: volere, potere e dovere che messi insieme possono determinare una circostanza in cui compaiono tutti e tre a terminarne il risultato finale. Si ponga il caso che una persona si senta poco bene, così decide di “volere” rientrare a casa per prendersi una camomilla per rilassarsi e andare a letto. Giunta a casa cambia programma perché non “può” andare a riposarsi in quanto “deve” documentarsi perché l’indomani ha una riunione importante, perciò “deve” preparare i documenti necessari.

     Ecco un esempio di quando si disattende il senso del dovere. Un uomo dorme saporitamente nella sua stanza e la mamma lo sveglia perché è già giorno da un pezzo e gli intima: Su Aldo, alzati che è tardi e devi andare in parrocchia, i fedeli ti stanno aspettando per la messa. Ma mamma, sono abbastanza cresciuto e non ho voglia di andare in chiesa. E la mamma: non ti ho obbligato io a farti ordinare prete!

     Molte persone si nascondono dietro un dito e aspettano alla finestra per vedere che gli altri facciano il proprio dovere, prima di fare il loro: cercano un alibi per non farlo. Non hanno capito che ognuno deve fare la propria parte; costoro sono le classiche persone che pretendono i diritti e scansano i doveri!

    Noi tutti abbiamo il dovere di salvaguardare la nostra salute in quanto se stiamo bene noi stanno bene anche le persone che ci vivono intorno. Essere o apparire ci pone una scelta. E’ meglio essere sempre se stessi e non fingere, così non dobbiamo recitare e non sentirsi ridicoli di apparire ciò che non siamo.

     Aspettare che la manna scenda dal cielo senza muovere un dito è come vivere da parassita e contrasta con l’imposizione di Dio che disse: tu uomo dovrai guadagnarti il pane col sudore della fronte! Da allora l’uomo ha dovuto sempre lavorare e contato sulle proprie forze anche perché nel frattempo è stato coniato il detto: Aiutati che Dio ti aiuta!

     Le persone sagge insegnano che la vita è quella che si vive oggi e si vivrà domani; quella di ieri si è vissuta e appartiene al passato. Se pensi alle parole che hai detto o non detto e alle cose che avresti potuto fare e non hai fatto, ti rovini il fegato e le giornate. Piuttosto, pensa se ancora c’è qualcosa di positivo che si può rimediare; fare virtù dell’esperienza e trasformare gli errori in opportunità è il dovere di chi vuole imparare dalla vita e migliorare il suo vissuto.

     Sarebbe un miracolo se ognuno di noi facesse il proprio dovere: tutti starebbero bene. Ci sarebbero più efficienza, meno disservizi, più collaborazione e migliore qualità della vita generale. Costa tanto? Non direi. Chi è abituato a fare il proprio dovere, vorrebbe sempre fare meglio ciò che fa normalmente bene. Così quando sgarra lo sa perché la coscienza di persona corretta si ribella. Quindi cosa bisogna fare? La cosa più semplice che mi viene in mante, ossia imitare le persone che compiono il proprio dovere e non guardano cosa fanno gli altri.

Buona lettura e buona vita.

Vi assegno un compito: completate il mio discorso sul dovere arricchendolo con le vostre esperienze dirette. Ne siete capaci in quanto ognuno è ricco di tante qualità e ha un bagaglio di conoscenze archiviate nella memoria da meravigliare essi stessi. Statemi bene ora e sempre!

23 Agosto 2024 – Lettera: Accettarsi e volersi bene

Nota dell’autore

<< Accettarsi e volersi bene più che un piacere deve essere un dovere. Chi lo fa già ha capito come si sta al mondo. Il mio quadretto letterario seguente non ha la pretesa di insegnare, bensì di consigliare. Leggerlo tutto con attenzione è un tempo bene impiegato, che fa stare bene e vivere in pace >>

 Titolo: “Accettarsi e volersi bene”.

 E’ il primo consiglio da rispettare per vivere una vita serena e all’insegna del buonumore, dell’ottimismo e dello stare bene con se stessi e con gli altri.

   Se stiamo bene noi, stanno bene pure coloro che ci vivono intorno e che condividono gli stessi spazi e gli stessi interessi e i modi di essere e di vivere.

   Volersi bene vuol dire non lasciarsi prendere dall’ansia e di risolvere i problemi con razionalità e pazienza e non cercare soluzioni troppo frettolose, sapendo che nulla nasce per caso e che tutto ha un senso. E’ fortunato chi quel senso lo trova e se ne faccia una ragione.

   La vita ci è stata donata su un piatto d’argento per viverla e non per vegetare e cercare di farne un capolavoro o almeno darle una bella immagine e farci sentire degni di viverla.

   E’ buona norma accettare il consiglio del mare che ammonisce, prima di affrontarlo con superficialità, che è meglio prevedere che provvedere. Nonna Rosina, la vecchietta anziana del rione che si prendeva cura di tutti i ragazzi, asseriva che è meglio commiserare che essere commiserati e Compare Gennaro, altro mitico personaggio citato nei miei libri, le faceva eco dicendo che: è meglio vivere ricco che morire ricco.

   Ognuno deve continuare a convivere con se stesso perciò è bene cercare di soddisfare i desideri, di perdonarsi gli errori, di vivere il presente senza rinnegare il passato, perché fa parte di noi, e di non cancellare nessun giorno della propria vita, in quanto tutti ci hanno trasmesso e dato qualcosa.

    Per volersi bene bisogna eliminare o almeno ridurre i cibi che fanno male alla propria salute; evitare, se è possibile, di incontrare persone che incutono e trasmettono tristezza; eliminare quelle cose che ci fanno pensare in negativo; fare ciò che procura gioia e divertimento, perché dove c’è gusto non c’è perdenza; vivere a modo proprio con i propri ritmi e non per forza copiare quelli degli altri, che procurano fatica e ansia.

    Amare se stessi è dire si e no al momento giusto e difendere i propri pensieri e le proprie idee altrimenti si finisce per sposare quelli degli altri e, di conseguenza, rinunciare e perdere un pezzo della propria libertà.

    Francesco, il protagonista del mio romanzo il nono libro dal titolo “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita” insegna col suo esempio virtuoso e sereno di non essere inferiore e superiore a nessuno, ma essere se stesso senza maledire la sorte, né imprecare contro il mondo, né bestemmiare contro il Cielo; né invidiare gli altri. Inculca il concetto che se ce l’hanno fatta gli altri ce la puoi fare anche tu, magari con più sforzi, più errori e più tempo; l’importante, però, è raggiungere sempre l’obiettivo finale.

    Il nostro tempo è assai limitato, quindi è irrecuperabile, cosicché non permettiamo che altri ce lo rubino non mantenendo le promesse fatte e non presentandosi agli appuntamenti concordati. E’ pensiero comune affermare che si trasforma un amico in un nemico quando non si mantengono le promesse fatte. E intanto il tempo passa aspettando promesse e perdendolo per inutili code e attese!

    Volersi bene è anche imparare a vivere il presente perché noi siamo fatti di salute e di tempo, che sono due cose che non si possono comprare, né cedere e né donare agli altri. Il tempo, una volta trascorso, lo è per sempre e, se è speso male, lascia l’amaro in bocca per averlo sprecato soprattutto inutilmente e per colpa degli altri.

    Non ho ancora trovato nessuno disposto a cambiare la propria vita con quella di un altro. Ogni medaglia ha il suo rovescio e non è tutto oro quello che luccica! Cosa ne sa costui della vita interiore di quella persona invidiata? Se a malapena conosce se stesso, può conoscere un altro a scatola chiusa? Dietro un viso apparentemente felice, potrebbe nascondersi l’infelicità in persona perché ci si dimentica di ciò che si possiede e si va alla ricerca continua del superfluo. Una persona ricca invidia un’altra più ricca di lei ed è quello che si teme quando è oggetto di invidia verso di lei.

    Volersi bene è come essere il migliore amico di se stesso ed essere cosciente dei propri limiti di non seguire chimere per raggiungere mete irrealizzabili, sapendo che viviamo come possiamo e non come vorremmo vivere. L’amore per se stesso non è vanità o narcisismo, bensì l’inizio della propria felicità. Bisogna farsi accettare per i propri difetti perché i pregi li amano tutti e convincersi della propria unicità. Ognuno rappresenta un universo tutto suo e non c’è nessun altro essere umano uguale a lui. Gli potrà somigliare vagamente nel fisico, però non potrà mai eguagliarlo nel pensiero e nell’intimità.

     Bisogna sapere che la gente, come prima impressione, vede in noi ciò che le sembra di vedere al primo colpo e si fa un’opinione, giusta o sbagliata che sia, e non vede quello che siamo veramente: ci giudica dalle apparenze! E’ compito nostro essere presentabili, ma non essere schiavi dell’aspetto, che è comunque criticabile e soggettivo. E’ meglio essere o apparire? Divide in due i giudizi perché certi diamanti sembrano veri e sono falsi e viceversa; un tamarro rimane tale anche se è vestito elegantemente; le apparenze ingannano chi vuole farsi ingannare; è meglio essere la bella copia di se stesso che la brutta copia di un altro, che si crede di essere migliore.

     Concludo con un motto condiviso da tante persone per vivere liberamente e senza condizionamenti: “rispettare tutto e tutti e fregarsene di tutto e di tutti”quando cercano di ingannarci, di sopraffarci o di farci del male. Perciò, chi si guarda il suo non fa male a nessuno!

Buona vita nel segno dell’amor proprio!

9 Agosto 2024 – Lettera: Il Buonsenso

Argomento “il buonsenso” – cito un episodio del Far West e del Monumento Nazionale Vivente di Terravecchia – CS.

 Ciao ricevente, considera la lettera come il mezzo che mi consente di salutarti caramente e di augurarti buona, lunga e serena vita. A leggerla o a non leggera c’è una bella differenza, ma è un problema tuo e non mio. Io, intanto, te ne ho fatto partecipe perché tu possa  arricchirne autonomamente il contenuto.

 “Il buonsenso è una cosa buona averlo e a farne buon uso; beato chi ce l’ha!”.

 Detto in parole povere il buonsenso si può definire come la capacità di ben comportarsi con saggezza e con giusto senso della misura. In pratica, è un alleato della ragione e un nemico dell’istinto e si rafforza e migliora con l’esperienza di vita. Si può dire, con cognizioni di causa, che sia il padre di tutte le virtù.

 Solamente se si è in possesso del prezioso dono del buonsenso e se si è nel contempo umili si può notare che non si finisce mai di apprendere, perciò, anche le persone colte hanno bisogno di imparare sino alla fine dei loro giorni, altrimenti non sarebbero colte.

 Le persone dotate di saggezza e di buonsenso agiscono in maniera equilibrata e attenta, valutando le alternative possibili senza lasciarsi sopraffare dalla sfera emotiva, dai pregiudizi e dall’apparente convenienza. La cattiveria comincia dove e quando finisce il buonsenso, senza il quale si fanno spropositi.

 E’ pensiero comune che tutto il mondo avesse bisogno di buonsenso, però, ce l’hanno in pochi e gli altri pensano di averlo anche loro, credendosi nel giusto. Cento teste, cento pensieri! La domanda nasce spontanea: tra buonsenso e senso comune c’è differenza? Mi hanno insegnato che c’è ed è tanta. Il buonsenso è personale e riguarda il pensiero e il comportamento del singolo che valuta e discerne in onore del giusto e della verità. Il senso comune riguarda il pensiero della maggioranza a cui il singolo si adegua, lo condivide ma non l’analizza, pensando di averlo fatto gli altri.

 La società sarebbe  migliore se ci fosse più buonsenso, invece prevale il mal senso per un tornaconto personale. Io dico che chi è abituato a comportarsi bene quando si comporta male c’è qualcosa in lui che si ribella; in quel momento fa finta di nulla per non litigare col suo buonsenso. Per fortuna capita poche volte e quelle poche volte che accade subentra il rimorso per non creare l’abitudine.

 Non bisogna confondere il buonsenso col sesto senso perché quest’ultimo mette in guardia dai pericoli e dagli errori per una forma di veggenza. Il buonsenso, a differenza, si basa più sul presente per non cadere nella trappola di non fare le cose giuste.

 Tanti detti popolari – ne cito qualcuno quali “Ogni medaglia ha il suo rovescio”, “Non dare nulla per scontato” e “In tutto c’è un senso, basta trovarlo” – sono ottimi alleati del buonsenso per non commettere e correggere errori e per modificare in meglio gli stili di vita.

 Molte volte c’è più buonsenso in un uomo solo che in una moltitudine di gente che la pensa in misura opposta a discapito della verità. A tal proposito, racconto la scena di un film western. Un forestiero occasionale fu accusato da un abitante di un villaggio del furto di un suo cavallo, in quanto il marchio stampigliato sulla coscia dell’equino era riconducibile a lui e così il derubato ha aizzato la folla per linciarlo e impiccarlo senza un regolare processo. Solo il dottore della comunità si oppose energicamente in nome della giustizia e della verità perché aveva notato che il marchio era solo somigliante e non perfettamente uguale a quello del presunto derubato. Il forestiero fu salvato per quell’intervento provvidenziale giunto in extremis: si definì un miracolato!

 La difesa del poveretto fu presa in considerazione per due motivi: uno perché era l’unico medico del villaggio e, poi, l’altro perché era considerato una degna persona di buonsenso e meritevole di rispetto. La sua parola contava perché era stato sempre imparziale e valutava le situazioni con razionalità.

 Un altro caso che racconto è quello di un amministratore comunale di Terravecchia che negli Cinquanta salvò l’Olmo della Libertà di Piazza del Popolo grazie al suo buonsenso contro il parere di tutti gli altri colleghi decisi a tagliarlo per ipotetici problemi di sicurezza. Lui, convinto della buona salute dell’Olmo e sfidando la decisione scellerata presa a cuor leggero e senza indizi negativi, disse: L’Olmo dovrà morire di morte naturale e se qualcuno dovesse opporsi alla mia difesa dovrà passare sul  mio corpo.

 Grazie al suo buonsenso, in contrasto con la maggioranza, l’Olmo non solo è tuttora vivo e vegeto, ma è stato dichiarato Monumento Nazionale Vivente ai sensi della legge 14 gennaio 2013.

 Buona vita.

30 Luglio 2024 – La Pazienza: Parole in libertà

La pazienza per alcuni soggetti è una virtù innata e per altri invece dev’essere imparata e coltivata giorno per giorno per non vivere una vita da arrabbiati e da nervosi. Io dico che: ti arrabbi e le cose non cambiano; non ti arrabbi e non cambiano lo stesso, perciò, aspetta che il tempo faccia il suo corso e stai alla finestra a guardare con santa pazienza come va a finire.

      La pazienza è come uno sport e per essere tenuta sempre in forma bisogna allenarsi tutti i giorni per raggiungere buoni risultati e per non lasciarsi abbattere dall’ira e dall’agitazione. Imparare a contare almeno fino a dieci è un piccolo compitino di pazienza: dà modo di riflettere per non commettere la sciocchezza di proferire parole di cui potersi pentire dopo. La regola delle dieci “P” è un bell’esempio da tenere sempre a mente per non pronunciare parole di cui doversi pentire dopo.

     Bisogna imparare dal contadino ad avere la pazienza di saper aspettare con calma che la natura facesse il suo corso di far maturare i frutti nella giusta stagione: raccogliere uno zucchino ancora acerbo gli si toglie la possibilità di diventare zucca.

     La saggezza cinese insegna che un momento di pazienza può scongiurare un grande disastro, mentre un momento di impazienza può rovinare un’intera vita. Il grande Totò in una scena del film Diabolicus si rivolge a un paziente di un ospedale che si lascia andare in escandescenza e gli dice: ma signor paziente, abbi pazienza perché se lei non ha pazienza che paziente è! Abbi pazienza!

     La pazienza va a braccetto con l’attesa e ammonisce che se aspettiamo qualcosa di inutile non ne vale la pena essere impazienti per il suo arrivo. Se, invece, ne vale veramente la pena che arrivi, allora armiamoci di santa pazienza e aspettiamo il tempo necessario che si presenti nei modi e nei tempi giusti al momento giusto.

      Prendiamo esempio dai fiumi che non hanno fretta di arrivare al mare; hanno la pazienza di scorrere piano nella pianura; tanto sanno che lì le loro acque troveranno la fine e lasceranno lo spazio temporale alle altre acque che seguono a ruota, ubbidendo al loro destino.

      Ognuno di noi si porta dietro la propria croce e questa è meno pesante quanto più grande è la sua pazienza a sopportarne il peso. Spesso si ottiene di più con la pazienza che con la violenza; con la pazienza e il saper fare si trova il momento giusto per chiedere e ottenere, mentre chiedere con la violenza si arriva allo scontro e la prepotenza non viene premiata.

      Se doveste perdere la pazienza in un confronto o in una tenzone, cercate di controllarla e non fatevi vedere nervosi. Piuttosto, stringete i pugni, volgete lo sguardo altrove, mordetevi le labbra e dimostrate invece di essere calmi, perché il vostro nervosismo potrebbe essere visto come una forma di debolezza e perdere il vantaggio che vi dà la pazienza.

      Nel mondo animale ci sono troppi esempi di campioni di pazienza. Non posso citarli tutti – e me ne scuso – e ne cito solo tre, come per esempio: il ragno, il topo e l’asino. Il ragno è un grande architetto e costruisce con tanta pazienza e perizia una ragnatela che è una vera opera d’arte. Poi, aspetta pazientemente immobile la vittima di turno. La ragnatela somiglia alla giustizia umana: trattiene a condanna i piccoli insetti e lascia passare i grandi, tipo il calabrone, che la perforano.

      Il topo ha davanti sé una noce che lo guarda e lo sfida perché si sente inattaccabile, ma il topo non si preoccupa e le dice: dammi tempo che ti rosicchio!

      L’asino con calma, rassegnazione e pazienza trasporta pesi sulla soma o spinge l’asse di una macina. Il padrone incurante dei suoi sforzi lo strattona e lo frusta per farlo avanzare più velocemente. Il povero ciuco prova ad avanzare più spedito, ma poi le forze cedono, perché non è nato per correre. Un bel giorno l’asino perde la pazienza e, in un momento di distrazione, si vendica del padrone a calci e morsi. La pazienza ha un limite!

      Anche tra gli umani non mancano casi di buoni esempi di pazienza; ne cito due e precisamente Giobbe e il soldato Giacomino. Giobbe è un personaggio della Bibbia molto devoto a Dio e famoso per la sua pazienza esagerata che non la perde per nulla al mondo, senza mai scomporsi. Dio per verificare fino a che punto arrivassero la sua fede e la sua pazienza gli tolse tutti beni e pure il figlio e lui non si scompose e né lo maledì. Cosicché, Dio in segno di riconoscenza gli restituì tutto ciò che gli aveva tolto e gli diede in premio altri figli.

      Il soldato Giacomino è il personaggio di un racconto con una morale finale tratto dal mio quinto libro “Storie Storiucce Storielle”. Giacomino lascia la sua casa di campagna per la prima volta per andare a fare il soldato e viene assegnato in cucina perché conosce i prodotti agricoli. E’ un ragazzo bonaccione grande e grosso e i nonni pensano a divertirsi alle sue spalle facendogli gli scherzi più assurdi tipo: bagnandogli le lenzuola, nascondendogli gli oggetti, riempendogli di acqua le scarpe, … versare dello zucchero sopra il cuscino. Ma Giacomino resta sempre impassibile e non dimostra segni di sfida verso nessuno. Saluta tutti con un sorriso sarcastico e non lascia intendere di nutrire dei sospetti verso qualcuno in particolare. In cuor suo pensa che prima o poi si arrenderanno e lo lasceranno in pace: sarebbe da stupidi continuare a divertirsi alle sue spalle.

      Un bel giorno i nonni si rivolgono a Giacomino e gli dicono: Senti Giacomino, dato che tu non reagisci agli scherzi, il gioco per noi è finito e non ci divertiamo più senza una tua reazione. Da domani hai la nostra parola che non ti faremo altri scherzi. Sei contento? Giacomino rispose: vuol dire che da domani non metterò più lo sterco nelle minestre. Chi la fa l’aspetti!

     Concludo con un enigma, che sembra un gioco di parole: siamo forti perché siamo pazienti o siamo pazienti perché siamo forti?

Buona, lunga e serena vita

16 Luglio 2024 – Lettera: La Parola all’errore

La parola all’errore: ascoltiamo e, poi, commentiamolo alla fine del discorso.

“Un libero consiglio: sarebbe un grosso sbaglio non leggere tutta la lettera!”

Un contadino cadde maldestramente dall’asino su cui era seduto a cavalcioni, ma non si fece alcun male. La gente rise a crepapelle per la scena comica con cui era caduto con le gambe all’aria. Lui si alzò prestamente, si tolse la polvere dai vestiti e disse ridendo agli spettatori, per sdrammatizzare la scena:

“ho fatto prima a scendere dall’asino cadendo; tanto sarei sceso comunque!”

     Nei paraggi – e quasi in contemporanea – un muratore, che stava intonacando un muro, scivolò sui gradini della scala su cui era salito e si trovò anche lui a terra con le gambe all’aria e con la malta sulla testa e sui vestiti, come se fosse stato il protagonista di una scena della trasmissione Paperissima: così imbrattato era veramente ridicolo! Premetto: la scala era in bilico perché l’uomo non si era assicurato della sua stabilità. La fretta di terminare prima il lavoro fu la causa della sua superficialità e negligenza. Capì a sue spese quanto la premura fosse stata la causa dell’errore e non l’ammise per orgoglio.

     Anche in questo caso il muratore non si fece male e la gente rise a crepapelle a causa della scena buffa che si era presentata davanti i loro occhi. L’uomo, anziché far buon viso a cattiva sorte e fare mea culpa dei suoi errori, imprecò contro tutti i santi del paradiso per non averlo messo in guardia del pericolo.

     Le due scene dimostrano che ci sono due pesi e due misure. Quando si presenta una caduta insolita è normale che la gente rida; la risata viene spontanea. Tanti attori comici hanno fatto la loro fortuna simulando scene buffe, che sono fuori del normale. Le comiche hanno fatto la fortuna di tanti attori.

    Mi verrebbe da dire che: “chi è causa dei suoi mali pianga se stesso e farebbe bene a riderci sopra e attrezzarsi perché scene simili non accadano di nuovo”.

    L’errore quando si commette la prima volta si può definire casualità o superficialità; se avviene una seconda volta lo chiamerei stupidità o negligenza. Ma c’è una cosa da non trascurare ed è quella di saper vedere e valutare gli errori degli altri e aprire diligentemente bene gli occhi per non commetterli a propria volta. Quest’azione intelligente la definisco astuzia.

    Se – per assurdo – dovessimo commettere ogni giorno un errore diverso e avere la fortuna di correggerlo, arricchiremmo la nostra esperienza e somiglieremmo all’asino che dove cade una volta, campasse cent’anni, in quel posto non ci cadrebbe mai più. E poi lo chiamano asino in modo offensivo, mentre dà lezioni di vita! Purtroppo, al mondo ci sono più asini con due gambe che con quattro. Quelli con due sono testardi, sbagliano e continuano a sbagliare, mentre quelli con quattro sono più intelligenti, perché capiscono che gli errori fanno male e rifacendoli fanno più male ancora.

    Una persona non dovrebbe mai vergognarsi di ammettere di aver commesso un errore, purché ne sia cosciente di non ripeterlo in futuro: dimostra così che è meglio fare e sbagliare piuttosto che non fare nulla per la paura di sbagliare.

    Fra tutti gli errori quelli che consideriamo veri sono solamente quelli da cui non impariamo nulla e con ciò è meglio levarli dall’esperienza di vita o meglio ancora diventare saggi per cancellarli per sempre dalla nostra esistenza, come se non li avessimo mai commessi.

    Compare Gennaro affermava che in vita sua aveva conosciuto troppe persone che diventavano cieche per non vedere i propri errori e lingue biforcute per mettere il dito nella piaga degli sbagli degli altri. Secondo la sua filosofia di vita chi commette un errore e non corre presto ai ripari per correggerlo commette un altro errore, più grave del precedente.

     Gli faceva eco mio nonno asserendo che: chi cammina è soggetto a cadere a differenza di colui che sta seduto su una sedia, a meno che non stia dormendo e perda l’equilibrio. A proposito di persone inutili, parassite e cattive diceva che avevano commesso l’errore di essere venute al mondo.

    Lui stesso ammetteva apertamente i suoi errori per evitare che qualcun altro li potesse ingigantire a suo danno, storpiando la verità. Quando qualcuno lo correggeva per avere sbagliato aveva l’intelligenza e l’umiltà di ringraziarlo perché glieli aveva fatti notare; grazie a lui si rendeva conto che il suo operato era scorretto. Il nonno aveva il buonsenso di lodare l’amico in pubblico e tirargli le orecchie in privato quando sbagliava.

    Ah, mio nonno emigrato in America al rientro in Italia ci erudì su tanti proverbi americani e, giacché sono sull’argomento, ne cito uno che fa al caso nostro:

Gli esperti in materia non fanno tanti errori, ma hanno fatto molti errori prima di diventare esperti!

    In conclusione, perché sbagliamo? Siamo umani e non siamo perfetti! Si sbaglia per motivi oggettivi e soggettivi, che sono tanti e di diversa natura. I più comuni sono da attribuire all’ignoranza, alla fretta, alla superficialità, alla negligenza … e soprattutto alla distrazione di non vivere il presente ed essere con la testa altrove. Cosicché tanti sbagli si potrebbero eliminare prestando maggior attenzione. Ho comunque un sistema di sopperire a quest’ultimo punto applicando il mio motto di tre sole parole: 1Ricorda – 2 Che – 3 Stai … al posto dei puntini mettici qualunque verbo al gerundio presente e il gioco è fatto.

    Il più importante dei miei motti è: Ricorda Che Stai Vivendo! Solo così si ha la concentrazione sulle proprie azioni, la padronanza delle situazioni, la vigilanza del proprio operato e l’accortezza di commettere meno errori. Vivere il presente non è solo un consiglio da amico, ma un dovere verso se stessi e la società per dare un senso maggiore alla vita. Tutto ciò che si può fare è adesso, in quanto il passato e il futuro non sono gestibili per i motivi opposti. E ricordarsi che si possono commettere due grandi errori: quello di iniziare qualcosa e di non finirla mai e quella di pensarla e non cominciarla per la paura di non terminarla.

Chiudo con un mio pensiero personale: piuttosto che sbagliare e correggere poi l’errore è meglio prevenirlo per tempo, perché gli errori lasciano il segno. Già ci sono quelli casuali, quindi serve l’occhio lungo per eliminare quelli prevedibili, se siamo fortunati. Chi opera bene e sa che può fare meglio e non lo fa sta sbagliando a metà.  

Buona vita e sempre vigili e previdenti perché l’errore non va mai in vacanza.

27 Giugno 2024 – Lettera a ricordo del nostro caro amico Gianpiero Furlan

Carissimi congiunti e amici del caro compianto Giampiero Furlan.

 La dipartita improvvisa in cielo del nostro amato amico e collega Giampietro Furlan mi ha colto letteralmente di sorpresa come un fulmine a ciel sereno e come me tutti coloro che gli hanno voluto un gran bene dell’anima. Una persona buona, mite, solare e solidale come lui aveva il diritto di vivere ancora per tanti altri anni ancora per il bene che ha fatto all’umanità col suo operato.

    Era in credito con la vita in quanto ha dato più di quello che gli è tornato indietro, ma non si preoccupava per questo: il suo bene era a senso unico, in quanto la sua mano destra non vedeva cosa faceva la sinistra.

    Sul lavoro è sempre stato un esempio di correttezza, di collaborazione e disponibilità: lavorare con lui è stato un piacere; si faceva i fatti suoi, non era invadente, non negava un favore a nessuno e non era geloso delle sue competenze, anzi, era contento di rendersi utile perché cercava la perfezione.

    Non rendeva mai il minimo sindacale sapendo che poteva dare il massimo: era un perfezionista nato per carattere e non per convenienza. Sfido chiunque a farsi avanti e dichiarare di aver avuto un battibecco con lui: sereno e paziente era amico di tutti e gli si potevano voltare tranquillamente le spalle.

    Trovo imbarazzante scrivere parole in suo ricordo e nello stesso tempo felice di farlo per ricordarlo come si conviene per una persona perbene. Forse è meglio ricordarlo in silenzio, però, se il silenzio è d’oro, la parola è d’argento. Così, trovo giusto menzionarlo perché le parole volano e lo scritto resta. Ha fatto tanto per la nostra associazione dei lavoratori e tutti gliene siamo grati per l’impegno, la serietà e l’apporto organizzativo.

     Se qualcuno mi domandasse di definire il nostro amico Giampiero con un solo aggettivo qualificativo, gli risponderei che mi sta mettendo in serie difficoltà, in quanto ci sarebbe una lunga lista di attributi che lo qualificano. Provo a citarne qualcuno sottovoce per non farmi sentire dagli altri simili: affabile, buono come il pane, cordiale, gentile, disponibile, allegro, solare, sereno … generoso. Poi, senza fare un torto agli altri attributi, ho scelto l’aggettivo generoso. La generosità è una nobile virtù che possiedono solo in pochi e lui era uno di questi; non è misurabile e né quantizzabile e si vede solo attraverso il proprio operato.

     Ho provato a cercare qualche suo difettuccio, ma ci ho rinunciato subito in partenza in quanto i tanti pregi facevano loro ombra.  Era unico e la sua unicità faceva di lui un essere meraviglioso che tutti avrebbero voluto avere come fratello, amico, collega e vicino di casa per godere della sua presenza, della sua simpatia e della sua umanità elevata all’ennesima potenza.

    Un altro uomo come lui non è mai esistito, né esisterà a calpestare il suolo terrestre; avrà avuto pure un sosia nel fisico, ma non in grado di superarlo in tutti gli attributi appena descritti.

   Potrei continuare ancora a scrivere, ma mi fermo qui e chiudo dicendo che fin quanto le idee e i pensieri di Gianpiero continueranno a vivere nel ricordo di chi gli ha voluto bene lui proseguirà a vivere nella memoria collettiva.

    Tanta serenità ai familiari e pace all’anima del caro amico Gianpiero.

2 Giugno  – Festa della Repubblica

Libero pensiero sulla Festa della Repubblica

Ho scritto questa lettera per diletto, facendo riferimento ai testi storici editoriali e scolastici, alle notizie e curiosità lette sui giornali e agli ascolti radiofonici e televisivi. I lettori potranno arricchirne il suo contenuto grazie alle loro esperienze personali dirette e indirette.

     Era il lontanissimo 2 giugno 1946 che si indisse un referendum per decidere il passaggio dalla monarchia alla Repubblica – letteralmente cosa di tutti -. Il popolo italiano si era lasciato alle spalle la seconda guerra mondiale terminata il 25 aprile del 1945, che aveva lasciato in ogni parte del Paese povertà, lutti, dolore, sfiducia, odio e macerie. Bisognava alzare la testa con dignità e forza di volontà e organizzare la ricostruzione, non solo economica, ma anche sociale, morale e democratica, dopo un periodo storico politico non condiviso.

     Proprio il 2 giugno 1946 fu indetto il referendum per cambiare il tipo di governo: si doveva scegliere se restare fedele al re o decidere la sovranità popolare. Il popolo decise di far nascere la Repubblica Italiana. Determinante fu anche il voto delle donne fino ad allora negato. In parole povere, sono i cittadini che eleggono i propri rappresentanti per legiferare e governare L’Italia. Nacque l’Assemblea Costituente i cui membri scrissero la Costituzione – legge fondamentale della Repubblica che garantisce i diritti, l’uguaglianza, la dignità, la libertà e la partecipazione attiva dei cittadini – che sostituì lo Statuto Albertino; dire che fosse una delle più belle del mondo non direi una baggianata. Così il 2 giugno del 1948 la Repubblica vide finalmente la luce.

     Ogni anno a Roma il Presidente della Repubblica depone una corona di alloro sull’Altare della Patria per omaggiare il Milite Ignoto – monumento che rappresenta tutti i soldati caduti nelle guerre e di cui non si conosce il nome – mentre una parata militare attraversa i Fori Imperiali e rende onore al Presidente della Repubblica e alle altre alte cariche nazionali.  

     Per dovere di cronaca la giornata del 2 giugno è stata festa nazionale fino al 1977 e, poi, fu declassata a giornata feriale a causa della crisi economica e spostata nella prima domenica del mese di giugno. Solo nel 2001 ritornò a essere di nuovo festa nazionale a opera del Presidente della Repubblica Azeglio Ciampi.

     Ah, per rappresentare la Repubblica è stato scelto un simbolo contenente una stella, una ruota dentata d’acciaio, un ramoscello di ulivo e uno di quercia. Perché questi elementi? La stella rappresenta la rinascita; la ruota dentata il lavoro; l’ulivo la pace e la quercia la forza. Il mio maestro elementare ci disse che il corbezzolo – pianta tipica della macchia mediterranea – rappresenta la pianta nazionale dell’Italia e così spiegò questa affermazione: il frutto è rosso; le foglie sono verdi e i fiori sono bianchi.

     Ogni anno il 2 giugno si festeggia il compleanno di questa giornata memorabile e un pensiero aleggia nell’aria: cosa posso fare per onorarla, pensa il cittadino comune? Onorare la Patria, amare la bandiera, difendere la Costituzione, usare un comportamento virtuoso … rispettare le regole di convivenza civile.

     Frase ascoltata a un tavolo di un bar e proferita da un cittadino deluso dalla classe dirigente dello Stato; a proposito della bandiera disse: cittadini al verde con le tasche vuote, notti in bianco per i troppi pensieri, conto in banca rosso.

     Oggigiorno la nostra classe politica fa passare il concetto di tante repubbliche legate a altrettanti periodi storici, ossia Prima Repubblica, Seconda Repubblica, Terza Repubblica … speriamo che si fermi questa classifica e si decida una Repubblica unica e condivisa, basata sui principi di solidarietà, libertà e giustizia e onori la Costituzione! 

Buona vita dall’autore Carmine Scavello

12 Maggio 2024 – Festa della Mamma

Premessa.

Dedicare pochi minuti alla lettura della seguente lettera sulla Festa della Mamma non è tempo sprecato. Se vuoi … in un giorno ci sono 1440 minuti. Io non bado al mio tempo quando faccio qualcosa di carino. Puntualmente, ogni anno scrivo una lettera sulla Festa della Mamma; inoltre, preciso che le ho dedicato il capitolo di sei pagine “L’amore per la Mamma” nel mio quarto libro pubblicato dal titolo “I battiti dell’amore”, che tratta tantissimi altri amori universali e senza tempo.

Festa della Mamma.

Tutti abbiamo una Mamma nel cuore! Dire che le Mamme siano donne forti e coraggiose sto rafforzando e affermando una grande verità. Ognuna di esse lo è a modo suo, ma alla base di tutta la forza e del coraggio c’è il loro indiscusso amore, che dura tutta la vita e oltre.

     Non esistono le Mamme perfette, ma ognuna di esse nella sua imperfezione è perfetta. Lo dimostrano, concretamente, col fatto che le loro premure spontanee non finiscono mai e che non vanno mai in vacanza. A differenza, l’uomo di casa lavora dalla mattina alla sera e, poi, si riposa, come è da tempo memorabile, sebbene ciò non sia una regola.

     Le Mamme sono pazienti e comprensive e hanno l’arma sfoderata del perdono sempre a portata di mano; per questo motivo sono venute al mondo con la delega Celeste, tramandata a loro volta dalle loro Mamme. Sono le migliori consigliere del mondo e su questo lato non temono confronti di qualunque genere. Le loro ginocchia sono le migliori cattedre d’insegnamento per dispensare buoni consigli e dare conforto e fiducia.

     A tale proposito mi viene in mente il brano musicale “Mamma mia dammi cento lire”. Racconta la storia di una figlia che vuole andare a ogni costo in America, ma la Madre la sconsiglia perché ha il presentimento che questo viaggio finisca in tragedia. I fratelli, invece, appoggiano la libera scelta della sorella e questa parte, disavvenendo al consiglio della Madre. Ma il bastimento, quando fu in mezzo al mare, si sprofondò e la figlia perì miseramente in quel naufragio.

     Si dimostrò che le parole dei fratelli erano tutte la falsità, mentre quelle della Mamma erano tutta la verità. Quella Mamma vedeva molto più lontano rispetto alla figlia. Sarà stata veggenza o sesto senso, e chi mi dice, invece, che quella Mamma stava pensando col cuore in gola alla perdita di una figlia? Il sesto senso di Mamma aveva visto giusto: era in minoranza e ha ceduto alla maggioranza dei figli. A malincuore, dette un’amara lezione di vita ai figli rimasti, sperando che avessero fatto tesoro dei suoi consigli in futuro.

     Le Mamme non smettono mai di dare raccomandazioni ai figli: fa parte dei loro compiti naturali. Sono venute al mondo prima di loro e conoscono meglio la vita. Rappresentano la fiducia in persona. Se qualcuno dovesse dirti che ti vuole più bene di una Mamma non dargli credito, in quanto le sue parole sono menzognere, perciò o ti tradiscono o ti ingannano. Un figlio può imbrogliare la gente come e quando gli pare, però se dovesse farlo con sua Madre, la sua battaglia è persa in partenza. Prima che lui apra bocca, la Mamma gli ha già letto negli occhi e nel cuore le sue intenzioni fraudolenti.

     Quando la Mamma, per pura formalità, ti chiede se vuoi un consiglio non darle credito su questa richiesta formale, in quanto Lei, indipendentemente dalla tua risposta, ha già deciso di dartelo ugualmente, che tu voglia o non voglia, per non venire meno al suo ruolo di consigliera naturale.

     Ho imparato nel corso della mia vita che un padre possa rinnegare un figlio; che due fratelli si possano odiare a vita; che due coniugi si possano dividere; ma non ho mai sentito dire che l’amore di una Mamma abbia abbandonato un figlio. Qualora ciò dovesse ipoteticamente accadere, per me, quella donna non è stata mai una Mamma.

     Chiudo con un appello all’uomo che sta facendo violenza a una donna. Prima di commettere un atto vile su quella sfortunata creatura, fermi la mano, chiuda gli occhi e pensi che in quel momento la sua Mamma lo stia osservando e che soffra per aver messo al mondo un figlio così crudele. Quindi, l’invita a fermare la sua mano vigliacca e assassina e a immaginare due occhi materni puntati addosso che gli dicano: figlio mio, che fine hanno fatto i miei ammonimenti sull’amore e sul rispetto?

Buona vita dal vostro amico autore Carmine Scavello

1 Maggio 2024 – Festa del Lavoro

Parlo di un argomento che ha interessato, interessa e interesserà tutti. L’ho già trattato con esempi viventi nel mio quarto libro – che parla dell’amore universale – col capitolo “L’amore per il lavoro”. Buona lettura e buona vita.

 Lettera sulla Festa del lavoro.

Il lavoro è il giusto compromesso che serve per tenere lontani dalla nostra mente tre elementi che ci condizionano la vita, ossia la monotonia, l’ozio e le necessità. In pratica, per levare la dignità a un uomo, basta togliergli il lavoro per farlo sentire inutile e un parassita della società. E quell’uomo non deve vergognarsi del suo lavoro, altrimenti vorrà dire che non ha rispetto di se stesso, in ossequio al detto che dice: il lavoro nobilita l’uomo! Compare Gennaro a tale proposito diceva che: sarà pur vero, ma arricchisce un altro. Come dire: chi lavora mangia l’osso e chi amministra la polpa.

     In una società costituita c’è bisogno di tutti i mestieri. Se pensiamo di essere tutti dottori – per citare una professione ambita – chi pulirebbe le strade? Chi farebbe il pane? Chi aggiusterebbe i rubinetti? … Chi coltiverebbe le verdure? E pensare che sarebbe bello fare diventare il lavoro un gioco e trovarlo divertente: ti consente di guadagnare il necessario per vivere e di occupare il tempo in modo intelligente per poter dire che, fra tutti i giochi, è il più divertente del mondo ed è pure pagato.

     Si apre un dilemma: si lavora per vivere o si vive per lavorare? Entrambi i quesiti hanno una ragione di fondo, sebbene il primo sia il più valido, in quanto il lavoro offre i mezzi di sostentamento. È pur vero che se non c’è amore per il lavoro esso diventa pesante, insopportabile, monotono e insignificante.

     Una persona si sente libera ed è padrona della sua dignità quando lavora a tempo pieno in un ambiente sereno e non deve dipendere dagli altri per soddisfare i suoi bisogni primari. I lavori saltuari e precari fanno vivere sotto il ricatto continuo di non essere riconfermati se si avanzano sacrosante richieste nel rispetto dei diritti.

     Si trascorrono parecchie ore sul posto di lavoro; francamente, se non è gradito, il tempo non passa mai e si sta continuamente con l’occhio puntato sull’orologio in attesa che le ore passino velocemente. La malavoglia e l’apatia diventano compagne di una vita sprecata, forse ricompensate solamente, in qualche modo, da un lauto guadagno. Il personaggio Ugo Fantozzi, di Paolo Villaggio, interpreta magnificamente il ruolo del lavoratore frustrato.

     Non sempre nella vita si riesce a svolgere il lavoro dei sogni; da piccoli si facevano tanti progetti per il futuro; poi, la realtà si è presentata sotto spoglie differenti dalla fantasia e dai sogni giovanili. Spesso si svolge il lavoro che capita. Quando non c’è scelta ci si accontenta di quello che si ha: bisogna pur campare e contare sulle proprie forze!

     Non è raro, però, scoprire che in tante famiglie dove si tramanda l’attività in senso verticale, il giovane continui a svolgere lo stesso lavoro dei genitori. In alcuni casi, è una forzatura morale per non disperdere i sacrifici di anni di lavoro di generazioni. In generale, l’erede è cresciuto con l’amore inculcato in modo naturale verso quel tipo di occupazione familiare.

     Se tutti amassero il lavoro, senza esserne, però, schiavi, la società ne guadagnerebbe in prestigio. Fare il proprio dovere e applicarsi con serietà e impegno si eliminerebbero inutili sprechi e si ridurrebbero i costi a vantaggio della qualità e della buona resa.

     Sono certo che la persona che sa lavorare bene con amore e con passione difficilmente svolgerebbe il suo compito con superficialità e negligenza. Egli stesso, prima degli altri, sentirebbe imbarazzo per non essere al top della sua correttezza e professionalità. Se gli dicessi di lavorare male e con lentezza, mi direbbe che ho sbagliato persona.

Buona lettura e buona vita dal vostro amico autore Carmine Scavello

25 Aprile 2024 – Festa della Liberazione

E’ una data importante perché è stata istituita dal primo governo De Gasperi nel 1946 per festeggiare il primo anniversario della Liberazione, nonché anche Festa della Resistenza. Chi ha visto nascere la democrazia non vuole mai doverla vedere morire, così si rivolge ai giovani e pone in loro la speranza che quei tempi siano seppelliti per sempre e che facciano parte del dimenticatoio.

     Questa festa ci invita a coltivare la memoria e dev’essere un antidoto contro l’indifferenza di coloro che non hanno fatto pace col passato. Quel lontano periodo tante persone, che hanno vissuto le pene e i dolori della guerra sulla loro pelle, e quel giorno del 25 aprile 1945 hanno pianto di gioia al ritorno della libertà riconquistata. Non è stata una concessione, ma una conquista con la vita e col tributo di sangue di tanti concittadini che si sono immolati nel nome della libertà e della Patria.

     Se oggi dopo sette decenni e passa viviamo in un mondo di pace sul nostro territorio, lo dobbiamo proprio a quei valorosi – uomini e donne – che vengono ricordati con una corona di alloro. Ogni comunità ha un luogo simbolo, monumento dei Caduti, dove su una colonna di marmo sono stampigliati i nomi dei caduti in guerra affinché il tempo e le intemperie non li cancellino e li mantengano bene in vista.

     Chi legge quei nomi dovrebbe dire solo grazie se quelle colonne di marmo siano ancora in piedi e non siano stati abbattute per cancellare la memoria storica. I simboli son importanti per il popolo; senza di essi si cancella la storia e senza la storia quel popolo è destinato a morire.

    Se manca la partecipazione si crea intorno silenzio e deserto e sarà facile che quel vuoto venga riempito dai nemici della libertà. Gli uomini liberi fanno paura perché hanno un’anima, una dignità e una coscienza e sono disposti a lottare e a difenderla anche a costo della vita. Pure una piccola bestiola lotterebbe se qualcuno tentasse di catturarla e negarle la libertà.

    Mi fischiano ancora nelle orecchie le parole del nostro amato presidente Sandro Pertini quando affermava che: è meglio la peggiore democrazia della migliore di tutte le dittature. E ancora per citare il pensiero del grande giornalista Enzo Biagi quando affermava che: una certa Resistenza non è mai finita!

    Oggi aleggia nell’aria un suono melodioso che si chiama libertà. E ‘ come l’aria che respiriamo; ci accorgiamo del suo valore e della sua importanza solo se venisse a mancare.

     Ci sono biblioteche viventi che si chiamano nonni; i giovani per sapere cosa è stato il 25 aprile possono chiederlo a loro: tante loro risposte non sono riportate sui libri di storia, perché ne esistono due, e cioè quella dei vinti e quella dei vincitori. Io come scrittore dico semplicemente che esiste la verità degli uni, esiste la verità degli altri ed esiste la verità. Una cosa è certa: la pace è un bene comune che non ammette divisioni e discordanze, Se si vuole, un accordo si trova; se non si vuole, mille scuse si inventano.

Buona vita e Buon 25 Aprile dall’autore Carmine Scavello

24 marzo 2024: festa delle Palme
Se vuoi rispetto dagli altri, devi essere tu il primo a rispettarli; se vuoi amore, devi amare prima tu; sei vuoi essere lodato e incoraggiato, devi lodare e incoraggiare anche tu; se cerchi veramente la pace, comincia a cercarla prima dentro di te. L’eco della nostra coscienza è la nostra cartina di tornasole e controlla il nostro operato, se è in linea col pensiero degli altri. Se non puoi fare nulla per la pace almeno prega che regni sovrana.

 La vita è fatta di alti e di bassi; non sempre è come vorremmo che fosse; però, per fortuna ci sono intermezzi di felicità che la rendono accettabile. Questi momenti li paragoniamo agli arcobaleni che si formano tra la pioggia dei problemi e il sole delle risoluzioni.

 Il migliore auguro che ognuno si aspetterebbe di ricevere in questa giornata festiva consacrata alla pace si potrebbe condensare in tre cose:

–          che dopo ogni tormenta sbocci un arcobaleno; 
–          che dopo un momento di tristezza nasca un sorriso; 
–          che dopo ogni guaio ci sia il rimedio.

 Ricordate sempre un vecchio proverbio che non tramonta mai: Chi vuol vivere in pace, sente, sopporta e tace!

 Buona giornata buona vita

19 Marzo 2024 : festa del papa’
Ogni figlio conserva gelosamente quello che gli ha insegnato direttamente il suo papà, ma soprattutto quello che lui gli ha inculcato col suo continuo e costante esempio per lasciargli la libertà di imitarlo e con la speranza di superarlo. Un buon papà vive facendo sempre e comunque il suo dovere e si aspetta che il figlio migliori il proprio operato. E’ dalla notte dei tempi che opera per il bene dei figli, facendosi in quattro o meglio in otto.

 Chi dice che il mestiere del padre sia il più difficoltoso del mondo non gli do tutti i torti. Ci aggiungo pure che è il più affascinante e complicato, perché è facile essere padre, ma è più difficile fare il padre: deve saper perdonare gli sbagli dei figli e correggerli con giudizio e sapienza e ammettere con molta umiltà e serenità i propri.  

 Un buon padre deve saper resistere agli impulsi e a mantenere la calma per non farsi sfuggire di mano le situazioni. In fondo, è un essere umano anche lui ed è soggetto a sbagliare; però, lo fa sempre in buona fede, perché un padre corretto non divide i figli in più categorie. Quel padre a passo con i tempi sa che i figli non sono una sua proprietà e deve lasciare la possibilità ai figli di fare la propria esperienza, ma deve essere sempre pronto a correggere le rotte sbagliate, altrimenti non svolgerebbe bene il suo ruolo di educatore.

 Racconto una breve storiella tratta dal capitolo “L’amore per il papà” facente parte del mio quarto libro “I battiti dell’amore” che tratta l’amore universale con altri quarantacinque capitoli. Me la raccontò il prete della mia parrocchia quando ero ragazzo. Una sera, un ragazzino stava pregando da solo nella sua stanzetta e pronunciava una singolare prece ad alta voce:

“Signore, fammi la grazia che io diventi forte, leale, generoso, giusto, operoso e coraggioso come il mio papà!”

Il padre, che aveva sentito tutto casualmente, attraverso la porta socchiusa, si ritirò nella sua stanza e pregò a sua volta: 

“mio Dio Onnipotente, fa che io diventi quell’uomo come mi definisce mio figlio!”

 Ancora da quel capitolo. Una volta mio padre si rivolse a mio nonno e gli disse:

“un vero padre desidera che suo figlio sia migliore di lui e non una sua fotocopia!” 

Mio nonno rispose: 

è la stessa cosa che pensavo di te!” Il Signore mi ha esaudito!

Io, oggigiorno, in veste di figlio e di nipote dico che entrambi, nella loro umiltà d’animo, erano ambedue meritevoli di amore.

Buona lettura e buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

14 Febbraio  2024: San Valentino

Pensieri di amore.

San Valentino ci raccomanda di festeggiarlo tutti i giorni perché non si può essere innamorati a giorni alternati o in modo casuale. Il primo consiglio da dare, al di là di altri pure importanti, è quello di amare senza se e senza ma; il resto passa in secondo ordine di importanza.

Ognuno si faccia una domanda – pensando alla sua dolce metà – chiedendosi con tutta sincerità e libertà di pensiero: Se io tornassi indietro nel tempo la sceglierei di nuovo la mia dolce metà? Nella sua risposta affermativa e sincera è contenuto tutto l’amore che prova nei suoi confronti. Basterebbe questa semplice risposta e le altre eventuali domande sarebbero inutili o di secondo ordine.

La felicità ha tante facce e tra queste una delle più belle consiste nell’amare e nell’essere amati. Che bella quest’affermazione: Se per il mondo tu sei solamente un numero, per la persona amata tu sei tutto il suo mondo!

Qualche anno fa era di moda regalare alla persona amata la medaglietta d’oro con incisa la frase: “Più di ieri e meno di domani”. Poi, è andata fuori moda perché considerata banale. Ma la banalità è stata quella di considerarla banale.

Ci sono due frasi che fanno molto riflettere e ve le dico: “Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna” e “Dietro una grande donna c’è sempre un grande uomo”. Le due frasi si commentano da sole, perché tirare in due il carretto è più facile e meno pesante la fatica. 

Non dimentichiamo mai che si impara ad amare amando. Ognuno lo faccia come meglio sa farlo e non perdere mai di vista il concetto la “Misura di amare è di amare senza misura”.

Ci sono quattro paroline poco usate o date per scontate. Ve le ricordo e vi dico che scontate non lo sono mai, piuttosto vengono sottointese, ma è meglio dirle: Grazie, prego, scusa e posso. Non è tutto dovuto; è solo rispetto!

Buona, lunga e serena vita dall’autore Carmine Scavello. 

Ah, il mio quarto libro pubblicato dal titolo “I battiti dell’amore” parla dell’amore universale. Tra il 1°capitolo “L’amore per Dio” e il 43° “L’amore per se stessi” ce ne sono altri 41 che trattano altri amori.

 

27 Gennaio  2024: Giornata della Memoria
Fare lo sforzo di leggere questa lettera è come onorare la memoria di tanti innocenti, che hanno avuto il solo torto di essere venuti al mondo nel momento e nel posto sbagliati. Non bisogna mai dimenticare che gli altri siamo noi!

Per dovere di cronaca, la data del 27 gennaio di ogni anno – giorno della liberazione dei prigionieri dai lager di prigionia della seconda guerra mondiale – è stata proclamata dalle Nazioni Unite come la Giornata Mondiale della Memoria in modo universale e perenne, perché gli uomini non dimentichino gli orrori di quei campi di sterminio in conseguenza della guerra che si stava combattendo in Europa e nel resto del mondo.

     Per scrivere qualcosa in merito – che colpisse – su questa Giornata Mondiale della Memoria, che non deve passare in secondo ordine, ho pensato di dedicarle uno spezzone del capitolo dedicato al mio personale commento della canzone “AUSCHWITZ” di Francesco Guccini. Suddetto capitolo l’ho voluto fermamente inserire nel mio settimo libro dal titolo “Canti Canzoni Cantanti” insieme a tanti altri brani musicali di successo che fanno parte della colonna sonora della vita di ognuno di noi.

    Guccini ha inteso il testo del brano musicale, al di là del successo discografico, come mezzo di denuncia del dramma umano dell’olocausto. Egli ha composto e cantato la storia terrificante e simbolica di un bambino sconosciuto che è morto bruciato nei forni crematori del campo di sterminio nazista di Auschwitz. 

     La sua storia è raccontata a simbolo di altri milioni di vittime dell’orrore che hanno subito la stessa fine in quell’inferno terreno. Guccini allarga, poi, la denuncia a ogni guerra che si combatte nel mondo. All’epoca della composizione dei versi si stava combattendo la guerra del Vietnam, così il suo pensiero fu rivolto anche al dramma di quel conflitto e alle sofferenze di quel popolo. 

    L’autore della canzone si chiede: Come può l’uomo uccidere un suo fratello! Eppure, siamo a milioni in polvere qui nel vento! Questa è la strofa della canzone che fa più senso. In essa è concentrato lo sterminio di numerosi innocenti nel campo di Auschwitz. Le vittime designate di quel massacro avevano il solo torto di appartenere a una diversa etnia, considerata a torto una razza inferiore; quindi c’era l’ordine di sopprimerle per non contaminare la loro razza ariana considerata di livello superiore.  

     Il cantante si mette nei panni della gente comune e si domanda come l’uomo sia caduto così in basso per arrivare a compiere il male in quel modo orribile e inumano. Chi ha dato ai carnefici l’ordine di togliere la libertà e la vita a esseri simili e diversi solo per stirpe e per luogo di nascita ha commesso un crimine contro l’umanità. La vita non appartiene agli uomini; è stata data a loro come dono dal Cielo per viverla e non per essere sacrificata per fini distruttivi in nome di un diritto che nessuno ha concesso ai loro giustizieri. Chi sopprime una vita umana per la legge di Dio e degli uomini è considerato un assassino e come tale va punito e ripudiato.

     In quel luogo freddo e inospitale – per il gelo e la neve e funesto per la crudeltà che si respirava – era ammassata una moltitudine di prigionieri in attesa dell’esecuzione finale. Eppure, in quella grande prigione super controllata era presente uno strano e inquietante silenzio, che sapeva di rassegnazione e di perdita di ogni speranza. Intanto, il fumo dei forni crematori, saliva in cielo attraverso i camini e si disperdeva nel vento per dissolvere nell’aria il dolore e l’odore acre di morte di tanti poveri e innocenti esseri umani di tutte le età e di differenti estrazioni sociali.  

    Quei carcerieri erano uomini bruti che si comportavano come bestie assetate di sangue; il loro uso della ragione era irrazionale e violento; non conoscevano la pietà umana. Io come ascoltatore del brano potrei pensare che tanti sorveglianti fossero stati costretti a ubbidire a degli ordini precisi, impartiti dall’alto, che non lasciassero spazio al perdono e alla compassione. Forse si sentivano a posto con la propria coscienza in quanto eseguivano ordini precisi e indiscutibili a cui non potevano disubbidire, pena complicità e insubordinazione, ed erano severamente puniti.

     Alla fine, Guccini ci lascia la speranza che l’uomo si possa ravvedere e imparare la lezione che si può e si deve vivere senza ammazzare. Lo fa con un invito diretto e forte perché vorrebbe porre fiducia nell’umanità e nell’altruismo affinché nasca un mondo migliore nel quale l’uomo non abbia più sete di sangue e si decida a rispettare il prossimo come se stesso con tutte le sue diversità. 

     L’artista aspetta che quel vento finalmente non soffi folate cariche di odio e di morte; le immaginava pesanti e irrespirabili a causa di tutti quei morti. La bestia umana non si era fermata nemmeno davanti l’innocenza di un bambino. Forse, quel vento finalmente si poserà e non porterà più nell’aria quell’odore macabro e terrificante. Ad AUSCHWITZ tante persone, ma un solo grande silenzio!

Buona vita dall’autore Carmine Scavello

06 Gennaio  2024: Epifania

Cosa sperate di trovare nella calza? Ognuno si dia da solo la risposta che si meriti!

Se simbolicamente vi troverete il carbone, pensate a qualche capriccio, a una mancanza di rispetto, a un torto, a una promessa non mantenuta, a non aver fatto il proprio dovere. 

Ma è solo la tradizione che richiede di appendere ai piedi del letto o sul davanzale del camino una calza e sperare che un’anima buona vi metta qualcosa di carino, ma solo come invito a un buon comportamento, perché il carbone vi aspetta al varco. 

     Con la memoria si torna indietro nel tempo a quando le mamme – le vere befane, ma soprattutto angeli della casa – ci facevano capire che durante la notte sarebbe arrivata la vecchietta con le scarpe tutte rotte e la veste alla romana. Solo all’Epifania è concesso togliere i dolcetti appesi all’albero di Natale, ammesso che non sia rimasto solo l’involucro. I furbetti hanno fatto la birichinata dal primo momento della preparazione dell’albero di Natale: i peccati di gola, da che mondo è mondo, sono sempre esistiti.

     In fondo la befana è buona, ma viene descritta come una vecchia bacucca. Forse perché è povera rispetto a Babbo Natale. E’ dipinta come una strega molto anziana solo perché viaggia su una scopa, ma non fa incantesimi malefici e né trasforma in corpi inanimati le persone. Porta i regali e, poi, scompare nel nulla; inoltre, durante un anno intero nessuno le rivolgerà un pensiero. Eppure non fa nulla di male e non è vero che porta il carbone; sono le mamme che hanno diffuso questa diceria e danno la colpa a lei per punire le marachelle dei figli con una mano, mentre con l’altra danno loro una carezza e un regalino.

     Una mamma non farà mai soffrire il suo bambino, andrebbe contro i suoi principi, negandogli il regalino: fa solo la voce grossa per farsi ubbidire e farsi promettere ubbidienza. Lo fa con amore e per il suo bene per farlo crescere nella correttezza. Le mamme hanno imparato a memoria il seguente ritornello: Volete il regalo dalla Befana? Fate i bravi! Senza far capire che, male che vada, il carbone è di zucchero.

     Siamo all’epilogo: con la data del sei gennaio le festività terminano e si ritorna alla normalità. Non è raro sentire proferire auguri di Buona Pasqua, almeno in certe zone d’Italia non è scomparsa questa usanza. 

     Babbo Natale viene descritto come un marito generoso che lascia la moglie al Polo Nord per andare in giro per il mondo a portare i regali ai bimbi che gli hanno scritto la letterina. Ma la Befana chi troverà al ritorno? Nessun autore di libri per ragazzi ha detto che la Befana abbia un marito e così passa come una vecchia zitella in modo dispregiativo. Nessuno ha mai detto dove abita durante l’anno, perciò non riceve le letterine dei bambini.

     In questa giornata, alle donne si dice in modo scherzoso e allegorico Befana, come se fosse la loro festa e sono contente così verrebbero festeggiate due volte all’anno: il sei gennaio e l’otto marzo. Che mi risulti nessuna di loro si sia offesa per questo appellativo, perché in fondo la Befana è buona. Perciò si consideri un complimento. Se non fosse buona non porterebbe i regali.  A marzo si regala la mimosa e il sei gennaio cosa si potrebbe regalare a una donna che porta i regali? Come minimo un sorriso, amore, rispetto alla sua dignità e un grazie per tutto ciò che fa per la comunità.

Buona vita dall’autore Carmine Scavello.

01 Gennaio  2024:  Buon anno

Lettera di Buon Anno 2024

 Il 2023 stanco se ne va e giammai più ritornerà.
Il 2024 invece più vivace ci porterà felicità e pace.

 Quando arriviamo puntualmente al traguardo della festa di San Silvestro, ci guardiamo indietro – ma il gesto non vale per tutti – per vedere se abbiamo fatto, tutto bene o in parte, ciò che ci eravamo promessi di fare. Immancabilmente, scopriamo che tante promesse non sono state mantenute, magari non per colpa nostra. Viviamo a stretto contatto con gli altri e siamo soggetti a condizionamenti, che spesso ci complicano o rallentano la vita.

     Ci rendiamo conto che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e, per restare nel clima marittimo, facciamo promesse da marinai. Quanti bei propositi non sono stati mantenuti! Quel che ci consola è mal comune mezzo gaudio: gli altri con cui ci confrontiamo non sono migliori di noi. Abbiamo lo “stesso comune e inevitabile difetto” di promettere, in teoria sulla carta, quello che, poi, si dimostra di essere più difficile da mantenere nella pratica.

     Siamo distratti da altri interessi e da tanti pensieri e non sempre diamo priorità alle promesse espresse a cuor leggero. Forse sarebbe meglio promettere di meno o poco e agire di volta in volta sotto forma di sorprese: ciò farebbe stare meglio sia noi che il ricevente delle promesse. Senza mettere le mani nel portafoglio, il regalo più bello e apprezzato è donare il nostro tempo, che è una parte indissolubile di noi stessi. Dopo la salute viene il tempo, perché non è illimitato e, una volta speso, lo è per sempre.

     Quel Francesco, un mio noto personaggio letterario, disse a un ragazzo che si lamentava e faceva una tragedia per un piccolo affare non andato in porto:

se tu perdi un gruzzoletto di soldi, lo potrai recuperare, ma se perdi o sciupi un pezzo della tua vita svanisce per sempre. Come vedi, hai una ricchezza per le mani e non te ne rendi conto!

     E così arriva l’Anno Nuovo e come dice la filastrocca: ci porterà felicità e pace! E’ l’augurio più ricorrente che ci si scambia a ruota. Le buone intenzioni ci sono tutte, come c’erano pure negli altri anni precedenti. Si aspetta con ansia la mezzanotte per farci trovare svegli dal Nuovo Anno, che parte un secondo dopo lo scoccare delle ore ventiquattro del trentuno dicembre, e ricominciare così a vivere pimpanti con la speranza di un altro anno migliore dei precedenti.  

     Il brindisi è d’obbligo come nelle grandi occasioni: se non c’è il tintinnio dei bicchieri pieni di spumante a far compagnia alle fette di panettone o di pandoro non è Capodanno! In questa circostanza, qualcuno butta in strada dalle finestre piatti scheggiati e altri oggetti usati come per dire:

mi sto disfacendo delle cose vecchie. Voglio rompere definitivamente col passato, occupare simbolicamente il loro spazio con oggetti nuovi e andare incontro a un futuro migliore, come per simboleggiare di liberarmi di cose inutili e sostituirle con le nuove.  

     Un mio ex collega, bolognese di lavoro, mi raccontò che dalle sue parti si bruciava un fantoccio costruito con materiale infiammabile – detto Il vecchione – per tagliare i ponti col passato e celebrare contenti l’Anno Nuovo. La tradizione voleva che con quel simbolo il Capodanno festeggiato fosse certo di aver visto la fine dell’anno vecchio, come fecero i suoi predecessori.

     E’ così che gira il mondo! Tutto ha un inizio e una fine: fa parte della fugacità del tempo. Ecco il consiglio di nonna Rosina – una vecchietta scaramantica del mio rione, considerata la nonna di tutti per la sua saggezza -: a Capodanno consigliava di mettere una foglia di alloro nel portafoglio o in una tasca dei vestiti perché allontanava le vibrazioni negative e le sostituiva con quelle positive. In fondo, tuttora quest’operazione costa poco tempo e denaro e per chi ci crede è un rito scaramantico. Vanno bene anche lenticchie, melagrana … e uva, lasciando libera scelta per altri prodotti o articoli.

    L’uso dei botti – oggi proibito in molte città – rappresenta per gli amanti di questa consuetudine l’allontanamento degli spiriti maligni: il rumore li spaventa e li spinge lontano.

    Comunque, ognuno faccia come meglio creda e usi tutti i metodi propiziatori che voglia per augurarsi un Buon Anno: è un modo come un altro per scacciare via la negatività e portare serenità e prosperità. Ah, ricordiamoci che quest’anno abbiamo un giorno in più da vivere!

 Buona vita e Buon Anno e che si realizzino i vostri desideri dal vostro amico autore Carmine Scavello

15 Settembre  2023: un nuovo libro”Francesco , l’uomo che dava del tu alla vita” 

E’ in uscita il nuovo libro, il nono, del nostro socio e scrittore Carmine Scavello, dal titolo “FRANCESCO, l’uomo che dava del tu alla vita”. Di seguito una breve presentazione a cura dell’autore.

Lettera agli amici per reclamizzare il mio nuovo romanzo e per invitarli all’acquisto, prima che il libro vada fuori edizione. A voi pochi Euro non vi mandano in malora, ma, in compenso, vi danno l’opportunità di conoscere mondi e ambienti diversi, che nessun altro libro ve ne parlerà. Se avete letto altri libri, questo si aggiungerà a quelli di vostro gradimento; se finora ne avete letto pochissimi e nel caso non ne aveste letto nessuno, questo libro sarà il vostro battesimo di fare amicizia con la lettura.

Vi comunico che ho pubblicato il mio nono libro dal titolo “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita”. Per scrivere questo romanzo mi sono ispirato alla vita e alla storia di un uomo buono, sereno, solare, lungimirante … una bella persona. Francesco, nome inventato, è un nostro collega che ha lavorato in GTE/Siemens per circa un ventennio nel periodo anni Settanta/Ottanta. 

Il mio nono libro “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita” manda il messaggio che: “si impara a dare un senso alla vita, vivendo il presente”. Domani, oggi sarà ieri e il tempo non aspetta nessuno. E’ un raccomanzo di circa 250 pagine che è ambientato a Terravecchia, in Germania, in Lombardia.

     A Terravecchia il testo parla di radici, usi, costumi, tradizioni, feste popolari e vita quotidiana, fuga da quel treno maledetto che lo stava conducendo ai campi di concentramento. Fu salvato per miracolo dal suo Angelo Custode.

      In Germania tratta la vita degli emigranti per ragioni di lavoro: lontananza, nostalgia, sacrifici, umiliazioni, mancanza della famiglia, il difficile inserimento, l’ignoranza della lingua, la diffidenza della gente del luogo, la dura vita nelle baracche a contatto con persone di regioni ed etnie diverse e spazi comuni sottodimensionati e carenti del minimo necessario, con turni massacranti per cucinare, per fare il bucato o semplicemente per la pulizia personale quotidiana. 

     In Lombardia racconta il trasferimento della famiglia nella nuova realtà: la ricerca difficoltosa di una casa in affitto, del lavoro e l’inserimento nella nuova comunità, che diffidava dei nuovi arrivati. Per colpa di pochi individui scorretti e irrispettosi delle regole di buona convivenza, ne pagano le conseguenze le tante persone corrette e oneste! Sul luogo del nuovo lavoro Francesco è testimone oculare di tante storie buffe e comiche che sembrano fantastiche e invece sono vere, come se fosse stato sul set di un film di commedie all’italiana. Provare per credere e il divertimento è assicurato! Tanti comici e cabarettisti si sono ispirati alla vita reale: Francesco avrebbe avuto tanto materiale divertente da proporre al pubblico su un palcoscenico.

     Poi, quel buon uomo è alla ricerca di una nuova compagna dopo la vedovanza e parla di alcune donne presentate da un’agenzia matrimoniale. Si meraviglia delle loro stranezze e di come possano esserci al mondo persone difficili e siffatte alla ricerca del pollo da spennare!   

      Francesco lo definisco un eroe moderno per come ha affrontato e superato le difficoltà della vita, senza perdere mai la calma, la razionalità, l’autostima e la forza di volontà, non maledicendo la sorte, non imprecando e non invidiando gli altri. Il suo punto di forza è stato quello di essere un rubamestiere, ma non per copiare come un pappagallo, bensì quello di migliorare l’idea.

     Ogni pagina del libro riserva delle belle sorprese e si vorrebbe che la sua lettura non terminasse mai. Come autore non ho mai illuso o deluso i miei lettori. Alla fine resterà un retrogusto di bontà e il messaggio di Francesco che bisogna rispettare due regole fondamentali: la prima è non arrendersi mai; la seconda è ricordarsi della prima. Nel libro c’è una lunga lettera inviata all’Angelo Custode sotto forma di preghiera e di protezione. La sola lettura di questa lettera vale il costo del libro!

     Chi non ne approfitta oggi, domani se ne pentirebbe perché, poi, va fuori edizione. Leggendo il libro si imparano tante cose nuove e inedite.

Buona vita

 

 

 

14 Febbraio  2024: san Valentino
Pensieri di amore.

San Valentino ci raccomanda di festeggiarlo tutti i giorni perché non si può essere innamorati a giorni alternati o in modo casuale. Il primo consiglio da dare, al di là di altri pure importanti, è quello di amare senza se e senza ma; il resto passa in secondo ordine di importanza.

Ognuno si faccia una domanda – pensando alla sua dolce metà – chiedendosi con tutta sincerità e libertà di pensiero: Se io tornassi indietro nel tempo la sceglierei di nuovo la mia dolce metà? Nella sua risposta affermativa e sincera è contenuto tutto l’amore che prova nei suoi confronti. Basterebbe questa semplice risposta e le altre eventuali domande sarebbero inutili o di secondo ordine.

La felicità ha tante facce e tra queste una delle più belle consiste nell’amare e nell’essere amati. Che bella quest’affermazione: Se per il mondo tu sei solamente un numero, per la persona amata tu sei tutto il suo mondo!

Qualche anno fa era di moda regalare alla persona amata la medaglietta d’oro con incisa la frase: “Più di ieri e meno di domani”. Poi, è andata fuori moda perché considerata banale. Ma la banalità è stata quella di considerarla banale.

Ci sono due frasi che fanno molto riflettere e ve le dico: “Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna” e “Dietro una grande donna c’è sempre un grande uomo”. Le due frasi si commentano da sole, perché tirare in due il carretto è più facile e meno pesante la fatica. 

Non dimentichiamo mai che si impara ad amare amando. Ognuno lo faccia come meglio sa farlo e non perdere mai di vista il concetto la “Misura di amare è di amare senza misura”.

Ci sono quattro paroline poco usate o date per scontate. Ve le ricordo e vi dico che scontate non lo sono mai, piuttosto vengono sottointese, ma è meglio dirle: Grazie, prego, scusa e posso. Non è tutto dovuto; è solo rispetto!

Buona, lunga e serena vita dall’autore Carmine Scavello. 

Ah, il mio quarto libro pubblicato dal titolo “I battiti dell’amore” parla dell’amore universale. Tra il 1°capitolo “L’amore per Dio” e il 43° “L’amore per se stessi” ce ne sono altri 41 che trattano altri amori.

 

27 Gennaio  2024: Giornata della Memoria
Fare lo sforzo di leggere questa lettera è come onorare la memoria di tanti innocenti, che hanno avuto il solo torto di essere venuti al mondo nel momento e nel posto sbagliati. Non bisogna mai dimenticare che gli altri siamo noi!

Per dovere di cronaca, la data del 27 gennaio di ogni anno – giorno della liberazione dei prigionieri dai lager di prigionia della seconda guerra mondiale – è stata proclamata dalle Nazioni Unite come la Giornata Mondiale della Memoria in modo universale e perenne, perché gli uomini non dimentichino gli orrori di quei campi di sterminio in conseguenza della guerra che si stava combattendo in Europa e nel resto del mondo.

     Per scrivere qualcosa in merito – che colpisse – su questa Giornata Mondiale della Memoria, che non deve passare in secondo ordine, ho pensato di dedicarle uno spezzone del capitolo dedicato al mio personale commento della canzone “AUSCHWITZ” di Francesco Guccini. Suddetto capitolo l’ho voluto fermamente inserire nel mio settimo libro dal titolo “Canti Canzoni Cantanti” insieme a tanti altri brani musicali di successo che fanno parte della colonna sonora della vita di ognuno di noi.

    Guccini ha inteso il testo del brano musicale, al di là del successo discografico, come mezzo di denuncia del dramma umano dell’olocausto. Egli ha composto e cantato la storia terrificante e simbolica di un bambino sconosciuto che è morto bruciato nei forni crematori del campo di sterminio nazista di Auschwitz. 

     La sua storia è raccontata a simbolo di altri milioni di vittime dell’orrore che hanno subito la stessa fine in quell’inferno terreno. Guccini allarga, poi, la denuncia a ogni guerra che si combatte nel mondo. All’epoca della composizione dei versi si stava combattendo la guerra del Vietnam, così il suo pensiero fu rivolto anche al dramma di quel conflitto e alle sofferenze di quel popolo. 

    L’autore della canzone si chiede: Come può l’uomo uccidere un suo fratello! Eppure, siamo a milioni in polvere qui nel vento! Questa è la strofa della canzone che fa più senso. In essa è concentrato lo sterminio di numerosi innocenti nel campo di Auschwitz. Le vittime designate di quel massacro avevano il solo torto di appartenere a una diversa etnia, considerata a torto una razza inferiore; quindi c’era l’ordine di sopprimerle per non contaminare la loro razza ariana considerata di livello superiore.  

     Il cantante si mette nei panni della gente comune e si domanda come l’uomo sia caduto così in basso per arrivare a compiere il male in quel modo orribile e inumano. Chi ha dato ai carnefici l’ordine di togliere la libertà e la vita a esseri simili e diversi solo per stirpe e per luogo di nascita ha commesso un crimine contro l’umanità. La vita non appartiene agli uomini; è stata data a loro come dono dal Cielo per viverla e non per essere sacrificata per fini distruttivi in nome di un diritto che nessuno ha concesso ai loro giustizieri. Chi sopprime una vita umana per la legge di Dio e degli uomini è considerato un assassino e come tale va punito e ripudiato.

     In quel luogo freddo e inospitale – per il gelo e la neve e funesto per la crudeltà che si respirava – era ammassata una moltitudine di prigionieri in attesa dell’esecuzione finale. Eppure, in quella grande prigione super controllata era presente uno strano e inquietante silenzio, che sapeva di rassegnazione e di perdita di ogni speranza. Intanto, il fumo dei forni crematori, saliva in cielo attraverso i camini e si disperdeva nel vento per dissolvere nell’aria il dolore e l’odore acre di morte di tanti poveri e innocenti esseri umani di tutte le età e di differenti estrazioni sociali.  

    Quei carcerieri erano uomini bruti che si comportavano come bestie assetate di sangue; il loro uso della ragione era irrazionale e violento; non conoscevano la pietà umana. Io come ascoltatore del brano potrei pensare che tanti sorveglianti fossero stati costretti a ubbidire a degli ordini precisi, impartiti dall’alto, che non lasciassero spazio al perdono e alla compassione. Forse si sentivano a posto con la propria coscienza in quanto eseguivano ordini precisi e indiscutibili a cui non potevano disubbidire, pena complicità e insubordinazione, ed erano severamente puniti.

     Alla fine, Guccini ci lascia la speranza che l’uomo si possa ravvedere e imparare la lezione che si può e si deve vivere senza ammazzare. Lo fa con un invito diretto e forte perché vorrebbe porre fiducia nell’umanità e nell’altruismo affinché nasca un mondo migliore nel quale l’uomo non abbia più sete di sangue e si decida a rispettare il prossimo come se stesso con tutte le sue diversità. 

     L’artista aspetta che quel vento finalmente non soffi folate cariche di odio e di morte; le immaginava pesanti e irrespirabili a causa di tutti quei morti. La bestia umana non si era fermata nemmeno davanti l’innocenza di un bambino. Forse, quel vento finalmente si poserà e non porterà più nell’aria quell’odore macabro e terrificante. Ad AUSCHWITZ tante persone, ma un solo grande silenzio!

Buona vita dall’autore Carmine Scavello

06 Gennaio  2024: Epifania

Cosa sperate di trovare nella calza? Ognuno si dia da solo la risposta che si meriti!

Se simbolicamente vi troverete il carbone, pensate a qualche capriccio, a una mancanza di rispetto, a un torto, a una promessa non mantenuta, a non aver fatto il proprio dovere. 

Ma è solo la tradizione che richiede di appendere ai piedi del letto o sul davanzale del camino una calza e sperare che un’anima buona vi metta qualcosa di carino, ma solo come invito a un buon comportamento, perché il carbone vi aspetta al varco. 

     Con la memoria si torna indietro nel tempo a quando le mamme – le vere befane, ma soprattutto angeli della casa – ci facevano capire che durante la notte sarebbe arrivata la vecchietta con le scarpe tutte rotte e la veste alla romana. Solo all’Epifania è concesso togliere i dolcetti appesi all’albero di Natale, ammesso che non sia rimasto solo l’involucro. I furbetti hanno fatto la birichinata dal primo momento della preparazione dell’albero di Natale: i peccati di gola, da che mondo è mondo, sono sempre esistiti.

     In fondo la befana è buona, ma viene descritta come una vecchia bacucca. Forse perché è povera rispetto a Babbo Natale. E’ dipinta come una strega molto anziana solo perché viaggia su una scopa, ma non fa incantesimi malefici e né trasforma in corpi inanimati le persone. Porta i regali e, poi, scompare nel nulla; inoltre, durante un anno intero nessuno le rivolgerà un pensiero. Eppure non fa nulla di male e non è vero che porta il carbone; sono le mamme che hanno diffuso questa diceria e danno la colpa a lei per punire le marachelle dei figli con una mano, mentre con l’altra danno loro una carezza e un regalino.

     Una mamma non farà mai soffrire il suo bambino, andrebbe contro i suoi principi, negandogli il regalino: fa solo la voce grossa per farsi ubbidire e farsi promettere ubbidienza. Lo fa con amore e per il suo bene per farlo crescere nella correttezza. Le mamme hanno imparato a memoria il seguente ritornello: Volete il regalo dalla Befana? Fate i bravi! Senza far capire che, male che vada, il carbone è di zucchero.

     Siamo all’epilogo: con la data del sei gennaio le festività terminano e si ritorna alla normalità. Non è raro sentire proferire auguri di Buona Pasqua, almeno in certe zone d’Italia non è scomparsa questa usanza. 

     Babbo Natale viene descritto come un marito generoso che lascia la moglie al Polo Nord per andare in giro per il mondo a portare i regali ai bimbi che gli hanno scritto la letterina. Ma la Befana chi troverà al ritorno? Nessun autore di libri per ragazzi ha detto che la Befana abbia un marito e così passa come una vecchia zitella in modo dispregiativo. Nessuno ha mai detto dove abita durante l’anno, perciò non riceve le letterine dei bambini.

     In questa giornata, alle donne si dice in modo scherzoso e allegorico Befana, come se fosse la loro festa e sono contente così verrebbero festeggiate due volte all’anno: il sei gennaio e l’otto marzo. Che mi risulti nessuna di loro si sia offesa per questo appellativo, perché in fondo la Befana è buona. Perciò si consideri un complimento. Se non fosse buona non porterebbe i regali.  A marzo si regala la mimosa e il sei gennaio cosa si potrebbe regalare a una donna che porta i regali? Come minimo un sorriso, amore, rispetto alla sua dignità e un grazie per tutto ciò che fa per la comunità.

Buona vita dall’autore Carmine Scavello.

01 Gennaio  2024:  Buon anno

Lettera di Buon Anno 2024

 Il 2023 stanco se ne va e giammai più ritornerà.
Il 2024 invece più vivace ci porterà felicità e pace.

 Quando arriviamo puntualmente al traguardo della festa di San Silvestro, ci guardiamo indietro – ma il gesto non vale per tutti – per vedere se abbiamo fatto, tutto bene o in parte, ciò che ci eravamo promessi di fare. Immancabilmente, scopriamo che tante promesse non sono state mantenute, magari non per colpa nostra. Viviamo a stretto contatto con gli altri e siamo soggetti a condizionamenti, che spesso ci complicano o rallentano la vita.

     Ci rendiamo conto che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e, per restare nel clima marittimo, facciamo promesse da marinai. Quanti bei propositi non sono stati mantenuti! Quel che ci consola è mal comune mezzo gaudio: gli altri con cui ci confrontiamo non sono migliori di noi. Abbiamo lo “stesso comune e inevitabile difetto” di promettere, in teoria sulla carta, quello che, poi, si dimostra di essere più difficile da mantenere nella pratica.

     Siamo distratti da altri interessi e da tanti pensieri e non sempre diamo priorità alle promesse espresse a cuor leggero. Forse sarebbe meglio promettere di meno o poco e agire di volta in volta sotto forma di sorprese: ciò farebbe stare meglio sia noi che il ricevente delle promesse. Senza mettere le mani nel portafoglio, il regalo più bello e apprezzato è donare il nostro tempo, che è una parte indissolubile di noi stessi. Dopo la salute viene il tempo, perché non è illimitato e, una volta speso, lo è per sempre.

     Quel Francesco, un mio noto personaggio letterario, disse a un ragazzo che si lamentava e faceva una tragedia per un piccolo affare non andato in porto:

se tu perdi un gruzzoletto di soldi, lo potrai recuperare, ma se perdi o sciupi un pezzo della tua vita svanisce per sempre. Come vedi, hai una ricchezza per le mani e non te ne rendi conto!

     E così arriva l’Anno Nuovo e come dice la filastrocca: ci porterà felicità e pace! E’ l’augurio più ricorrente che ci si scambia a ruota. Le buone intenzioni ci sono tutte, come c’erano pure negli altri anni precedenti. Si aspetta con ansia la mezzanotte per farci trovare svegli dal Nuovo Anno, che parte un secondo dopo lo scoccare delle ore ventiquattro del trentuno dicembre, e ricominciare così a vivere pimpanti con la speranza di un altro anno migliore dei precedenti.  

     Il brindisi è d’obbligo come nelle grandi occasioni: se non c’è il tintinnio dei bicchieri pieni di spumante a far compagnia alle fette di panettone o di pandoro non è Capodanno! In questa circostanza, qualcuno butta in strada dalle finestre piatti scheggiati e altri oggetti usati come per dire:

mi sto disfacendo delle cose vecchie. Voglio rompere definitivamente col passato, occupare simbolicamente il loro spazio con oggetti nuovi e andare incontro a un futuro migliore, come per simboleggiare di liberarmi di cose inutili e sostituirle con le nuove.  

     Un mio ex collega, bolognese di lavoro, mi raccontò che dalle sue parti si bruciava un fantoccio costruito con materiale infiammabile – detto Il vecchione – per tagliare i ponti col passato e celebrare contenti l’Anno Nuovo. La tradizione voleva che con quel simbolo il Capodanno festeggiato fosse certo di aver visto la fine dell’anno vecchio, come fecero i suoi predecessori.

     E’ così che gira il mondo! Tutto ha un inizio e una fine: fa parte della fugacità del tempo. Ecco il consiglio di nonna Rosina – una vecchietta scaramantica del mio rione, considerata la nonna di tutti per la sua saggezza -: a Capodanno consigliava di mettere una foglia di alloro nel portafoglio o in una tasca dei vestiti perché allontanava le vibrazioni negative e le sostituiva con quelle positive. In fondo, tuttora quest’operazione costa poco tempo e denaro e per chi ci crede è un rito scaramantico. Vanno bene anche lenticchie, melagrana … e uva, lasciando libera scelta per altri prodotti o articoli.

    L’uso dei botti – oggi proibito in molte città – rappresenta per gli amanti di questa consuetudine l’allontanamento degli spiriti maligni: il rumore li spaventa e li spinge lontano.

    Comunque, ognuno faccia come meglio creda e usi tutti i metodi propiziatori che voglia per augurarsi un Buon Anno: è un modo come un altro per scacciare via la negatività e portare serenità e prosperità. Ah, ricordiamoci che quest’anno abbiamo un giorno in più da vivere!

 Buona vita e Buon Anno e che si realizzino i vostri desideri dal vostro amico autore Carmine Scavello

15 Settembre  2023: un nuovo libro”Francesco , l’uomo che dava del tu alla vita” 

E’ in uscita il nuovo libro, il nono, del nostro socio e scrittore Carmine Scavello, dal titolo “FRANCESCO, l’uomo che dava del tu alla vita”. Di seguito una breve presentazione a cura dell’autore.

Lettera agli amici per reclamizzare il mio nuovo romanzo e per invitarli all’acquisto, prima che il libro vada fuori edizione. A voi pochi Euro non vi mandano in malora, ma, in compenso, vi danno l’opportunità di conoscere mondi e ambienti diversi, che nessun altro libro ve ne parlerà. Se avete letto altri libri, questo si aggiungerà a quelli di vostro gradimento; se finora ne avete letto pochissimi e nel caso non ne aveste letto nessuno, questo libro sarà il vostro battesimo di fare amicizia con la lettura.

Vi comunico che ho pubblicato il mio nono libro dal titolo “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita”. Per scrivere questo romanzo mi sono ispirato alla vita e alla storia di un uomo buono, sereno, solare, lungimirante … una bella persona. Francesco, nome inventato, è un nostro collega che ha lavorato in GTE/Siemens per circa un ventennio nel periodo anni Settanta/Ottanta. 

Il mio nono libro “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita” manda il messaggio che: “si impara a dare un senso alla vita, vivendo il presente”. Domani, oggi sarà ieri e il tempo non aspetta nessuno. E’ un raccomanzo di circa 250 pagine che è ambientato a Terravecchia, in Germania, in Lombardia.

     A Terravecchia il testo parla di radici, usi, costumi, tradizioni, feste popolari e vita quotidiana, fuga da quel treno maledetto che lo stava conducendo ai campi di concentramento. Fu salvato per miracolo dal suo Angelo Custode.

      In Germania tratta la vita degli emigranti per ragioni di lavoro: lontananza, nostalgia, sacrifici, umiliazioni, mancanza della famiglia, il difficile inserimento, l’ignoranza della lingua, la diffidenza della gente del luogo, la dura vita nelle baracche a contatto con persone di regioni ed etnie diverse e spazi comuni sottodimensionati e carenti del minimo necessario, con turni massacranti per cucinare, per fare il bucato o semplicemente per la pulizia personale quotidiana. 

     In Lombardia racconta il trasferimento della famiglia nella nuova realtà: la ricerca difficoltosa di una casa in affitto, del lavoro e l’inserimento nella nuova comunità, che diffidava dei nuovi arrivati. Per colpa di pochi individui scorretti e irrispettosi delle regole di buona convivenza, ne pagano le conseguenze le tante persone corrette e oneste! Sul luogo del nuovo lavoro Francesco è testimone oculare di tante storie buffe e comiche che sembrano fantastiche e invece sono vere, come se fosse stato sul set di un film di commedie all’italiana. Provare per credere e il divertimento è assicurato! Tanti comici e cabarettisti si sono ispirati alla vita reale: Francesco avrebbe avuto tanto materiale divertente da proporre al pubblico su un palcoscenico.

     Poi, quel buon uomo è alla ricerca di una nuova compagna dopo la vedovanza e parla di alcune donne presentate da un’agenzia matrimoniale. Si meraviglia delle loro stranezze e di come possano esserci al mondo persone difficili e siffatte alla ricerca del pollo da spennare!   

      Francesco lo definisco un eroe moderno per come ha affrontato e superato le difficoltà della vita, senza perdere mai la calma, la razionalità, l’autostima e la forza di volontà, non maledicendo la sorte, non imprecando e non invidiando gli altri. Il suo punto di forza è stato quello di essere un rubamestiere, ma non per copiare come un pappagallo, bensì quello di migliorare l’idea.

     Ogni pagina del libro riserva delle belle sorprese e si vorrebbe che la sua lettura non terminasse mai. Come autore non ho mai illuso o deluso i miei lettori. Alla fine resterà un retrogusto di bontà e il messaggio di Francesco che bisogna rispettare due regole fondamentali: la prima è non arrendersi mai; la seconda è ricordarsi della prima. Nel libro c’è una lunga lettera inviata all’Angelo Custode sotto forma di preghiera e di protezione. La sola lettura di questa lettera vale il costo del libro!

     Chi non ne approfitta oggi, domani se ne pentirebbe perché, poi, va fuori edizione. Leggendo il libro si imparano tante cose nuove e inedite.

Buona vita

 

15 Agosto 2023: Auguri di Buon Ferragosto a modo mio!

Vi consiglio di leggere tutta la lettera: ne vale la pena. Una giornata è formata da 1440 minuti; per voi riservarne circa 3 per la sua lettura non è poi un così grande sacrificio; gli altri possono aspettare. Ritagliatevi questo piccolo spazio in ossequio alla vostra libertà. Prevedo che vi farò cantare e vi terrò legati alla sua lettura fino alla fine della lettera.

1.“Comincio con Buon Ferragosto a modo suo!”

L’amministratore delegato di una grande azienda di automobili durante un’intervista rilasciata nella giornata di un 15 agosto così disse: Auguro a tutti Buon Ferragosto, la buona salute e di stare bene economicamente. Aggiunse anche: un emiro che mi compri un’auto di lusso lo troverò sempre, ma se il popolo stringe la cinghia e non arriva a fine mese, chi mi comprerà un’utilitaria? Lascio libertà di commento.

2.“Continuo con Buon Ferragosto a modo mio!”

Do simbolicamente a tutti i lettori 14 matite diversamente colorate per scrivere a caratteri cubitali le lettere che compongono le due parole BUON FERRAGOSTO e colorarle allegramente con i colori della fantasia e della speranza. Poi, costoro affideranno il messaggio augurale al proprio Angelo Custode perché lo consegnasse ai Suoi Simili per recapitarlo ognuno ai propri protetti. Un augurio così bello e originale avrebbe una diffusione più capillare e, nel contempo, la protezione divina, data la vicinanza degli Angeli Custodi alle Figure Celestiali di più alto rango.

Francesco, il mio personaggio letterale, che alcuni lettori hanno già conosciuto e altri, spero, conosceranno – se avranno il piacere e la curiosità di leggere la vita e la sua storia romanzate -, nel giorno di Ferragosto lui dedicava alle persone care e amiche il suo augurio di pace, di serenità, di prosperità, di buona salute e di lunga vita. Viveva questa giornata nell’allegria per contagiare chi gli stava intorno col suo buonumore e col suo ottimismo, mentre mandava un pensiero anche a coloro che non erano in grado di festeggiare perché impediti da disaggi e problemi. Alzava al cielo un calice di vino per brindare alla loro salute nell’attesa di giorni  migliori.

Nel suo vocabolario non sono mai esistite le parole odio, guerra e ingiustizia. Quell’uomo giusto e umano voleva il bene di tutti: asseriva che essere felice tra persone felici era il modo più grande di assaporare la felicità. Faceva diventare speciale il giorno di Ferragosto che per alcuni era solo un giorno comune, mentre per lui aveva valenza religiosa per festeggiare l’Assunzione della Madonna in Cielo e quella pagana di riunirsi per meglio condividerne la gioia dell’amicizia e dei legami affettivi.

Mi viene in mente la canzone “Girotondo intorno al mondo” di Sergio Endrigo. E’ meravigliosa e piena di speranza la strofa: E se tutta la gente si desse una mano, se il mondo veramente si desse una mano, allora si farebbe un girotondo intorno al mondo, intorno al mondo! Solo così facendo si sconfiggerebbe la cortina di odio tesa da tanti irresponsabili e assetati di potere e si darebbe un calcio poderoso alla guerra, che crea solo morte e rovine e vincitori e vinti che si leccano le ferite. Ah, al maestro Sergio Endrigo ho dedicato un intero capitolo nel mio settimo libro “Canti Canzoni Cantanti” come pure a tanti cantanti famosi saliti in cielo come lui.

Non servono grandi preparativi a fare un grande Ferragosto: basta che ci sia la buona armonia per renderlo speciale e consegnarlo alla propria storia come un giorno vissuto in allegria, meglio dei precedenti. Ci sono pure persone, purtroppo, che non festeggiano la festività e non possono andare in vacanza: anche a loro va l’augurio di BUON FERRAGOSTO.

Auguri di Buona, lunga e serena vita e di nuovo Buon Ferragosto dallo scrittore Carmine Scavello

09 Agosto 2023: la Pazienza !

 La pazienza!

Siamo in tanti a volere e a pretendere tutto e subito senza avere la pazienza di aspettare, dimenticando che per nascere abbiamo dovuto attendere ben nove mesi, sacrificati nell’angusto spazio della placenta. Basterebbe andare dal contadino e chiedergli chi gli dà la pazienza di aspettare il giusto tempo per raccogliere i frutti del suo paziente lavoro.

Dobbiamo impegnarci pazientemente con tutte le forze per risolvere i problemi con i propri mezzi e le con le proprie capacità. Dio interviene solo in pochi casi se siamo in difficoltà, ma a patto di esserci impegnati al massimo. Non ci regala il Suo aiuto, senza la nostra collaborazione: ama le persone tolleranti e di buona volontà e sopporta i parassiti – in fondo son sempre figli Suoi – che si aspettano l’aiuto dal Cielo senza muovere un dito, come se tutto fosse dovuto. Però, a volte anche i Santi perdono la calma, quando si tira troppo la corda.

Nel malaugurato caso che si perdesse la pazienza, Francesco, il protagonista del mio nono libro dal titolo “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita”, nel corso della sua esistenza, avrebbe consigliato di:

1. lasciar perdere e di non arrabbiarsi per futili motivi e senza senso;

2. prendere tempo e contare almeno fino a dieci prima di reagire e agire;

3. cercare di non essere troppo pignoli e far finta talvolta di essere ciechi e

sordi, ma entro i limiti della decenza per non passare per fessi;

4. rilassarsi e pensare ad altro;

5. pensare alle conseguenze che potrebbero scaturire dagli scatti di ira;

6. capire i motivi della perdita della pazienza e valutare se ne è valsa la pena

di aver reagito in quel modo;

7. inculcare il concetto che ogni azione richiede il suo tempo;

8. affidarsi a San Camillo De Lellis che è il protettore della pazienza;

9. convincersi che il mondo non è stato creato in un solo giorno;

10. bisogna non augurarsi che la pazienza, messa troppo volte in gioco,

diventi rabbia. Le parsone buone e pazienti, quando perdono la pazienza,

diventano peggio dei peggiori cattivi.

Chiudo con una battuta del grande Totò di una scena di un suo film. Totò ne panni di medico gira tra i reparti dei ricoverati. Un paziente va in incandescenza, così Totò si rivolge a lui e gli dice:

Ma signor paziente, abbi pazienza perché se lei non ha pazienza che paziente è? Abbi pazienza!!!

Buona vita

Ah, sebbene gli esempi di soggetti pazienti siano tanti, ne cito qualcuno come il pescatore con la canna, il ragno … la mamma che ascolta i figli. Lascio a voi il compito di allungare la lista.

25 Novembre 2022: Giornata mondiale contro la violenza sulle donne

La violenza sulle donne è, purtroppo, un problema annoso e delicato e mai risolto finora alla radice. Non è di facile soluzione immediata, in quanto i casi sono infiniti e tutti diversi l’uno dall’altro e quasi sempre cominciano in ambienti familiari. I casi denunciati sono molto pochi per pudore e per cattiva reputazione verso l’opinione pubblica.

Le leggi finora emanate hanno ridimensionato il problema, ma, se non si cambia la mentalità delle persone coinvolte, non si arriverà mai alla definitiva conclusione del fenomeno. Puoi legiferare come e quanto vuoi, però, se non cambi la testa dei violenti, si è sempre punto e daccapo. Pensare di riuscire a capire il pensiero umano equivale a dire che il mare finisca all’orizzonte.

Comunque, non bisogna mai girare la testa dall’altra parte e ignorare per non far finta di non voler vedere. Il semplice fatto che si festeggi questa giornata e se ne parli ogni anno è positivo per sperare in un cambiamento radicale, ammesso che possa esserci, ma è sempre bello pensare in positivo.

I casi sono talmente tanti e diversificati tra di loro che talvolta qualcuno di noi diventa spettatore involontario di situazioni critiche, che, prima o poi, potrebbero sfociare in violenza, se non si intervenisse in tempo reale e in modo categorico per dare l’esempio e la sicurezza che lo Stato c’è e funziona.

Tante avvisaglie premonitrici fanno capire che una coppia è scoppiata. Ma come si fa a mettere il becco nella loro relazione per non essere accusati di ingerenza in fatti che non ci appartengono? Solitamente ognuno si fa i fatti propri a meno di casi molto gravi ed eclatanti! Però, i fatti della pentola li conosce solamente il mestolo!

Io non mi reputo una persona esperta e documentata sulla psiche e sui comportamenti umani, però, ne ho capito qualcosa in merito attraverso l’osservazione acuta degli atteggiamenti degli animali.

In natura – allo stato libero – si formano tante coppie di animali che durano tutta la vita per il bene loro e della specie. Li definisco monogami nei fatti; ne cito qualche nome: il pappagallo, il cigno, il castoro, il gufo … l’elenco continua. Conoscendoli e osservandoli bene, ci danno tante lezioni di vita sul loro rapporto di convivenza, vivendo semplicemente la loro normalità.

Io vi ho trovato il segreto della durevolezza della loro unione. Fate come me a osservarli e capirete che non è poi così difficile stare al mondo. Se gli animali sanno stare bene insieme, vivendo in amore e in accordo, perché non dovrebbero farlo anche gli umani? Gli esseri umani hanno il dono dell’intelligenza e tanti non l’usano o lo fanno in modo sbagliato: copiare gli animali una volta tanto non è regressivo o offensivo.

Buona vita dal vostro amico scrittore Carmine Scavello


1 Novembre 2022:  Impressioni di NOVEMBRE

Per tanti novembre, in generale, è un mese mesto: le giornate sono più corte, più piovose, più umide e più uggiose; la natura si prepara ad affrontare il lungo letargo invernale. In compenso regala a tutti degli eventi che ci interessano più da vicino. Eccone due!

La festa di Ognissanti dà a coloro che non hanno il proprio nome stampigliato sul calendario di festeggiare l’onomastico. Ci ricorda che tutti sulla carta abbiamo la possibilità di essere santi; nasciamo liberi e innocenti, ma col peccato originale che il battesimo cancella. I santi nascono come persone comuni: sono il loro percorso di vita esemplare e la fede profonda che li rendono beati e meritevoli di essere citati giusti e puri davanti Dio e gli uomini. Solo la comunione col Signore consente loro di fare i miracoli, come premio alla loro condotta immacolata.

Non è facile essere santi per chi vive nel quotidiano – qualche volta peccando – e non si priva dei piaceri terreni. Per tutti gli altri comuni mortali, invece, è un dovere morale essere buoni e ubbidire alle leggi della buona coscienza, compiendo opere di bene e rispettare e amare il prossimo come se stessi.

L’altro evento è la ricorrenza dei defunti. Per chi non va spesso al cimitero, almeno questo è il giorno buono di fare una visita ai propri cari passati a miglior vita. La commemorazione ci ricorda che le persone che amiamo, e che ci hanno lasciato, non sono sole – come si crede – e solo nel luogo di sepoltura, ma continuano a vivere dentro di noi, ovunque noi andiamo.

I saggi ammoniscono che non dobbiamo essere tristi perché i nostri cari ci hanno lasciato per passare a miglior vita – come si dice in gergo – ma, dobbiamo essere lieti perché con loro abbiamo condiviso un pezzo, più o meno lungo, della nostra vita in comune. Aggiungono a riprova del loro ammonimento che: Nessuno muore mai del tutto; c’è sempre qualcosa di lui che rimane nel cuore di coloro che ha amato, e da cui è stato riamato, e che non esiste separazione definitiva, fin quando dura il ricordo.

Questa giornata celebrativa che ci rende tutti uguali alla fine dei nostri giorni ci rammenta che: La morte è un’ombra che segue sempre il corpo. E’ ciò che evoca un famoso proverbio inglese. I benpensanti ammoniscono che: la vita è così breve e che il mestiere di vivere è così difficile che, finalmente quando si comincia a imparare, purtroppo, è tempo di lasciare questo mondo. Mi viene in mente la poesia del grande Totò “La livella”. Ciò mi fa pensare che quando si varca, senza ritorno, quel cancello diventiamo orizzontali e tutti uguali ed entriamo nel mondo dei più.

Compare Gennaro diceva a proposito: Non è più grande chi occupa grandi spazi quando è vivo, bensì colui che lascia grandi vuoti quando non c’è più. Intendeva dire che ognuno ha il dovere di fare della sua vita un capolavoro e lasciare una traccia indelebile del suo passaggio terreno per essere ricordato come una brava persona amante del bene e rispettoso del prossimo. Aggiunse, in parole povere, che: alcuni individui accumulano tante ricchezze nel corso della loro vita come se dovessero portarsele con loro nell’aldilà e dimenticano che non sono eterni e tutto ciò che costruiscono sulla Terra rimane agli eredi che faranno festa con le sue ricchezze. Quindi consigliava che: è meglio vivere ricco che morire ricco! Infine, ripeteva spesso: morto io, morto il mondo! Do una mia interpretazione: Con questo motto si augurava di essere ricordato, giacché il mondo non può morire.

 BUONA vita dall’autore Carmine Scavello

25 Ottobre 2022:  Guerra e pace – “Occhio per occhio rende il mondo cieco” (Gandhi)

Carissimi/e,

se tutte le parole, che si scrivono e che sono state scritte e pronunciate a favore della pace e della concordia tra i popoli fossero lette e ascoltate dai belligeranti sul campo, questi ultimi si farebbero un esame di coscienza e capirebbero che le guerre non sono eterne. Comprenderebbero che i morti e le rovine resterebbero a testimonianza della loro scelleratezza e cocciutaggine. Alla fine, si ristabilirà l’equilibrio rotto, ma tanti si leccherebbero le ferite. Poi, ci vorranno anni e anni per dimenticare le offese e ritornare amici come un tempo, ammesso che si metta una pietra sopra e si sotterri l’ascia di guerra per sempre.

E’ chiaro a tutti che ci sono aggressori e aggrediti, però, se viene messo di mezzo l’orgoglio, ogni tentativo di pace finisce prima di cominciare gli incontri pacificatori. I mediatori avrebbero pane per i loro denti se le loro parole spese a favore della riappacificazione rimbalzassero indietro come una palla di gomma lanciata contro un muro di cemento. Solo la saggezza può far cambiare idea, la testardaggine – intesa come negazione – mai.

Se i belligeranti facessero finta che non sia successo nulla, la loro tesi non starebbe in piedi: ormai l’odio è entrato nei cuori di chi ha perso qualcuno in guerra. A quest’ultimo è crollato il mondo addosso: una morte innocente piange sempre vendetta e l’odio coverà sotto la cenere. Dire all’oppresso porgi l’altra guancia, non se parlerebbe nemmeno; semmai ti risponderebbe occhio per occhio e dente per dente. E’ così che cominciano le faide tra i popoli e ci saranno sempre più orbi e sdentati.

Fin quando il torto e la ragione si fronteggiano, nessuno fa un passo indietro. Chi dei due capi andrebbe dal suo popolo e direbbe: mettiamoci una pietra sopra! Le rovine e i massacri non si possono cancellare con una spugna. L’offeso vuole giustizia; l’offensore dice che è stato indotto a dichiarare la guerra per riavere quello che prima era suo. Abramo Lincoln affermava: “Ogni volta che c’è un conflitto tra diritti umani e di proprietà, i diritti umani devono prevalere”.

Come uomo di strada dico la mia: contendenti fermatevi subito prima che le condizioni precipitino e cadiamo in un vortice senza ritorno! Continuare a combattere una guerra insensata vuol dire aumentare l’agonia di un popolo e nel contempo far pagare le conseguenze della guerra anche a coloro che le subiscono indirettamente, diventando sempre più poveri con le sanzioni, le restrizioni, gli aumenti dei prezzi delle materie prime e la chiusura delle aziende.

Comunque, è giusto non girare la testa dall’altra e non dire che non è un problema nostro. Se un pazzo premesse il bottone sbagliato, tutta l’umanità sarebbe in serio pericolo. Viviamo su una polveriera atomica e ciò dovrebbe far ragionare i belligeranti a cercare un punto d’incontro, prima che sia troppo tardi. Al momento, abbiamo solamente questo unico pianeta su cui vivere: perché si dovrebbe distruggere solo per il volere di pochi, assetati di potere?

Buona vita, Carmine Scavello

 

8 Ottobre 2022:  Convegno annuale dell’ALA a Pavia
Cari amici,
di solito i ringraziamenti si fanno alla fine della lettera, ma io stravolgo la regola e dico subito: grazie ALA per la perfetta organizzazione! Nulla è stato lasciato al caso e, come sempre, tutto è filato liscio come l’olio, grazie all’amore e alla passione che ci mettono i tuoi organizzatori del consiglio.
Finalmente siete riusciti a organizzare il convegno annuale in presenza: non vedevamo l’ora di salutare i vecchi amici e di trascorrere con loro, serenamente, una bella giornata come ai vecchi tempi. Il periodo di pandemia è stato duro per tutti e, ora che si è aperto questo spiraglio, sarebbe stato un vero peccato non potervi partecipare in massa.
Il presidente Daniele Roderi ha comunicato che eravamo in 120 e ha dato anche la bella notizia che il numero degli iscritti è aumentato: supera di una buona spanna la quota di 300 soci.
Nei giorni precedenti l’evento, ho chiesto a degli ex colleghi – normalmente presenti – se fossero venuti al convegno e sono rimasto deluso dalla risposta che ho avuto da qualcuno. Mi è stato detto: che ci vengo a fare! Ho già visitato Pavia e la Certosa in programma, perciò preferisco fare altre cose più interessanti. Gli ho risposto: tu non hai capito lo spirito della partecipazione; si va al convegno per ritrovare l’atmosfera di un tempo e per rievocare i bei momenti vissuti insieme.
Ecco il mio pensiero. I luoghi da visitare passano in secondo ordine rispetto alla gioia che si prova nel riabbracciare simbolicamente e salutare calorosamente i vecchi compagni di lavoro con cui abbiamo condiviso un pezzo della nostra storia. Non ho parlato nella lettera volutamente dei luoghi visitati, in quanto sui motori di ricerca si trovano notizie più dettagliate della mia eventuale descrizione. Ora che ci ritroviamo accomunati dalla stessa giornata di festa è bene salutare tutti e presentarsi a coloro con cui abbiamo avuto in comune pochi o nessun rapporto di lavoro: L’azione di chiedere come si chiamano e in quali reparti hanno lavorato è la chiave per rompere il ghiaccio e presentarsi con semplicità e in pena libertà a sua volta a costoro, che abbiamo conosciuto solo di vista e che non abbiamo mai salutato e solo per una forma di riservatezza e di distacco; eravamo circa tremila dipendenti all’inizio, per poi calare piano piano di numero.

    Posso affermare che, col passare del tempo, la memoria non aiuta a ricordare di alcuni i nomi e l’occupazione svolta in azienda, quindi rivolgere loro un cordiale saluto è il mezzo che ci consente di riallacciare i rapporti vecchi e di crearne dei nuovi. È in questi contatti umani e amichevoli che bisogna ricercare lo spirito che ci accumuna nell’associazione e che ci fa sentire membri di un unico gruppo solidale senza scopi di lucro.
Apro una piccola parentesi. Quando eravamo in attività per lo stesso logo, si creavano, purtroppo, momenti di astio, di incomprensioni, di gelosie e di antipatie; ora che il tempo ci ha messo un velo sopra, sarebbe l’occasione giusta di porre fine a quei rancori e stringersi la mano da buoni amici e dare un calcio a quel passato. Dico ciò – sottovoce per una forma di riservatezza – perché più di una volta, durante precedenti convegni, ho assistito a scene antipatiche di persone che si evitavano volutamente e io sapevo – personalmente o da fonti sicure – che erano in rotta da tempo per liti e questioni mai chiarite. Hanno lasciato l’azienda portandosi dietro il rancore: il convegno annuale è il momento giusto di usare l’intelligenza per vincere i risentimenti, metterci una pietra sopra e far prevalere l’amore sull’odio. Siamo quasi tutti pensionati e la vita ci ha livellati!
Quando mi sono iscritto al convegno, mi sono tornati in mente alcuni vecchi amici, che sono saliti in cielo prematuramente durante la pandemia. Così, ho pregato per la loro anima e me ne sono fatta una ragione per non poterli più incontrare durante il convegno. Più di un tavolo, precostituito per consuetudine da anni, d’ora in poi, avrà un posto vuoto simbolicamente.
Torno alla visita guidata. Rivedere i luoghi proposti per la visita guidata non è mai la stessa cosa: essi non cambiano mai, siamo noi che col tempo cambiamo le nostre emozioni, i nostri sentimenti e il modo di pensare, di agire e di comportarci. Basta una guida nuova o la compagnia diversa per creare nuove situazioni e vedere i luoghi artistici sotto un altro aspetto. I giorni non sono tutti uguali per sentire le stesse sensazioni. Raccomando ai soci di intervenire numerosi ai prossimi convegni annuali, qualunque siano i luoghi che l’ALA ci proporrà: l’importante è partecipare; il resto è tutto cornice alla giornata di festa collettiva.

Buona vita e un caro saluto dall’autore Carmine Scavello.

 Ah, se volete leggere altri commenti di convegni precedenti, basta scrivere su Google “Carmine Scavello le sue storie “e fate scorrere. Vi si aprirà davanti gli occhi, come per magia, un mare di parole; navigate dolcemente su questo mare e fermatevi in un porto qualunque a leggere una sua storia. In qualunque momento ci saranno altri porti in cui fermarvi e altre storie interessanti di vario argomento da leggere e rileggere: c’è solo l’imbarazzo della scelta! Provare per credere. Non ho mai illuso e deluso nessuno; chi mi ha conosciuto come autore non mi ha più abbandonato e non lo dico per superbia, ma per realtà dei fatti.

 Nella stessa pagina di Google mi conoscerete sotto la veste di autore di otto libri già pubblicati e vi anticipo che altri libri sono già pronti per vedere la luce nei prossimi anni. Se volete avere in mano qualcosa di più sostanzioso, leggete uno dei miei libri e non vi pentirete della scelta. Potrebbero essere un’ottima idea regalo che farà felici voi che donate e il fortunato ricevente.

Contatti: mail carminescavello@yahoo.it ; Facebook

2 Ottobre 2022:  Festa dei Nonni
I nonni, figure straordinarie, impagabili e insuperabili.
Ho chiesto a dei bambini come giudicano i nonni dal loro punto di vista e mi hanno risposto che sono le persone più buone del mondo. Poi. uno di loro mi disse: pensi anche tu la stessa cosa sul loro conto? E io quale risposta avrei potuto dargli? Naturalmente risposi che ero d’accordo con lui e ci aggiunsi pure che sono individui meravigliosi, insostituibili e ineguagliabili.
D’altronde l’unico nonno che ho conosciuto – quello paterno – mi ha suggerito tale risposta, pensando al suo comportamento esemplare. L’altro nonno e le due nonne sono saliti in cielo prematuramente, senza aver avuto il piacere di godermeli.
Un tempo l’età media era più bassa di quella di oggi, in quanto le condizioni ambientali e la qualità della vita erano carenti dal punto di vista medico e sanitario e dei sacrifici immani a cui erano sottoposti dalla vita.
Quei bambini mi dissero pure che la cucina dei loro nonni era sempre aperta e che li viziavano con cibi sfiziosi; li lasciavano liberi di toccare tutte le cose della casa e non ne erano gelosi. E pensare che ai loro figli non permisero di fare le stesse cose. Anzi, i nonni giocavano con loro e ritornavano anch’essi bambini. In generale, i nonni sono più elastici dei genitori e, quando è l’ora della nanna, non fanno troppe discussioni come i loro figli e li fanno stare con loro a guardare insieme la televisione o ad ascoltare le storie per incantarli.
Vien da pensare, con cognizione di causa, che non esistano complici migliori e disponibili dei nonni, che amano immensamente i nipoti; rappresentano la continuazione del casato e su di loro hanno affidato le loro speranze per continuare il lavoro da loro iniziato.
Solitamente tutto ciò che viene proibito dai genitori viene tollerato dai nonni. Se il genitore proibisse o punisse i figli costoro non lo rinnegherebbe e rispetterebbero il suo ruolo di insegnare le regole e di prendersi cura di lui. Se lo facesse il nonno verrebbe visto come l’orco cattivo che ha tradito la loro fiducia.
Quindi alla luce dei fatti, sono pochi i nonni che sgridano o puniscono i nipoti, né li picchiano per non essere giudicati cattivi. Il loro rapporto, in fondo, è solo di secondo grado. Più che parenti, i nonni vengono visti come amici con i quali giocare e relazionare.
La complicità consiste nel fatto che i nipoti vengono viziati e coperti di regali e di coccole per farseli amici. Per giustificare l’amore concentrato dei nonni lo devo al fatto che il tempo non gioca a loro favore: i nipoti diventano ben presto adulti e i nonni invecchiano velocemente.

Buona vita dall’autore del testo. Un caro saluto Carmine Scavello

Ah, nel mio quarto libro pubblicato ho dedicato un capitolo intero ai nonni.

2 Giugno 2022:  Festa della Repubblica

Per sentirci veramente Italiani sotto un’unica Repubblica occorrerebbero più giustizia, più legalità, più senso civico, più patriottismo, più rispetto della cosa pubblica, … più senso del dovere.

Sto chiedendo troppo? Non direi. Basterebbe che ogni cittadino si sentisse fiero di far parte del nostro popolo e contribuisca al benessere collettivo come richiama la nostra Costituzione, secondo le proprie possibilità e il rispetto dei ruoli.

Chi ha in mano le leve del potere agisca come un buon padre di famiglia per far quadrare i conti e gestire al meglio le risorse disponibili e abbia una visione più lungimirante del futuro.

Mi ha colpito una frase ascoltata, casualmente, e proferita da un uomo seduto a conversare con gli amici a un tavolino di un bar, che diceva testualmente:

. gli Italiani sono al verde;

. passano le notti in bianco per le preoccupazioni;

. hanno il conto rosso in banca.

Cosa si può rispondere a quell’uomo? La Repubblica si potrà risollevare se tutti remassimo nella stessa direzione; se tutti dessimo a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare; se ognuno facesse mea culpa dei danni arrecati alla collettività; dicesse di voltar pagina; e promettesse di essere un cittadino modello, rispettando le regole del vivere civile.

Facendo cose straordinarie? No, vivendo la propria normalità e restando nei propri confini, che gli garantisce la Repubblica, senza invadere quelli degli altri. Lo so, è solo utopia. Ci vorrebbe il miracolo che la Stella, rappresentata nello stemma, illumini le menti di tutti gli Italiani per farli sentire fieri dell’appartenenza e concorrere al suo prestigio.

La Stella è circondata dall’ulivo, che è messaggero di pace, e dalla quercia, che rappresenta l’emblema della forza e della dignità del popolo intero, per il quale tanti suoi figli hanno versato fiumi di sangue per portare la Nazione allo stato attuale.

I nomi di quei cittadini sono incisi su targhe di marmo collocate sui monumenti ai caduti di ogni borgo, paese e città. Ogni comunità ricorda i suoi eroi che hanno sacrificato la propria vita per la Patria. Il Presidente della Repubblica li ricorda tutti ponendo una corona di fiori davanti il monumento del Milite Ignoto.

Buona festa della Repubblica e buona vita dal vostro amico scrittore Carmine Scavello

8 maggio 2022:     Festa della mamma 
di colei che è mamma; di coloro che hanno ancora una mamma; di coloro che hanno una mamma perennemente nel cuore; di chi sta per diventare mamma – per tutti i figli del mondo.

Comincio con una frase significativa che mi è rimasta immortalata nella memoria. L’ho sentita la prima volta proferire da una saggia vecchietta del mio rione, considerata la nonna di tutti, in quanto faceva da balia ai figli di quelle mamme che di giorno andavano a lavorare in campagna. Ecco cosa asseriva: Un padre può rinnegare e scacciare un figlio scapestrato per il disonore; fratelli e sorelle diventare nemici e odiarsi per beghe familiari o per la proprietà; un marito o una moglie possono rompere il loro rapporto matrimoniale e affettivo; una mamma, invece, non abbandonerà mai un figlio e non farà mai calare il sipario sulla loro relazione di sangue. Questa mamma ossequia il detto che: ella viene al mondo per perdonare! Dispensa amore al posto di Dio, che l’ha nominata Sua vice,in quanto non poteva fare da solo tutto Lui.

Quella signora, diversamente giovane, conosceva il mestiere di mamma e di nonna: aveva messo al mondo tanti figli e si era fatta le ossa, insegnando il rispetto, l’educazione e le buone maniere, dando prima di tutto l’esempio; predicava bene e non razzolava male per essere credibile. Nei panni di mamma era stata sempre in grado di affermare che un sì e un no, detti in maniera decisa, educativa e persuasiva, non devono lasciare ombra di dubbio per non creare confusione tra il lecito e l’illecito.

Mi sono chiesto come facciano due mamme di Paesi e lingue diverse a parlare tra di loro dei propri figli e farsi capire senza perdere il filo del discorso; sicuramente è un sesto senso che le guida e che gli altri esseri umani non posseggono, se non sono mamme anche loro.

Tutte le mamme sono orgogliose quando i figli fanno carriera e migliorano il loro benessere e lo stato sociale; contrariamente, soffrono se un figlio rimane indietro nella società e per lui darebbero la vita pur di far migliorare le sue condizioni e di far cambiare la direzione del vento della fortuna in suo favore. Giusto o sbagliato che sia, non sta facendo differenze; sta solo aiutando umanamente chi è rimasto più indietro nella scala sociale; costui può sperarlo solamente che lo facesse la sua mamma e non qualcun altro!

Quando ero ragazzo e mi sentivo triste, mia madre capiva al volo il mio stato di malessere momentaneo e mi diceva: chiudi gli occhi e pensa alle cose più belle che ti sono capitate o ai sogni che vorresti siano realizzati; il giochetto funzionava a meraviglia come per magia, in quanto lei sapeva trasmettere sicurezza e colorare i pensieri negativi. Riusciva a spandere ottimismo e a portare un raggio di luce nel buio della vita.

Ora che sono adulto e lei non c’è più da un pezzo è come se non fosse mai andata via dalla mia vita e da questo mondo, che ella ha cercato di migliorare col suo esempio positivo e lungimirante. Pensare a lei, in certi momenti di difficoltà, dà quella carica energetica di reagire e avere la sensazione di non essere solo; è come se fosse ancora al mio fianco a consigliarmi e a coccolarmi. Sono le stesse parole di tanti di noi che nel momento del pericolo non facciamo altro che dire: mamma mia aiutami tu!

Come è strana la vita! Forse lo sembra, ma non lo è; se ci riflettiamo bene mamma è la prima parola che pronunciamo quando impariamo a parlare e in certi momenti di pericolo. Non c’è modo di ringraziare la mamma e ripagarla di tutte le premure; quello che fa per un figlio è impagabile; può mantenerne un numero imprecisato e un numero imprecisato di figli non riesce a mantenere una mamma; lei lo sa e non se ne fa un problema o un dramma; accetta la situazione e non impreca contro nessuno, sarebbe come imprecare contro se stessa, in quanto quei figli sono una parte di lei.

Un ringraziamento a tutte le mamme di sempre e buona vita dall’amico scrittore Carmine Scavello

“25 Aprile: Festa della Liberazione”

Mi limito nella narrazione per non annoiarvi troppo con la sua lettura: l’argomento è talmente vasto e richiederebbe troppi fogli per parlarne più dettagliatamente.

Non vorrei dire un’eresia se dicessi che noi Italiani non abbiamo una Festa Nazionale che sia festeggiata da tutti con orgoglio e passione, senza remore e rancori tuttora non dimenticati da parte dei vinti e dei vincitori. Guardo con un po’ di invidia i Francesi che festeggiano il 14 luglio – Bastille Day, presa della Bastiglia nell’anno 1789 – e gli Americani che inneggiano al 4 Luglio – Independence Day, che commemora la Dichiarazione dell’Indipendenza che avvenne nel 1776. Volendo, noi saremmo come loro o migliori di loro, se ci sentissimo un popolo unito sempre e non solo in caso di calamità o di vittorie sportive.

Mio zio Mosè, fratello di mio padre, è morto in un campo di prigionia in Germania. Il suo nome, insieme a tanti altri sventurati come lui, è inciso in una lastra di marmo in bella mostra sul Monumento ai Caduti delle guerre mondiali. In tanti anni ho visto solo pochissimi giovani che si siano fermati a leggere quei nomi, come se non fossero appartenuti alla loro comunità, né chiedersi perché fossero ricordati in quell’elenco. Aggiungo che la libertà non è un bene acquisito per sempre; viaggia in modo precario sulla lama di un rasoio e potrebbe perdere l’equilibrio e cadere da una parte o dall’altra a seconda del periodo storico, favorevole o sfavorevole.

Il 25 Aprile per alcuni è una semplice data del calendario; per la stragrande maggioranza della popolazione italiana, invece, è una parte essenziale della nostra storia moderna: è da quel giorno del 1945 che possiamo sentirci più liberi. Il saggio direbbe che: è meglio la peggiore delle democrazie che la migliore di tutte le dittature; essere liberi, mentre altri non lo sono è solamente una concessione che fa aumentare le distanze e creare differenze. La libertà è come l’aria che respiriamo: ci accorgiamo della sua mancanza quando qualcuno dovesse soffocarla.

La libertà è un concetto astratto che diventa materiale quando ci consente di muoverci liberamente ed esprimere il nostro pensiero: non vuol dire fare ciò che si vuole, perché ha dei confini stretti da non superare per non interferire con quella degli altri. Anche l’uomo più ricco del mondo con tutti i suoi soldi non può fare quello che vuole: le regole di buona convivenza esistono anche per lui e deve capire che l’importante è essere e non apparire. Barattare la dignità non è da tutti; così pure la libertà! Spesso l’incubo del bisogno limita la libertà.

Una persona si sente veramente libera quando si svincola dai pregiudizi, dalle apparenze, dai giudizi altrui, dai sensi di colpa e dalla paura di sbagliare e di parlare.

Buona vita dal vostro amico scrittore Carmine Scavello

11 marzo 2022: gita in Liguria

11-12-13 marzo 2022: “Alla scoperta delle inedite meraviglie della Liguria”. Luoghi visitati: Finalborgo, Castelvecchio di Rocca Barbena, Principato di Seborga, Bordighera, Dolceacqua; Cervo, Sanremo, Savona .

Non descrivo volutamente questi luoghi caratteristici e ameni, citati nel titolo, in quanto la rete li spiega meglio di me e ci aggiunge pure interessanti notizie storiche e vicende umane. E poi, farei l’errore di dedicare più spazio ad alcune località e meno ad altre; così, lascio ai lettori la libertà individuale della lettura sui siti riservati ai suddetti luoghi.

Le località sono tutte meritevoli di essere menzionate per il loro aspetto culturale del nostro patrimonio artistico nazionale. Sono tutte presentate con l’appellativo di Borghi più belli d’Italia; io convengo che la scelta sia giusta e rispondente alla verità. Quello che io ho visto con gli occhi viene illustrato con le immagini e arricchito di didascalie pertinenti nei loro siti.

Senza fare un torto ad altri territori, altrettanto belli, del nostro patrimonio artistico, paesaggistico, storico e naturale, dico che non visitare i luoghi, citati nel titolo, si farebbe un torto al creato e all’ingegno umano. È vero che l’uomo li ha valorizzati, però, sono stati la loro bellezza e la posizione geografica e strategica a farne la sua dimora e a trasformarli in museo a cielo aperto. Colli e colline anonime sono diventati mete turistiche grazie al lavoro dell’uomo, che nel tempo li ha popolati e valorizzati.

I borghi dell’entroterra un tempo erano molto popolati per merito delle famiglie numerose, che vi dimoravano stabilmente; oggi, si vedono molti usci chiusi, pochi bambini rincorrersi per le vie e cartelli in vendita come case di villeggiatura. Adesso, mettere su un’attività commerciale o artigianale proprio in quei posti, lontani dalla costa, non è il caso: ci sono pochi abitanti stabili e i pochi negozi rimasti aperti lo sono per la fermezza dei proprietari di restare radicati al proprio paese e che non vogliono emigrare per un fatto puramente affettivo.

È stato un onore e un piacere visitare questa regione – ricca di storia, di tradizioni popolari, di arte, di cultura e di orgoglio – che si estende in lungo tra il Mar Ligure e la linea che delimita le cime delle montagne. Ovunque si vedono panorami mozzafiato, che si perdono nell’infinito, dove il cielo si abbraccia col mare e con la Terra. Ogni fazzoletto di spiaggia è stato sfruttato dall’uomo per trarne benefici economici, offrendo, in cambio, un servizio ai bagnanti e agli amanti del mare.

Alle spalle della Statale Aurelia – che l’attraversa per tutta la lunghezza – abbellita di alberghi, ville, monumenti e da attività umane si estende il territorio dei piccoli allevatori e dei contadini, che lottano contro l’asprezza del territorio, che non offre vasti terreni coltivabili e non trattiene la poca acqua piovana che scivola a valle.

Ma ahimè, di acqua in certi periodi dell’anno ne scende dal cielo talmente tanta che i torrenti si gonfiano a dismisura e allagano i centri abitati, situati a valle. Non do la colpa ai corsi di acqua, bensì agli uomini che nel tempo hanno ridotto ai minimi termini il letto degli innocenti torrenti. Chi è causa dei suoi mali pianga se stesso! Purtroppo, il bisogno non fa prevedere, ma provvedere. Ho visto su un muro a Finalborgo una riga che segnava l’altezza dell’acqua raggiunta durante un’alluvione.

Data la poca terra coltivabile, sono nati, perciò, i terrazzamenti – chiamati localmente fasce -, una bella soluzione per rendere coltivabili in orizzontale terreni scoscesi. L’abilità sta nel costruire muri di sostegno, incastrando le pietre una nell’altra senza bisogno di malta o di cemento e creare delle terrazze con l’aggiunta di terriccio. L’acqua piovana filtra attraverso i sassi e non arreca danni alle strutture murarie.

La nostra guida – Silvana Minuto, originaria di quella regione -, che ci ha fatto compagnia per tre giorni interi, ci ha descritto in modo impeccabile le bellezze artistiche e naturali; noi le vedevamo con gli occhi e le apprezzavamo col cuore, mentre lei le spiegava con tanto orgoglio. Avrebbe voluto darci tante altre notizie: parlava come un’enciclopedia vivente e non era avara di parole nell’erudirci. Solo il tempo era una limitazione alla diffusione del suo sapere. Per tutto il periodo ha organizzato le visite nei modi e nei tempi stabiliti dal programma.

E’ giusto parlare anche dell’autista Fernando della ditta di autotrasporti Origgi di Carugate. Si è messo a nostra disposizione puntualmente agli orari convenuti senza mai protestare o dare segni di nervosismo. La sua è stata una guida pacata su quelle strade collinari; nessuno ha sofferto il mal d’auto e ce ne sarebbe stato motivo.

Mi hanno sempre parlato finora dei Liguri come avari; invece, ho capito che tutto il mondo è paese: li considero, invece, parsimoniosi, in quanto si sono dovuti adattare alla scarsità di risorse, che offriva il territorio e fare di necessità virtù; è brutto, però, avere la nomea di spilorci. Hanno pensato che fosse più importante l’uomo oggi che la gallina domani. In Italia di comunità col braccino corto ce ne sono tante.

L’ulivo, la vite e qualche albero da frutta la fanno da padroni, senza dimenticare gli ortaggi e in particolare il basilico usato per fare il pesto. La coltivazione dei fiori si presta per l’ottimo clima; per questo la Liguria è chiamata anche “Riviera dei fiori”. Non mancano le palme, che qui hanno trovato il loro ambiente naturale; e pensare che vi maturano anche le banane. Se Sanremo è la città dei fiori; Bordighera è la città delle palme.

Grandi artisti, regnanti, magnati e gente dell’alta borghesia hanno scelto questa regione come luogo ideale per viverci stabilmente o venirci in vacanza. Gli abitanti del Nord vengono qui a svernare. Un richiamo lo fanno anche il Festival di Sanremo e una corsa ciclistica famosa che parte da Milano e che apre la stagione competitiva di questo sport.

La presenza di molte chiese nei centri abitati mi ha suggerito di pensare che il popolo fosse religioso e timorato di dio. La ricchezza di tanti quadri, di statue e di altari finemente addobbati e rifiniti mi fa pensare che i Liguri non fossero tirchi come si dice. Un confratello di un oratorio ci ha fatto notare una frase scritta all’uscita della chiesa, a proposito dei lavori di restauro: I ricchi hanno le idee, i poveri sono quelli che ci mettono i soldi!

Avrei voluto scrivere ancora parecchio in quanto l’argomento trattato è molto vasto e meritevole di arricchimento, ma mi devo fermare. Già c’è chi mi accusa di essere troppo prolisso.

Buona vita e buona lettura dal vostro amico e socio scrittore Carmine Scavello

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello:

18 Dicembre 2021 : Natale 2021

<< Aspettando il Santo Natale >> << Natale in allegria >>.
Introduco l’argomento festaiolo con una frase che condivido: Se volessimo rallegrarci una strada la troveremmo; se, invece, volessimo rattristarci mille scuse troveremmo in quanto siamo incontentabili e ce la prendiamo per un nonnulla. Non c’è spazio per la tristezza a Natale; questo giorno è dedicato alla nuova vita che nasce simbolicamente; ecco perché si chiama anche festa della Natività. Natale capita una volta all’anno, ma sarebbe bello se lo sentissimo tutti i giorni e rispettassimo il suo messaggio di amore e di bontà.

Se imparassimo a sorridere in automatico e senza sforzare la mente – come ci suggerisce il Santo Natale – un sorriso allegro donato con gioia, e non di circostanza, servirebbe a mettere in contatto ognuno di noi con le altre persone riceventi, perché parlerebbe la stessa lingua universale; trasmetterebbe il nostro buonumore, la nostra affabile personalità e il nostro dolce carattere senza ricorrere per forza alle parole.

È difficile rimanere impassibili e non ridere guardando una persona che ci regala un sorriso. Davanti una buona, sincera e sanguigna risata è quasi impossibile restare seri; così, quel sorriso regalato contagia positivamente il nostro umore; migliora enormemente l’euforia e fa aumentare di colpo il buonumore e la fiducia negli altri. Rompe il ghiaccio e crea empatia.

Incontrare per strada alcune persone tristi e vedere visi cupi e pensierosi – specialmente a Natale – ci fa capire che viviamo in un periodo storico con poca speranza nel futuro; ci aggiungo, pure, che la tristezza toglie la voglia di lottare e induce a pensare in negativo. In queste condizioni ci vorrebbe una cascata di allegria al giorno per rasserenare gli animi e far vedere il sole oltre le nuvole; basta un poco di zucchero e la pillola va giù. Perciò, chiediamo al Natale il miracolo di dipingere i pensieri negativi con i colori allegri dell’arcobaleno e con quelli figurati dell’ottimismo.

Ed ecco arrivare la festa giusta che apre il cuore all’allegria, in quanto questa attitudine ci insegna a stringere i denti nei momenti cruciali con la prospettiva di tempi migliori; rende la vita più sopportabile; fa vivere in pace col prossimo; fa gustare momenti di benessere fisico e mentale e gioire dei meriti legati all’attività professionale. Vengono in suo aiuto i detti popolari che enunciano: “Cuor contento Iddio l’aiuta; L’allegria scaccia il demonio perché ha paura della gente allegra”.

Se dovessi definire l’allegria, con poche parole, direi che è un impulso di gioia e di euforia insieme che si gusta attraverso il raggiungimento di un desiderio, della speranza di ottenere un bene o semplicemente di essere contenti di stare al mondo. Le persone di ogni tempo e di ogni luogo – allegre per natura o diventate tali come scelta di vita – dicono che se ridi il mondo riderà con te, ma se piangi piangerai da solo. Quindi, è meglio commiserare che essere commiserati!

Un giorno compare Gennaro alla vigilia di un Natale disse: Amici miei, se tutti gli uomini della Terra regalassero un sorriso almeno una volta al giorno, un contagio di allegria si espanderebbe a macchia d’olio sul nostro pianeta. Convincetevi che se risparmiate un sorriso ce ne sarà almeno uno che vi perderete per sempre: è il vostro che non sarà ricambiato! Aggiunse che una buona risata fa buon sangue e che un sorriso allunga la vita di un giorno.

È triste, però, vedere più maschere a Natale che a carnevale: si fanno auguri di circostanza e di facciata; per l’appunto, il saggio Ometto vestito di rosso e con la barba bianca insegna che donarsi agli altri, per elargire una parentesi di speranza e di voglia di vivere, dà la forza interiore di combattere le proprie battaglie con serenità, in quanto si ha la pace nel cuore. Non c’è un limite a donare, sapendo che si può dare di più, comunque e sempre.

Per fare un bell’albero di Natale occorrono pochi ingredienti: gli addobbi, un abete e la fede nel futuro. Quell’albero può essere anche simbolico e custodito nel proprio animo, purché gli si dia l’importanza che merita. È solo un simbolo materiale, però è legato al Natale per non far sentire le case spoglie e senza la calda atmosfera che produce la sua luce. Inoltre, ci comunica che se non sentiamo il Natale nel cuore non potremmo trovarlo sotto di lui nel cesto dei regali.

I benpensanti affermano che: Chi è arrabbiato con se stesso, con tutti e col mondo intero non sa essere allegro; la sua mente è piena di odio e ne trabocca da ogni poro. Quell’individuo è schiavo dei suoi stessi cattivi pensieri; vede intorno tutto nero e non crede nel messaggio del Natale; ha bisogno di un’iniezione di entusiasmo e di pensare che con la rabbia non si risolvono i problemi, ma solo con la mente lucida e la razionalità. Agli altri poco importa se egli è arrabbiato; tanto dicono: è un problema suo! Se invece, con animo sereno, cercasse un punto di incontro tante situazioni si potrebbero appianare e si ridurrebbero le distanze, a patto che si sotterrasse l’ascia di guerra.

L’allegria è l’ingrediente principale che compone la salute; infatti, si può affermare che chi vuol vivere e star bene, accetti il mondo così come viene. Cercare di cambiare gli altri è tanto difficile, però è più facile adattarsi agli altri e trovare un punto di equilibrio equidistante.

Per finire ricordo che il Santo Natale ci manda un messaggio prezioso: è meglio rallegrarsi per quello che si ha e che si è, piuttosto che rattristarsi per quello che non si ha e che non si è.

Buon Natale da vostro amico scrittore Carmine Scavello

Novembre 2021 : Gita a Bobbio e castello di Rivalta

Cari amici, vi invito a sedervi comodamente davanti una tazzina di caffè o una tazza di tè o a sorseggiare un bicchiere di Gutturnio o Ortrugo – vini tipici della zona geografia – con un piattino di salatini e patatine. Vi terrò compagnia per qualche minuto a leggere questa mia narrazione molto pacata, distensiva e ricca di tante curiosità sui luoghi turistici del titolo.

Con questa mia narrazione non parlo volutamente della storia, di arte pittorica e sculturale e delle opere architettoniche, in quanto non mi reputo uno storico e un critico d’arte. Sono uno scrittore osservatore della vita con la passione per l’etnografia e l’antropologia culturale e con l’amore per scrittura. Perciò, vi parlo delle curiosità e delle notizie particolari che ruotano intorno alla vita e alle attività del genere umano. Se qualcuno vorrà conoscermi come autore, ho già pubblicato sette libri dal 2013 e l’ottavo è in pubblicazione, mentre altri aspettano il loro turno. Sarò felice di autografarne le copie.

Veniamo alla gita. Sentii parlare la prima volta di Bobbio come luogo di ambientamento del film “I pugni in tasca” del 1965 di Marco Bellocchio, nativo del posto. Poi, a seguire come una delle prime città partigiane durante la guerra di Liberazione liberata dai nazifascisti; però, la libertà durò poco. In ultimo con la proclamazione come “Il borgo più bello d’Italia” nel 2019. La cittadina di Bobbio è famosa per il ponte sul fiume Trebbia, detto del diavolo. La leggenda dice che San Colombano ebbe l’esigenza di attraversare il fiume Trebbia, però fu impedito dal crollo del ponte di legno romano. Il diavolo, sentendo le sue parole, prese la palla al balzo e si offrì di costruire un ponte in muratura di undici arcate e lungo 280 metri in una sola notte. San Colombano era diffidente sulla sua celerità così accettò la scommessa con la promessa di riservare a satana l’anima del primo essere che l’avesse attraversato. Il diavolo in persona mantenne la parola data sebbene il ponte avesse delle gobbe, giustificate dall’altezza variabile dei suoi scagnozzi. Altra versione è quella che il ponte fosse gobbo e sghembo a causa di un calcio possente del diavolo per essere stato ingannato.

San Colombano ebbe un’idea geniale: quella di farlo attraversare dall’orso che gli mangiò il bue con cui trasportava il materiale per costruire il monastero. Ci sono più versioni su questo punto della leggenda: qualcuno dice che fu un cane, qualche altro una pecora; in pratica il diavolo deluso non si tenne nessun animale in quanto non provvisto di anima.

Alcune curiosità di Bobbio. Si racconta che a Bobbio vivesse un’anziana donna veggente di nome Vigena, che leggeva le carte e prevedeva il futuro delle persone: indovinava i numeri vincenti del lotto, se una donna fosse incinta prima di saperlo l’interessata e addirittura il giorno della morte del malcapitato. Dopo la sua morte le due figlie morirono di disgrazie e gli abitanti di Bobbio evitavano di camminare vicino la casa dove abitavano.

A Bobbio si usa citare molto un noto proverbio: Un pero non fa una mela; si intende che i discendenti diretti si assomiglino negativamente nei difetti dei genitori.

Anni fa circolava una leggenda metropolitana sui fantasmi di Bobbio. Sembra che una villa, sede di un orfanotrofio, fosse stata bombardata e vi perirono molti bambini orfani. I curiosi affermano che le automobili giunte in un punto in prossimità fermino i motori; che i vetri si appannino lasciando sui vetri impronte di mani di bambini; che si sentano voci di pianto come per chiedere aiuto.

In agosto dal 13 al 27 agosto si organizza a Bobbio il Film Festival; in questo periodo Bobbio si anima di attori, registi, critici cinematografici, addetti ai lavori, che è facile incontrare nelle vie del borgo e conversare con loro.

Se chiedeste a un bobbiese quali sono i piatti tipici vi risponderebbe: i pisarei e fasò – gnocchetti farina, pane raffermo e fagioli -; i maccheroni alla bobbiese – pasta ottenuta con ferro da calza e carne al sugo -; le ciambelle salate e le lumache in umido.

A Bobbio nei secoli scorsi il problema dei rifiuti alimentari – quelli solidi erano inesistenti per mancanza di carta e di plastica e degli imballaggi in genere in quanto i prodotti venivano venduti sfusi nel proprio contenitore – veniva risolto facendo circolare liberamente i maiali per le strade del borgo; divoravano tutto ciò che trovavano e si ingrassavano. Poi, venivano uccisi e la loro carne veniva distribuita ai poveri essendo carne pubblica.

Bobbio era famosa per la produzione del sale alimentare. Chiesi se c’erano miniere di salgemma e mi fu risposto di no. Ecco la vera ragione di questa fortuna. Un tempo la Pianura Padana era occupata dal mare Adriatico; in prossimità di Bobbio si formavano delle polle d’acqua molto ricche di sale marino. Bastava riscaldare l’acqua e farla evaporare; si ricavava circa un etto di sale per litro di acqua.

Un’altra curiosità sono le Maldive bobbiesi: nei pressi di Bobbio c’è una spiaggia – detta la Chiesetta – ricavata in un’ansa del fiume Trebbia con sabbia bianchissima e con l’acqua cristallina. Ma ahimè, a Bobbio sono preoccupati i cittadini, i canoisti e i pescatori in quanto il fiume Trebbia d’estate è quasi in secca per colpa delle dighe già costruite a monte e in costruzione.

Volto pagina per parlare anche del Castello di Rivalta non dal punto storico e architettonico, bensì delle curiosità a esso legate. Anche questo maniero come gli altri è legato al suo fantasma, anzi due: quello del cuoco Giuseppe pugnalato e strozzato e poi fatto trovare nel pozzo e quello di Pietro Zanardi Landi assassinato per l’eredità, sparito per un certo periodo e, poi, ritornato nel castello.

Si racconta che nel castello gli elettrodomestici impazziscono e si mettono in funzione da soli senza corrente elettrica, come le luci che si spengono improvvisamente e fanno i capricci; oltre alle porte che cigolano o rumori di camminata nei corridoi di notte.

Questo castello è abitato da un ramo della famiglia dei conti Zanardi Landi, che ospita membri delle famiglie reali d’Inghilterra e di Olanda; si presta per cerimonie, banchetti, matrimoni e meeting in un ambiente raffinato ed elegante.

Si ricorda il castello per il museo delle divise militari e per la conservazione di tre vessilli e undici bandiere risalenti alla battaglia di Lepanto issate sulle galere degli Scotti, avi della famiglia Zanardi Landi. Un bel ricordo lo lascia la sala delle 104 vedute ottiche originali di città europee e italiane del 1700 che al buio si accendono e creano un’atmosfera bellissima. La collezione è chiamata “Viaggio in Europa”; rappresenta la storia del figliolo prodigo che lascia la famiglia per raccontare un viaggio fatto tra l’Italia e le maggiori città d’Europa.

01-2-3 ottobre 2021 : Tour delle Marche 

Questa gita di tre giorni è stata vista come una liberazione dopo il fermo delle attività turistiche bloccate dalla pandemia Covid-19. Naturalmente, con tutte le precauzioni del caso e il green pass, è stato possibile portare a termine l’intero tour senza intoppi nei controlli burocratici. Il tempo ci è stato clemente per tutti e tre i giorni di permanenza in terra marchigiana.

Abbiamo visitato i centri storici di Fermo, di Grottammare, di Ripatransone, di Offida e di Osimo. Considero questi luoghi dei musei a cielo aperto per la ricchezza dei tesori archeologici e storici. Non mi soffermo volutamente, come in passato, a descrivere o a elencare tutte le bellezze turistiche e a fare un elenco dettagliato delle opere d’arte. Ogni lettore li potrà trovare sul Web ben mostrati, illustrati e documentati meglio di qualunque guida turistica, con tutto il rispetto che ho per queste figure professionali. Pertanto, ringrazio le due guide, Maria Brunori e Maria Stefania Conti, per l’ottimo servizio informativo offerto e l’autista Fernando della ditta Origgi Sas di Carugate.

Nella mia lettera mi limito a narrare le curiosità, le leggende e le dicerie sui luoghi e sugli abitanti delle cittadine visitate. Sono rimasto colpito dalla bellezza del territorio ondulato che si estende dal mare fino ai monti Sibillini. Tutte le campagne sono abitate e coltivate e non c’è un fazzoletto di terra incolto: i colori marroni chiari e scuri dei campi – perfettamente squadrati – arati e il verde degli uliveti e dei vigneti sembrano caselle di un gioco con un’alternanza di posizione che non stanca mai la vista.

A Fermo circolano due leggende. Quella della principessa Mirhimah figlia del sultano ottomano Solimano, rapita dal condottiero fermano Saporoso Matteucci. Costui si innamorò di Mirhimah, che ricambiò il suo amore, ma la storia sentimentale non ebbe un lieto fine perché il sultano offrì a Matteucci, come riscatto, la restituzione di cento soldati cristiani fatti prigionieri. E l’altra è quella dell’amore tra la regina Cristina di Svezia e il cardinale Decio Azzolino: i due amanti si incontravano in una villa di Grottammare. Anche qui si racconta la stessa leggenda. Altra curiosità. Tra Grottammare e la strada che conduce ai piedi di Offida e Ripatransone c’è una distesa unica senza interruzione di piante e vivai.

Il paese di Ripatransone è definito il belvedere del Piceno in quanto da qui si vedono: il Gran Sasso, il Conero e il Gargano. Il borgo è famoso per il vicolo più stretto d’Italia largo 43 cm, che abbiamo attraversato. A metà agosto qui si svolgono: la Festa del Grano e il Puzzle Gastronomico.

Grottammare alta è chiamata vecchio incasato. Qui, la chiesa di Sant’Agostino presenta una torre con la testa mozzata; si racconta che Martin Lutero mentre era diretto a Roma, prima della scomunica, fu accolto nel convento annesso alla chiesa e questo fu il motivo del suo abbassamento per punizione dell’ospitalità accordatagli.

A Offida una legenda narra che un serpente d’oro attraversò il borgo in senso longitudinale lungo la strada principale; quella via oggi viene chiamata Corso Serpente Aureo. Un’antica tradizione che fa fatica a scomparire è il merletto a tombolo; lungo il corso principale si vedono donne all’opera mentre ricamano sul tombolo con una velocità impressionante. Altre attrattive di Offida sono: lu bov fint, un bue che viene inseguito per le strade del borgo, e quella del Vlurd, un gruppo di giovani mascherati che sfilano con sulle spalle fiaccole accese che, poi, butteranno in un grande falò per suggellare la fine del Carnevale e per lasciare il posto alla Quaresima.

Di Osimo mi hanno colpito due curiosità: gli Osimani vengono chiamati senza testa. Non è un’offesa – a meno di dolo – perché nel palazzo comunale ci sono alcune statue romane con la testa mozzata. Ci sono più versioni sul caso, ma la più pratica è che gli autori del gesto credevano che all’interno dei corpi delle statue ci fossero conservati oro o oggetti di valore. L’altra curiosità è la finestra sempre aperta del Palazzo Alduini-Baldeschi al cui interno è stato trovato il corpo di una ragazza murata. Per permettere alla sua anima di raggiungere agevolmente il cielo, una finestra del palazzo che si affaccia sulla piazza sottostante rimane perennemente aperta.

Buona vita dal socio scrittore Carmine Scavello, autore del libro “Canti Canzoni Cantanti” da leggere assolutamente per i messaggi sulla vita che manda ai lettori.


20 Giugno 2021: Fai gli anni? Ascolta “Vivere” di Vasco Rossi

In occasione della festa di compleanno consiglio con discrezione ai festeggiati di ascoltare il brano musicale “Vivere” di Vasco Rossi – insieme ad altri dello stesso tenore – E’ un dolce e amichevole invito a ricordarsi che vivere è un comandamento, proprio in questo frangente festaiolo che ci si accorge dello scorrere imperterrito del tempo.

 Invio, così, dei frammenti letterali di commento personale; li ho estrapolati dal capitolo canzone “Vivere” tratto dal mio settimo libro “Canti Canzoni Cantanti”, appena pubblicato.

Vasco Rossi con questa canzone dal titolo “Vivere” manda il messaggio che la vita è troppo breve per crearsi dei problemi e rovinarsi l’esistenza. Perciò, insegna a vivere con felicità senza scoraggiarsi mai e senza perdere la speranza; invita a essere padroni della situazione in ogni momento e a non cedere allo sconforto; cercare di non fare un dramma se qualcosa non dovesse girare nel verso giusto che ci è prefissato.

 È una canzone piena di speranza che invita a desiderare sempre di più dalla vita. Il testo è molto ottimistico; è un appello a continuare a vivere, nonostante tutto senza perdersi d’animo con la forza di lottare contro ogni difficoltà; che non bisogna mai mollare, anche se sembra che il mondo ti cada addosso; così, se sei stanco di lottare e senti che ti mancano le forze accetta il consiglio che il segreto, in definitiva, è quello di vivere.

 Le note musicali e il testo invitano ad andare avanti, sebbene ci siano dei problemi; il messaggio positivo consiglia di riderci su e pensare che domani sia un giorno miglioreSorridere dei guai ci fa dire che mi piego, ma non mi spezzo, come fa la canna al vento. La vita è troppo breve per crearsi o spaventarsi dei problemi; bisogna vivere con felicità senza perdere il coraggio di affrontare l’esistenza e cercare di ridere dei guai, sapendo che noi viviamo come possiamo e non come vorremmo vivere.

 Vasco insegna che la chiave per vivere una vita nella pienezza delle forze è il sorriso; davanti la noia e gli ostacoli della vita bisogna reagire sorridendo e con molta leggerezza; con la mente serena si possono controllare gli impulsi e prendere le dovute precauzioni. Mettere la testa sotto la sabbia, vuol dire arrendersi e non pensare a nulla per non occuparsene.

In questo susseguirsi continuo tra gioia e tristezza, tra noia ed entusiasmo, tra leggerezza e gravità sta proprio la vita! Trovare il giusto equilibrio è il compito di coloro che vogliono vivere e non sopravvivere; in fondo la vita è un gioco, quindi giochiamo, anche se a volte il gioco può essere pericoloso. Noi conosciamo in parte le regole di questo gioco e la nostra influenza su di esse è minima; pensiamo di avere il controllo sulla nostra vita, però è solo un’illusione, in quanto ci riserva delle sorprese brutte e belle.

Non bisogna mai perdersi d’animo; abbiamo dalla nostra parte il modo di reagire, se con la tristezza di buttare la spugna oppure con l’energia di continuare a lottare, nonostante tutto e guardare in faccia la vita, magari sorridendole.

La depressione toglie la voglia di vivere, avvilisce lo spirito e fa subentrare la pigrizia; in questo stato sconfortante non può nascere alcunché di positivo. Invece vivere è un comandamento che invita a sperare di stare meglio di prima, anche se vedi tutto nero… La lettura del capitolo continua …

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello


09 Maggio 2021: La mamma è unica, insostituibile e impagabile!

Già, questo rigo la qualifica. Prima della stesura di questa narrazione, ho rivolto un dolce pensiero a mia madre, non più tra noi. Pur essendo stata una donna straordinaria nel suo ruolo materno, il suo comportamento era in linea con quello di tutte le mamme buone, attente e premurose che vivevano la loro contemporaneità. Ora, fatelo anche voi, prima di continuare a leggere, pensando alla vostra mamma.

Anche se l’evento festivo cade la seconda domenica di maggio, facciamo in modo, invece, di ricordarci di lei ogni giorno dell’annoÈ fortunato chi una mamma ce l’ha ancora; gli altri la conservino nel cuore, finché vivranno, come il più bel regalo avuto dal cielo. È ormai entrato nel pensiero collettivo il detto che Dio non poteva essere dappertuttocosì ha creato la figura della mamma perché facesse le Sue veci a distribuire amore.

Chi maledice una mamma, maledice Dio. Ogni torto fatto a lei è come se fosse fatto direttamente a Lui in prima persona! Lei incarna un amore senza limiti; è la confidente più fidata e mantiene i segreti fino alla morte. È l’unica lavoratrice instancabile che non va mai in vacanza. Se ci pensiamo bene, una buona mamma è in servizio 24 ore su 24, ogni giorno della settimana e dell’anno; non si lamenta mai per il superlavoro che l’attende il giorno successivo.

Da che mondo è mondo, il lavoro del padre è sempre stato svolto, per consuetudine, dall’alba al tramonto per portare il pane a casa; mentre quello della madre non ha mai avuto un orario giornaliero stabilito: è sempre stata a disposizione di tutti i familiari e non ha detto mai di no; né di essersi mai lamentata di essere stata stanca per non rispondere a un bisogno.

Le persone sagge che ho incontrato nella vita mi han detto di tenere a mente che: Potrai incontrare qualche uomo che somiglierà a tuo padre, in tutto o in parte, ma non troverai giammai nessuna donna che assomiglierà a tua madre. Potrai dire: mamma se tu non ci fossi, proverei a inventarti. Poi, ti fermerai a pensare e dirai: ma come faccio a farti bene così come sei? Sei unica e lo stampo è stato distrutto alla tua nascita, perché non nascesse un’altra donna uguale a te! Costoro a completamento del discorso, testé detto, hanno aggiunto un’altra verità, che io condivido: l’amore di tuo padre devi conquistartelo, seguendo il suo esempio e i suoi ammonimenti e non andargli contro; quello della mamma, invece, è a senso unico e non devi far nulla per meritartelo; non ti chiede nessuna contropartita in cambio e ti lascia la libertà di corrispondere il suo amore. Qualunque torto subisca dal figlio, la mamma è disposta a perdonarlo; lo fa spontaneamente e senza rancore, perché questo è il suo ruolo: distribuire amore e perdono.

Per una mamma, il figlio è sempre un bambino, anche se è diventato adultolo considera una parte di sé. Lo conduce per mano fino a quando diventa autosufficiente, ma, poi, l’accompagna per tutta la vita: si comporta come il luogo ideale dove depositare preoccupazioni e i problemi del figlio. Guai se qualcuno gli facesse del male! È disposta a difenderlo a costo della sua vita; e, anche se lei dovesse aver dei problemi personali, li accantona per risolvere quelli del figlio. A pensarci bene, anche nel mondo animale esistono casi di eroismo di mamme che immolano la loro vita a difesa dei figli. È la stessa spontaneità istintiva che guida le mamme umane, dotate di grande altruismo.

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

23 Aprile 2021: Oggi è la Giornata Mondiale del libro.

Quante persone oggi leggono libri? Si stima che siano molto pochi, in quanto preferiscono l’immagine alla parola. L’immagine è più immediata per essere elaborata dal cervello e immagazzinata; la parola va letta, capita o interpretata. Comunque, secondo studi universitari approfonditi ad opera di ricercatori scientifici si è stabilito che chi legge vive più a lungo rispetto ad un individuo che non legge mai. Tra i due estremi sono collocati coloro che leggono poco o non abbastanza per essere considerati lettori assidui.

Un lettore capisce di aver letto un buon libro quando arriva alla fine e lo deve porre tra quelli già letti. Ma non è detta ancora l’ultima parola. Un mio amico di gioventù di nome Gianni dopo aver letto un mio libro mi ha detto testuali parole:
“Carmine, i tuoi libri vanno letti tre volte; la prima per curiosità; la seconda per interesse, la terza per gustarlo.”
La tal cosa mi ha riempito di orgoglio, in quanto avevo capito che quel libro conteneva un messaggio che l’aveva colpito oppure si era ritrovato nei personaggi citati o negli argomenti scritti. Sicuramente di quei lettori come Gianni spero che ce siano tanti, perché i libri abbiano un futuro. Un altro giorno restai stupito che tre miei colleghi comperarono ciascuno due copie del libro ambientato sul nostro mondo del lavoro. Lì per lì pensai che avessero fatto un regalo con la seconda copia; invece, non era questa la verità. Mi dissero che una copia era riservata per uso strettamente personale e l’altra l’avrebbero prestata, come capita talvolta quando è difficile dire di no. Allora feci mente locale al detto popolare che dice testualmente: Chi presta un libro è uno stupido; chi non lo restituisce è stupido due volte! Il mio vecchio maestro di scuola elementare fece passare il messaggio che un bambino che legge sarà un adulto che penserà un domani.
Ricordo pure che un mio vicino di casa detto compare Domenico ogni tanto chiamava un bambino, che sapeva già leggere, e gli diceva: fammi la magia di far parlare quel mucchio di fogli che hai nella cartella di cartone e raccontami una storia che qualcuno vi ha nascosto. Si commuoveva perché aveva capito che durante la sua vita aveva perduto l’occasione di non essere andato a scuola. Essere rimasto analfabeta e non possedere l’uso della lettura lo faceva sentire un uomo vuoto che viveva e vegetava.
Un tempo si credeva che la ricchezza di un uomo si misurasse in base ai libri che aveva nella sua libreria e non per il numero di bovini ed equini che aveva nella stalla. Mio padre diceva – per provocare una reazione – che il vizio di leggere fa meno male del vizio di fumare, in quanto la lettura passiva non è dannosa per la mente; anzi fa benissimo a chi ascolta. Come è strana la vita: nella Giornata Mondiale dedicata al libro, le persone si dividono in due gruppi: c’è chi aspetta l’uscita di un libro nuovo e chi invece aspetta il film che è ispirato dal quel libro. Vedere sul comodino la copertina di un libro che piace concilia li sonno: provare per credere!

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

19 marzo 2021: Festa del papa’

Pensiero dedicato al proprio papà con grande affetto e riconoscenza.

Auguri a tutti i Papà: a quelli che sono felicemente tra noi e a quelli che ci guardano da lassù! Tutti ne abbiamo Uno nel cuore. Da piccoli Lo vedevamo come un eroe, un Uomo col cuore grande come il mare e con una bontà immensa; eravamo orgogliosi di Lui, perché oltre, a volerci bene, ci proteggeva e ci forniva l’occorrente per vivere con dignità, rispetto e coraggio.

Tante ragazze passano la vita a cercare l’Uomo perfetto; poi, si accorgono che vive intorno a loro: è il loro Papà che non le abbandonerà per nessun motivo al mondo, né tradirà la loro fiducia. È come un Angelo Custode che si prende cura dei figli e per loro si butterebbe nel fuoco senza indugio.

È sempre attuale il detto che un Padre mantiene dieci figli e dieci figli non mantengono un Padre. Per quanto un figlio voglia bene al proprio Papà, sappia che non eguaglierà mai il Suo bene in qualità e quantità. Se c’è qualcuno che ti dicesse di volerti più bene del tuo Papà, io direi a costui che ti sta tradendo o ingannando.

Il Papà è sempre un punto di riferimento e una guida; anche se non è un angelo o un re è pur sempre l’Uomo più importante della propria vita. È pur vero che ogni uomo può diventare Papà, però, per essere un vero Papà occorre che quell’Uomo sia una Persona unica e speciale.

Un figlio capirà il ruolo del Papà quando anch’egli diventerà Papà a sua volta e ne vestirà i panni. Ogni buon Padre desidera che suo figlio sia migliore di Lui e non la Sua fotocopia per permettere che lo fossero anche i nipoti in confronto ai pronipoti.

Ho sempre saputo che fanno più male i rimproveri del Papà che le sculacciate col battipanni della mamma. Se la mamma è l’angelo della casa, non posso smentire che il Papà ne sia l’anima. Per una buona educazione, mio nonno diceva che se il Padre vede, il figlio non fa. Non occorrono lunghi discorsi per educare i figli, ma buoni esempi, quelli sempre. In una casa dove regna l’ordine, il Padre è l’ultimo ad andare a letto e il primo a svegliarsi; insegna che il pane non scende come manna dal cielo.

Ho imparato nella vita che è più facile che i figli chiedono al Padre che il Padre ai figli. Il Padre è felice quando dona ai figli; fa parte della Sua indole naturale! Un buon Padre non fa carnevale per far fare quaresima ai figli! Lo dimostra quando torna a casa con le mani sporche dal lavoro per non far mancare il necessario ai figli.

Ognuno dovrebbe dirgli: viva il mio Papà! Per quando io ti ringrazi, non ti ringrazio abbastanza! Per quanto ti dica ti voglio bene, non eguaglio mai il Tuo.

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

3 febbraio 2021: Festa di San Valentino

Sono anni che si festeggia questa ricorrenza e convengo che resiste alle mode e ai tempi; l’amore è sempre esistito ed esisterà sempre come antidoto contro il male e l’odio. Potrebbe sembrare strano se affermassi che l’odio, in un certo senso, è figlio di un amore perduto.

Quell’unione rotta, sicuramente non basata sull’amore vero, somigliava ad una casa costruita sulla sabbia, che alla prima intemperia di una certa consistenza crollò come un castello di carta o di sabbia. L’amore tra due persone non dev’essere un mezzo di unione, bensì il fine primario, usato come collante. Perciò, quando non si ama troppo, la logica ci dice che non si ama abbastanza. Solitamente, quando una storia d’amore finisce si verifica che potrebbe essere uno solo a soffrire in quanto, se nessuno soffre, sta a significare che l’amore non è mai iniziato; se, invece, soffrono tutte e due è indice che la storia non è mai finita.

Una vecchietta saggia ripeteva spesso ai corteggiatori del suo rione che l’amore non è un gioco. Poi, faceva un giro di parole per fare un discorso basato tra amore e gioco per esprimere un concetto condiviso e che quando si scherza troppo col fuoco si rischia di bruciarsi le mani. Ecco quanto diceva: Se vuoi giocare gioca, però se vuoi amare ama. Ricordatevi di non giocare ad amare e di non amare per gioco per non pagarne, poi, le conseguenze. Io dico che se ci fosse stato un segreto generale a rendere qualunque amore durevole, l’avrebbero già scoperto e diffuso per consentire agli amori di durare in eterno.

La gente è alla ricerca del buon lavoro, del denaro, delle buone relazioni e del successo. In effetti, sono cose importanti e gratificanti perché aiutano a vivere meglio, ma se ci si pensasse un attimo si direbbe che, se mancasse l’amore ad allietare la vita, tutte quelle gratificazioni non avrebbero molto senso. Non condividere la felicità con una dolce metà, non completa la vita.

Si pensa che l’amore eterno sia una chimera, però, tante realtà ci dimostrano il contrario. È così difficile andare d’accordo? Dipende se si dona veramente tutto se stesso senza chiedere nulla in cambioQuando due persone si mettono insieme ognuna delle due dona un po’ di sé e prende un po’ dell’altra, in un libero scambio per completarsi a vicenda. Ci sono parole che non bisogna mai dimenticarsi di farne buon uso quali comprensione, altruismo, pazienza, libertà, allegria, gentilezza, condivisione; a questi bisogna far seguire di mettere al primo posto i sentimenti, i valori e gli ideali e, poi, le cose materiali.

Le coppie di una certa età si sono sposate in tempi di vacche magre, quando mancava anche il necessario. Gli sposi si dicevano l’un l’altra: non abbiamo niente, ma saremo capaci di avere tutto; mettiamo insieme le forze e tiriamo insieme il carrettoBastava uno sguardo per capire cosa volesse intendere l’altro: avevano la pazienza di aspettare tempi migliori e la speranza di non arrendersi mai. Avevano buoni esempi da imitare e la forza di rialzarsi dopo ogni caduta!

Buona Vita dallo scrittore Carmine Scavello

3 febbraio 2021: Festa di San Biagio.

Scrivere su questo santo, molto venerato in tutta Italia, ci vorrebbero fiumi di inchiostro. Molte feste popolari, tradizioni, detti e proverbi sono legati al Suo nome. Mi limito a dire l’essenziale per ricordare queste Figura Celestiale, che ha conquistato nel tempo la venerazione di tanti fedeli.

Ecco una mia breve narrazione.

Oggi è San Biagio protettore della gola e dei raffreddori. L’invito è di mangiare in questo giorno una fetta di panettone rigorosamente avanzato a Natale per questo scopo. È un rito scaramantico per chi ci crede; per gli altri è un modo carino di addolcire il palato.

Questa tradizione è nata nella zona del milanese, però nessuno vieta di rispettarla in tutto il Paese. È un segno di auspicio di Buon Anno, cominciato da poco. I vecchi milanesi dicevano: “San Bias el benedis la gola e il nas”; credevano alla tradizione in quanto male non portava e nel contempo dedicavano una preghiera al Santo perché li proteggesse dai malanni dell’inverno.

Naturalmente questo rito si riferisce ad una leggenda popolare nata a Milano. Una donna prima di Natale portò a benedire il panettone da un certo frate di nome Desiderio, ma lui, non avendo tempo in quel momento, disse alla donna di lasciarlo in canonica; l’avrebbe benedetto quando si fosse liberato dall’impegno. Poi, il tempo passò. Il frate pensò che la donna si fosse dimenticata, così un po’ alla volta mangiò tutto il panettone e ne rimase solo l’involucro. Quando la donna se ne ricordò e tornò a riprenderlo sia lei che il frate ebbero la grande sorpresa di trovare per miracolo un panettone fragrante nell’involucro. Quel miracolo fu attribuito a San Biagio, perché cadente nel giorno a Lui consacrato!

A testimonianza della Sua fede, una statua di marmo bianco alta due metri e pesante dodici quintali è posta in Suo onore su una guglia del Duomo di Milano. Alla figura del santo è collegato un pettine di cardatore di ferro della lana con cui fu torturato; per questo è diventato il protettore dei cardatori di lana. Ho saputo che prima di San Valentino era stato Lui il protettore degli innamorati.

Chi era San Biagio? Era un medico vescovo armeno che salvò un bambino da soffocamento, a causa di una lisca di pesce conficcata nella gola, con una mollica di pane, che prima benedisse.

Col tempo si è scoperto che San Biagio non è venerato solo nel milanese, ma in altre parti d’Italia, tipo Campania e Abruzzo. I Campani festeggiano il Santo mangiando “Le polpette di San Biagio”, mentre gli Abruzzesi consumano piccole pagnotte dette “Panicelle” – piccoli pani fatti con acqua e farina a forma di mano benedicente – per benedire “I taralli di San Biagio”, ottenuti aggiungendo alla pasta lo zucchero e i semi di anice, da offrire ad amici e parenti per augurare la buona salute e la felicità. Le Panicelle venivano mangiate alla stessa stregua del panettone per difendere la gola dai malanni.

Esistono dei proverbi e dei detti popolari per ricordare la festività. Eccone alcuni: “Per San Biagio, il freddo è andato”; Il giorno della festa di San Biagio chi ha la legna fuori la tira dentro; Il giorno della festa di San Biagio la gatta si lecca il naso; Il giorno della festa di San Biaggio ogni pollastra fa l’uovo;

Il giorno della festa di San Biagio se c’è il gelo si scoglie, se non c’è si forma; Il giorno della festa di San Biaggio da ogni buco entra il sole; A San Biagio il sole nelle case.

La cultura popolare delle campagne napolitane riporta un divertente intermezzo tra la Candelora e San Biagio e una vecchia saggia. La Candelora disse: “Dell’inverno siamo fuori”. Le rispose San Biagio: “Ma va, l’inverno comincia ora”. Intervenne la vecchia saggia per ribadire: “Dall’inverno saremo fuori quando la foglia del fico sarà grande quanto lo zoccolo del bue”!

Una storiella racconta che una contadina molto povera aveva un maialino. Un lupo lo catturò per mangiarselo, così la contadina pregò San Biagio di farselo restituire sano e salvo; San Biagio costrinse il lupo a restituire il maltolto e ottenne dalla contadina la promessa di accendere ogni anno una candela in segno di gratificazione.

In alcune chiese i fedeli si recano in chiesa per farsi benedire la gola; il rito consiste nell’appoggiare due candele incrociate e legate insieme da un nastro rosso per ricordare il sangue del martirio di San Biagio. Chi va oggi nei supermercati trova i panettoni a prezzi molto scontati; c’è chi li riduce del 50%. Un tempo i negozianti li vendevano tre per uno per andare incontro ai poveri; i malpensanti dicevano che lo facevano per smaltire i fondi di magazzino.
 
Buona vita e che San Biagio ci protegga!

28 01 2021: I giorni della Merla

Si parla tanto di questo periodo, così ho deciso di attingere dal mio bagaglio culturale, accumulato negli anni, per scrivere questo breve saggio, senza la pretesa del saputello, che non mi appartiene. Voglio solo richiamare l’attenzione affinché ognuno arricchisca l’argomento con le proprie conoscenze.

Questi giorni dell’anno si riferiscono agli ultimi tre del mese di gennaio – 29, 30, 31 – secondo una vecchia tradizione popolare milanese e non solo; sono considerati i più freddi dell’inverno. A questo detto ne è etichettato un altro: Se la Merla è fredda, la primavera sarà bella; se è calda, rispetto alla media stagionale, la primavera arriverà in ritardo.

Il nome Merla è legato ad una leggenda secondo la quale, una mamma merla con tre piccoli – in origine questi volatili avevano un piumaggio bianco – per ripararsi dal freddo pungente si riparò con la prole per tre giorni consecutivi dentro un comignolo, da cui uscirono il 1° febbraio. A causa della fuliggine, prodotta dal camino sottostante, diventarono tutti neri, tranne il becco – giallo nei maschi e marrone nelle femmine.

Esiste un’altra versione più elaborata che non smentisce, però, la prima. Secondo quest’ultima, una merla, sapendo che gennaio era troppo freddo, aveva fatto una scorta di cibo, che conservò nel suo tiepido nascondiglio; nelle sue intenzioni, il cibo accumulato sarebbe dovuto durare tutto il mese di gennaio – allora di 28 giorni secondo il calendario romano istituito da Romolo -. Al 29° giorno, coincidendo col 1° febbraio, la merla uscì allo scoperto e si mise a cantare allegramente per prendere in giro gennaio.

Ma sapete come girano le cose del mondo! Gennaio non poteva sopportare la grave, offesa, così andò dall’amico febbraio, gli chiese tre giorni in prestito e li ottenne. In quei tre giorni scatenò una tremenda bufera con gelo, neve e freddo polare. La merla, per riparare dal freddo pungente se stessa e i suoi piccoli, si nascose in un comignolo; così nacque la prima leggenda.

Altre fonti – che non sto qui a dimostrare se sono vere o fantastiche – dicono, invece, che i giorni della Merla sono il 31 gennaio e il 1° e il 2° giorno di febbraio. Lo scopo era quello di far coincidere la fine di questo periodo con la Candelora, giorno in cui era usanza benedire le candele per celebrare la luce. Quest’ultimo è un altro detto popolare che afferma testualmente: Quando vien la Candelora dall’inverno semo fora; ma se piove o tira vento, nell’inverno semo dentro!

Un mio collega brianzolo, anziano di lavoro e cultore delle tradizioni popolari, mi disse che il 31 gennaio in Brianza veniva bruciata la vecchia – detta in dialetto Giubiana -; veniva condotta in piazza, sottoposta a processo e poi condannata al rogo; così, con questo gesto veniva incenerito simbolicamente anche l’inverno.

Non si finisce mai di imparare; così viene alla luce un’altra leggenda legata al territorio della bassa Pianura Padana e che ha per protagonisti un merlo e una merla, abitanti uno a destra del fiume Po e l’altra a sinistra. Per consuetudini il matrimonio avviene nel paese della sposa, per cui il merlo andò là per celebrare il sacramento il 28 gennaio. Per le cattive condizioni del tempo, dovettero attendere l’ultimo giorno di gennaio per attraversare il fiume a piedi. Avvenne una sciagura; il leggero strato di ghiaccio si ruppe sotto il peso e il povero merlo finì per annegare nelle acque del Po. La povera merla vedova pianse a dirotto.

Secondo la leggenda l’ultimo giorno di gennaio si sentono ancora i lamenti di quella sconsolata merla. Si narra anche le giovani da marito locali si recavano gli ultimi tre giorni di gennaio a cantare e a ballare sulle rive del Po per scacciare il male sui loro futuri sposalizi.

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

05 01 2021: Festa dell’Epifania e come si dice: Buona Pasqua!

Carissimi, e …

Godiamoci questa vigilia e una bella festa di Epifania!
Ci sono tante storielle sulla Festività. Quando ero bambino i genitori della mia generazione facevano credere che di notte i muri diventavano di marzapane e i mobili di cioccolato e che gli animali parlassero tra di loro e commentassero il comportamento dei loro padroni. Però, bisognava solamente sognarli; in caso di risveglio l’incantesimo sarebbe cessato. Perciò, si andava a letto col pensiero fisso e in molti casi la magia aveva effetto. Beata innocenza! Desiderare tanto un dolcetto stuzzicava la fantasia. Ci stava pure in quanto c’era molto dialogo senza televisione o altri mezzi di comunicazione. Raccontare le storielle con una morale finale era la normalità per mandare dei messaggi positivi che restassero per tutta la vita; venivano tirate in ballo al momento opportuno per essere più incisive dal punto di vista educativo.

E, poi, c’era l’attesa della Befana che veniva di notte ed era dipinta con le scarpe tutte rotte e il vestito stropicciato; lasciava ai piedi del letto la calza con dentro qualche mandarino, le arachidi tostate, le castagne cotte al forno e, quando andava bene, qualche caramella. Qualche genitore birichino, in un primo momento, non faceva trovare la calza ai piedi del letto, asserendo che il bambino si era comportato male e che la Befana l’aveva saltato: La mancanza della calza equivaleva al carbone!

La sceneggiata e la delusione, però, duravano poco in quanto il genitore, dietro promessa di un buon comportamento, dava loro la calza al posto della Befana.

Nel giorno dell’Epifania, la gente si salutava augurandosi la Buona Pasqua, essendo una delle quattro feste più importanti dell’anno insieme al Natale, alla Pasqua e alla Pentecoste: tutte e quattro avevano la stessa importanza e come tali venivano rispettate e festeggiate. Durante la messa, il prete annunciava il giorno del calendario dedicato alla Pasqua. Si ricorda in tale giorno l’incontro di Gesù con i Re Magi che portano il dono della saggezza, della sapienza e del potere dell’anima. In tante città vengono organizzate processioni in costume d’epoca per simboleggiare la venuta dei Re Magi. Il 6 gennaio a Milano, il corteo parte da piazza Duomo e termina alla basilica paleocristiana di Sant’Eustorgio, sede di un sarcofago di pietra contenente le reliquie dei Re Magi.

Di contro, l’Epifania porta un po’ di tristezza; è noto il dettoL’Epifania, tutte le feste porta via! Infatti, il giorno seguente si smonta l’albero di Natale e il presepe e si tolgono tutti i simboli che durante le festività hanno abbellito le nostre case e l’aspetto delle città.

Si ritorna alla vita di tutti giorni con qualche chilo in più e un arrivederci all’anno nuovo.

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

27 dicembre 2020:  “Addio all’anno vecchio e benvenuto all’Anno Nuovo”

Il 2020 si confessa e dice: cosa c’entro io per tutte le negatività che mi hanno investito? Io avuto solo il compito di scorrere e di arrivare al 31 dicembre; poi, cederò il posto al 2021. Sono un’entità neutra; ho cercato di accontentare tutti, ma non di ubbidire a nessuno. Ho dovuto far nascere il sole al mattino e farlo tramontare la sera; quel che è successo, poi, non è dipeso da me; anche perché non ho nessun potere sul tempo di farlo correre o rallentare o fermarsi. È vero, ho avuto la fortuna di essere stato festeggiato il primo gennaio con fiumi di spumante, fuochi di artificio, baci, abbracci, lenticchie e cotechini e melograni; ho ascoltato tanti desideri e auguri di Buon Anno. E’ vero, ho fatto sognare più di qualcuno!

Mi ero promesso di essere un anno buono, se non il migliore e tanti hanno creduto in me. Sono incappato, mio malgrado, in un anno bisestile e tanti hanno esitato che non avrei portato fortuna. In molti, poi, mi hanno maledetto; mi sono tappate le orecchie per non sentire le maledizioni e ho fatto il finto tondo come le tre scimmiette, tirando a campare fino al 31 dicembre. Poi, vi saluterò con la coda tra le gambe e mi rifugerò nel passato; passerò alla storia come un anno da dimenticare.

Tra tanti delusi, ci sarà stato pure qualcuno che è stato contento di me e mi ricorderà positivamente per qualche favore che gli è arrivato! Già, nei primi mesi dell’anno molti pregavano che levassi le tende al più presto. Io mi dicevo: lo farò a testa alta perché non mi sento in colpa: faccio solo il mio dovere di far vivere alla gente 365 giorni della loro vita. Non porto rancore, anzi passerò il testimone al Nuovo Anno e gli augurerò che fosse molto più fortunato di me. Farò parlare per lungo tempo, ma credetemi: non mi sento in colpa; avrei voluto portarvi tanta gioia, ma, poi, il destino, la casualità o errori umani mi hanno fatto passare come un anno da cancellare. Non posso dirvi arrivederci perché non potrò mai più ritornare indietro, perciò vi dico addio, amici miei, ammesso che trovi tra di voi un amico che mi assolva.

A questo punto, il 2021 sta bussando alla porta. Nel mondo lo stanno aspettando con gioia perché porti più fortuna di me: io glielo auguro di cuore perché la gente ha diritto di stare bene e di voltare pagina. Mi auguro che il vaccino faccia il suo effetto sperato e che la pandemia resti solamente un cattivo ricordo. Ci saranno molti miliardi da spendere e c’è l’ombra che facciano gola a tanti furfanti che hanno a cuore il loro tornaconto e non il benessere collettivo. La storia insegna!

Caro 2021, ti lascio il testimone, con la mia benedizione, di essere un anno migliore di me. La gente ha diritto alla salute, alla felicità e al benessere economico; io auguro a tutti di ritornare almeno alla normalità, meglio di superarla e tu di essere un anno da incorniciare. Ti stanno aspettando con tanta trepidazione, ma anche con tanta fiducia e speranza ed è giusto che sia così; sì proprio con quella speranza che è stata disattesa e non per mancanza mia. Avanti Anno Nuovo! Ti auguro che tu possa essere l’anno della rinascita e della ripartita!

Buona vita e tanta serenità e fortuna dallo scrittore Carmine Scavello

 

22 Dicembre 2020: Libera divagazione in preparazione del Santo Natale

“LA FESTA DI NATALE E IL PERDONO”

Il Natale che è l’emblema della festa della bontà ci raccomanda di perdonare chi ci ha offeso, tradito o denigrato per vivere in pace con noi stessi e col mondo. A volte, si dicono frasi o si compiono dei gesti inopportuni senza la volontà di offendere. Ci dice, altresì, che avere sempre in mente un torto subito, come un chiodo fisso, è come portare un peso sullo stomaco, che ci annebbia la vista per la rabbia.

Il Natale offre anche l’occasione di fare pace con la scusa dello scambio di auguri e di doni; non si può rimanere indifferenti davanti un atto di remissione di colui che offre una ciambella di salvataggio morale per uscire dalle sabie mobili del rancore. L’amicizia vera è destinata a durare nel tempo solo se gli amici sono disposti a perdonarsi reciprocamente i propri errori e le malefatte non volontarie.

Ho memorizzato un detto popolare che è di una grande efficacia; recita così: lo stolto perdona e dimentica; l’ignorante non perdona e non dimentica; il saggio perdona, ma non dimentica. Però, se non si toglie quel “non” rimane la cicatrice.

In fondo, il Natale ci ricorda che il perdono è uno dei doni più grandi che abbiamo ricevuto con la nascita. Vuole rammentarci, anche, che perdonare ci consente di liberarci dell’odio, della sofferenza e della tristezza; se non lo facciamo rischiamo di perdere per sempre delle amicizie che si potrebbero recuperare con un gesto di buona volontà. Se si facesse di ogni erba un fascio, potrebbero finirci anche le persone care e innocenti. Quindi la festività natalizia consiglia di mettere da parte l’orgoglio e di valutare se ci sono i presupposti per dare un’altra possibilità.

Coloro che non vogliono perdonare non riescono a vivere il presente serenamente. La loro mente è saldamente legata al passato e rimugina sentimenti di rancore e di vendetta per un torto subito e mai chiarito. Se vogliono essere felici solamente un istante, basterebbe vendicarsi e sbollire così la rabbia repressa ed accumulata nel tempo; però, se volessero essere contenti per sempre ci sarebbe solo un modo: perdonare gli offensori! Se rispondessero unicamente all’invito occhio per occhio e dente per dente, il mondo sarebbe pieno di uomini ciechi e sdentati.

Il Natale ci manda il messaggio esplicito che il perdono è un’arma molto potente in quanto libera l’anima dall’odio e scaccia la paura di ricadere nell’errore. Nella più grande preghiera di ogni tempo, il Padrenostro, c’è un richiamo molto importante rivolto al Signore nel verso che dice: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori! Si potrebbe aggiungere: Errare è umano, perdonare è divino! L’intelligenza è amica del perdono.

A titolo di cronaca dico che è stata istituita la Giornata Internazionale del Perdono, che cade il 24 ottobre di ogni anno, per richiamare l’attenzione sui benefici e sugli effetti positivi che l’indulgenza produce nell’animo umano; tante divergenze si potrebbero sanare sul nascere prima che si trasformino in odio e azioni di vendetta; nel mondo ci sarebbero meno tristezza, dovuta alla rabbia covata dentro, meno litigi e soprattutto più amore per trascorrere un Natale nel segno della serenità.

Che magnifico Natale sarebbe se ci fosse nel mondo più miele che fiele! Ognuno apra il proprio cuore all’amore per ascoltare una voce soave che inviti alla pace e debelli la guerra, che costruisce muri, distrugge ponti e sparge odio e morte.

Buon Natale e buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

07 Dicembre 2020 , “Ogni giorno e’ un’avventura se abbiamo lo spirito giusto …

<< Ogni giorno è un’avventura, se abbiamo lo spirito giusto di saper scoprire, osservare, ascoltare e analizzare. Cominciare bene la giornata e finirla meglio è il desiderio che accomuna gli uomini e le donne di buona volontà >>.

Ogni giorno apriamo gli occhi su una finestra sul mondo. Vediamo quello che ci circonda secondo il nostro stato d’animo e le sorprese che ci riserva la sorte. Che sia una giornata fortunata o no dipende da tanti fattori interiori ed esteriori. Se vogliamo litigare col mondo motivi ne troviamo tanti; a trovare scuse siamo dei veri maestri. Se vogliamo vivere in pace, occorre una buona razione di pazienza, di razionalità e di ottimismo.

Ogni giorno un lupo sogna di incontrare un agnello per divorarlo e un agnello spera di non incontrare quel lupo che vorrà sbranarlo. Se ci svegliamo col pensiero fisso che qualcosa di negativo ci possa accadere, molte volte è facile che accade: ci trasformiamo in parafulmini e un fulmine potrà darsi che vi si scarichi. Partiamo invece col piede giusto col morale su e, poi, quel che accade, accade; una soluzione la troveremo in quanto ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

Tutti ricordano la storiella del lupo e dell’agnello; il lupo vuole mangiare l’agnello e, per una forma di pudore, cerca una scusa plausibile per non passare da prepotente. Allora si ingegna per farsi passare da offeso, così si sente a posto con la sua coscienza per essere stato provocato.

Lui è in riva a un ruscello, a monte, che si sta accingendo a bere, mentre a pochi metri a valle anche un agnello è in procinto di fare la stessa cosa. Il lupo subito sfrutta l’occasione ed accusa l’agnello di sporcargli l’acqua che sta bevendo, così lo potrà sbranare per la grave offesa subita. L’agnello lo guarda stupito e gli dice: ma signor lupo, come faccio a sporcarti l’acqua se tu sei sopra ed io sono sotto? Mannaggia, pensa il lupo tra sé e sé! Mi ha fregato, ma non mi arrendo; devo trovare altre scuse plausibili. Si rivolge di nuovo all’agnello e gli dice: però, agnello ieri tuo padre mi ha sporcato l’acqua, perciò devi pagare tu la sua offesa nei miei riguardi! Ma signor lupo, replica l’agnello: risolvi tu la situazione con lui; cosa c’entro io con questa storia; non sono problemi miei. Il lupo ancora pensa: caspita, questo birichino mi ha fregato ancora una volta; ma non mi arrendo facilmente. Di nuovo torna alla carica e l’accusa per qualcos’altro che non ha commesso. Punta ancora l’indice verso l’agnello e gli replica: ascoltami bene. Pochi giorni fa, tuo nonno mi ha sporcato l’acqua anche lui ed è scappato via. Io son rimasto con un palmo di naso a subire l’oltraggio e sono ancora arrabbiato con lui per la provocazione, perciò adesso pagherai tu al suo posto. L’agnello educatamente gli rispose: ma signor lupo fai i conti con lui; è più grosso di me e, se vuoi sbranarlo, hai più convenienza che divorare un piccolo agnello come me.

Oggi non è proprio la giornata giusta! Sto facendo la figura del pisquano, dice il prepotente. Il lupo non sa più che scusa trovare e così butta la maschera di falso perbenismo e gli dice papale papale: caro agnello, mi dispiace per te; io sono lupo e tu sei agnello e il lupo mangia l’agnello. C’è stato un lungo giro di parole, ma alla fine il lupo fa quello che vuole fare; ossia mangiare l’agnello senza tanti preamboli.

In generale, se vogliamo che sia una buona giornata, mettiamo da parte senza scuse la rabbia e il pessimismo e pensiamo che se viviamo male questo giorno lo sarà per sempre, in quanto domani non si chiamerà più oggi, bensì ieri. E così via; dopodomani, il domani si chiamerà anch’esso ieri. Dare al tempo l’importanza che merita è un monito valido a tutte le età!

Paperone de paperoni un giorno pensieroso per l’età che stava avanzando disse a Paperino: caro nipote, cosa ne pensi se mi cedessi un po’ dei tuoi anni in cambio di una fetta consistente del mio tesoro?  Tu sei povero e un po’ dei miei soldi ti farebbero comodo in cambio di un po’ del tuo tempo che ti resta da vivere. Caro zio, tieniti pure i tuoi soldi: primo perché con i soldi non si compra nemmeno un’ora di tempo e, poi, perché la mia ricchezza è la gioventù.

Noi umani viviamo come possiamo e non come vorremmo vivere. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare; potremmo fare pure castelli in aria, ma se non abbiamo i mezzi i nostri progetti rimangono sulla carta. Perciò, iniziamo la giornata col pensiero di fare bene normalmente le cose facili che sappiamo fare, compiendo il nostro dovere. Per quelle difficili aspettiamo che con la conoscenza diventino facili e poi farle normalmente.

 Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

29 Novembre 2020 , anticipo sul Natale

Cari amici,
questo breve componimento letterale – sotto riportato – mi dà la possibilità di anticipare l’annuncio della lettera dedicata al Natale 2020, che invierò in prossimità del 25 dicembre.
Con la prima domenica dell’Avvento, per la Chiesa, comincia ufficialmente il periodo prenatalizio, così ognuno l’aspetti secondo i suoi desideri e i suoi precetti.

L’Avvento annuncia il Santo Natale: prepararsi mentalmente al Suo arrivo è cosa buona e giusta. Per chi non crede è solo questione di tempo; c’è sempre un momento nella vita che il sentimento sovrasta la ragione.

Pur rispettando il pensiero del singolo, quello collettivo è orientato nella direzione indicata dalla Stella Cometa. Il messaggio che arriva è sempre carico di amore e di bontà. La libertà del singolo non è messa in discussione perché alla nascita gli è stata data la possibilità di farne buon uso. Fare della propria vita un capolavoro o un obbrobrio fa parte di quel principio di libertà.

Nessuno è così forte e autosufficiente di vivere senza l’aiuto degli altri. Se manca la condivisione di certi valori comuni, si vive allo stato brado e l’unica legge è la sua, ma è solo anarchia.

Cosa chiederà il Natale? Dipende da quello che vede nella coscienza di ognuno! Capisce se è gradito dal modo come viene accolto; non insiste di entrare in quanto ognuno ha la libertà di scelta: fare il bene o il male o essere indifferente. Ricordarsi, comunque, che per ricevere bisogna prima dare è un consiglio, sebbene sia un comandamento, spesso ignorato!

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

25 Novembre : Giornata Internazionale per l’eliminazione delle violenza contro le donne
(giorno in cui  le 3 sorelle Mirabal sono state  uccise nel 1960 dal dittatore Trjillo, in Repubblica Dominicana)

Non si deve mai abbassare la guardia verso la violenza e pensare che il messaggio virtuoso sia arrivato in tutte le coscienze; le menti malate di protagonismo e di soggiogazione non vanno mai in vacanza!

Gli appelli continui alla buona e pacifica convivenza vanno rinnovati puntualmente e annualmente per ricordare – e non stancarsi giammai di farlo – che la violenza sulle donne – e in genere su ogni essere vivente – è considerata, umanamente e legalmente, un’offesa gravissima alla dignità del genere umano.

Certi uomini cattivi ed insensibili che si macchiano di aggressività sulle donne – e, nel peggiore dei casi, di femminicidio – non dovrebbero ritenersi uomini d’onore, ma indegni di vivere a stretto contatto con le persone galanti e perbene, che formano la società sana dell’intera umanità.

Questi esseri indesiderati vanno considerati alla stregua dell’orrida feccia, ossia lo scarto più umiliante che possa esistere in natura. E pensare che prima di macchiarsi di questa orribile nomea quegli uomini violenti erano persone affabili che avevano conquistato la fiducia e l’affetto delle compagne, delle mogli, delle amiche … delle fidanzate.

Durante il lockdown le cose son peggiorate a causa del ridotto spazio d’azione in cui uomini e donne sono stati costretti a vivere gomito a gomito una convivenza forzata entro quattro mura. Le vittime delle violenze hanno subito umiliazioni senza la possibilità di denunciare o di allontanare gli uomini violenti che vivevano accanto a loro. Il messaggio di speranza diffuso in quel periodo “Andrà tutto bene” esisteva per gli uomini di buona volontà e solo sulla carta per taluni, ma non è servito a nulla per rinsavire quelle menti malate colme di odio e fuori dal mondo di ogni razionalità.

Le cronache nere dicono, a ragione, che l’appello non è servito minimamente a risolvere un così annoso e grave problema esistenziale, radicato in alcuni cervelli bacati. Bisogna, perciò, sperare che è necessario continuare ad avere la fede e la speranza in tempi migliori, in cui convivano l’armonia tra le persone e il rispetto alla dignità della donna, come l’altra metà del cielo. Ma non si può dimenticare e far finta di vedere che le cose non vanno secondo la normalità dei buoni rapporti umani.

Bisogna prendere, invece, coscienza che non va tutto bene adesso e nemmeno, purtroppo, andrà bene domani, se il problema della violenza sulle donne non verrà affrontato di petto e risolto in modo definitivo per sempre. Le leggi ci sono; è l’applicabilità che manca, in alcuni casi. Le prospettive non sono delle migliori in quanto la crisi economica non gioca a favore delle donne: dovrebbe rappresentare un’opportunità per modificare il modo di vivere e non costringere le donne ad essere più sottomesse di prima.  Ci vorrebbe un miracolo!

È auspicio di tutti che un aiuto divino rinsavisca le coscienze dei violenti e li inviti a immedesimarsi nelle vittime per capire cosa si prova ad essere donne umiliate, violentate o uccise. Provare per credere cosa sono il dolore e l’umiliazione!
Lo scrittore Carmine Scavello augura buona vita a tutte le donne ed è vicino moralmente e spiritualmente a quelle che subiscono violenza fisica e morale.

A ricordo del collega dott. Giovanni Farina 

Cari familiari, amici e conoscenti,

la cattiva notizia che Giovanni è passato, come sul dirsi a miglior vita, ci ha rattristati enormemente per tutto il bene che ha prodotto per la comunità cernuschese, di cui si sentiva fiero dell’appartenenza. Lo conosco da una vita, nei panni di ex sindaco e come collega di lavoro, avendo lavorato nella stessa Azienda GTE/Siemens. In ogni attività umana, in cui si è cimentato, ha sempre dato il meglio di se stesso, applicandosi con amore e passione in quello che stava facendo.

Tutti i compiti che gli sono stati affidati li ha portati a termine con onore e orgoglio personale, non solo per dimostrare agli altri il suo sapere, quanto per dare valore al proprio ruolo di utilità nella società. Ha cominciato la sua esperienza di politica locale, coprendo il ruolo di assessore al Bilancio presso il comune di Cernusco Sul Naviglio. Il passo successivo è stato quello di sindaco, coprendo la carica di primo cittadino con senso di responsabilità e rispetto della cosa pubblica, vestendo i panni del buon padre di famiglia.

La porta del suo ufficio era aperta a chiunque, in quanto voleva essere il sindaco di tutti, dei suoi elettori e non. Chi non condivideva le sue idee era visto solamente come rivale politico e mai come un nemico da combattere; riusciva, poi, col suo carisma e il buonsenso della mediazione a convincere chi non la pensava come lui a condividerle. I sindaci che gli si sono succeduti hanno imparato tanto dalla sua condotta esemplare al servizio della cittadinanza.

Ha dedicato buona parte della sua vita aiutando i più deboli, non solo con parole di conforto, ma soprattutto con i fatti; per tutti aveva una buona parola di sollievo ed era un esempio di correttezza e di altruismo. Ne sanno qualcosa l’Associazione Anffas della Martesana e la struttura residenziale Parolina per l’impegno proficuo e costante verso le persone del territorio con disabilità.

Quando camminava per strada gran parte dei passanti lo salutava e lo rispettava come cittadino modello; per chiunque aveva un sorriso sincero e non di circostanza. Sebbene fosse un uomo molto colto ed intelligente, non faceva pesare la sua cultura e non si dava aria di saputello; per la sua umiltà e la bontà d’animo chiunque avrebbe voluto averlo come fratello o almeno come vicino di casa; sarebbe stato il valore aggiunto a una vita di relazione basata sulla concordia e sulla solidarietà.

Credo fermamente che Giovanni sia in credito con la vita: ha dato più di quello che gli è tornato indietro; il suo bene era a senso unico; e se aiutava qualcuno non lo faceva per averne un tornaconto individuale. Il mio rapporto personale con lui è stato sempre basato sulla cordialità e sull’amicizia sincera e discreta: il nostro incontro è stato sempre gioviale. Leggeva sempre ogni mio scritto; mi ringraziava e si congratulava con me. Poco tempo fa mi ha comunicato che aveva cambiato la sua mail perché ci teneva ancora a ricevere i miei elaborati letterali.

Mi manca un amico come lui che trovava sempre parole gentili per me. Non cancellerò giammai il suo nome dalla lista dei miei contatti, in quanto ogni volta che scriverò il nome Giovanni mi ricorderò di lui e gli dedicherò un dolce pensiero. Riposa in pace Giovanni. Io mi ricorderò di lui quando mi salutava: ciao amico scrittore!

L’autore Carmine Scavello

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 22 Ottobre 2020

Libera divagazione su Ognissanti: Buon Onomastico ai lettori!

Il 1° novembre è il giorno dedicato alla festa di tutti i Santi; così, si spiega la denominazione di Ognissanti. Tutti i comuni mortali avranno l’occasione di festeggiare il proprio onomastico al pari degli altri simili e di essere messi sullo stesso piano d’importanza, perché non ci sono santi di serie A e di serie B. Credo che in paradiso non ci siano caste, per cui tutti i beati, che ne fanno parte, godano degli stessi privilegi e degli stessi diritti e siano tenuti in considerazione allo stesso modo dal Padre Eterno. I fedeli, sbagliando, stilano una classifica dei santi più importanti e meno importanti nella Chiesa. In pratica, il pensiero celeste non è allineato con quello terreno; usa lo stesso metro di valutazione per tutti per non creare differenze e gelosie – ammesso e non concesso che possano esistere. Le condizioni per diventare santi sono – o non sono – uguali per tutti: contano le situazioni comportamentali, ambientali, temporali e spaziali. La storia fa il resto.

Il calendario solare è limitato, per cui è insufficiente per poter dedicare un giorno specifico per ogni santo; cosicché, moltissimi di loro vengono raggruppati e venerati nella festività di Ognissanti. È stata una scelta giusta e ponderata, che ha fatto la Chiesa, per sopperire a questo problema e per non dimenticare nessuno.

Quando ero ragazzino, abbiamo chiesto in classe, alle scuole elementari, al nostro sacerdote Don Agostino, insegnante di religione, chi fossero in realtà i santi e cosa avessero fatto, in pratica, per diventare tali. Egli così ci rispose: “i santi, prima di diventare tali, erano persone come noi, ma con una marcia in più; hanno professato la loro fede con la gioia di compiere il bene al servizio degli altri e vivendo una vita esemplare, combattendo il peccato e sacrificando la propria, nel caso dei martiri ufficiali. Essi non rimandavano al domani il bene che potevano fare l’oggi, perché domani le cose avrebbero potuto essere cambiate o non avere avuto più il tempo. Costoro non sono nati santi, ma lo sono diventati; probabilmente, era stato scritto nel cielo che lo sarebbero diventati, ma non ho la sfera di cristallo per poterlo confermare. Posso riferirvi, al di là di tutto, che la santità non è un privilegio riservato ad alcuni, ma è una possibilità che hanno tutte le persone virtuose che vivono in grazia di Dio e lontani dal peccato. Se sono in numero limitato, significa che non è facile essere santi e rinunciare ai privilegi che offre la vita terrena. Dare un calcio alla ricchezza, al successo e al potere ci vogliono tanto coraggio, determinazione e, soprattutto, coscienza della scelta. Concluse che non si può essere santi a metà solo per alcuni aspetti; o lo si è completamente o non lo si è affatto. Il miglior modo di onorarli è uno solo: cercare di imitarli!”

Io, nei panni di autore, posso affermare che ho conosciuto persone pie che hanno sfiorato la santità per aver vissuto una vita virtuosa al servizio dei più deboli e dedicato tutto il loro tempo e il loro amore per gli altri. Se andranno in paradiso, lo sarà solo in veste di brave persone e non come santi: non hanno fatto miracoli, ma solo opere di bene. Le considero degne di appartenere al genere umano e di essere vissute, compiendo il bene come normalità e non come eccezionalità.

Buon Onomastico e buona vita

dal collega e scrittore Carmine Scavello

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 30 marzo 2020

Il tempo di leggere c’è: siamo chiusi in casa!

< Dove sono? Che giorno è? I giorni sembrano tutti uguali; ma non lo sono, in quanto ognuno di essi passa alla storia come unico ed irripetibile! Domani è un altro giorno e sarà diverso dal precedente, perché anche il sole, che ci dà luce e calore, è più vecchio di un giorno. Ogni alba è un segno di speranza >.

I giorni passano in un silenzio surreale: si sentono solo gli uccellini che cantano sui rami degli alberi del giardino condominiale; la sforsizia è già in fiore ed annuncia che la primavera è arrivata. Allungo lo sguardo più in là nel parco pubblico confinante col nostro e vedo l’altalena immobile; gli scivoli e il castello con la casetta vuota che si meravigliano che non c’è nessun bambino a fare la coda per salirci sopra. Le panchine aspettano invano che qualcuno le occupi e prenda il sole come tante lucertole, ancora assonnate in questo periodo primaverile. Ogni tanto sento in lontananza il suono cupo di una sirena che man mano diventa sempre più forte; chissà chi sta trasportando? E’ una strana sensazione come se fossi in un’altra realtà lontana molti chilometri o in un altro periodo storico. Sposto lo sguardo verso la strada deserta e non vedo automobili circolare; i marciapiedi dicono: Qualcuno ha sbagliato a chiamarci così; dove sono i piedi che dovrebbero marciarvi? Il campanello di casa o del cancello esterno non suona da giorni: non c’è nessuno che porta volantini; non c’è più il postino che consegna la posta; non c’è nessun amico che viene a trovarci. Il pulsante del campanello di casa si meraviglia del suo nome: sono giorni che nessuno lo pigia; poverino non sa cosa pensare. Meno male che ad orari stabiliti si odono le campane della chiesa a portarci con i loro rintocchi rassicuranti una presenza umana e a ricordarci che lassù che c’è Qualcuno che ci pensa e non ci abbandona mai. Quelle campane inconfondibili della nostra chiesa non sono tristi: hanno il suono allegro di sempre; forse sono io a non sentirne il richiamo e il messaggio di speranza che diffondono. Scrollo le spalle e dico a me stesso: Ma oggi che giorno è? Dove sono? Perché questo silenzio irrazionale? Mah, forse sto vedendo immagini e sentendo suoni chissà di quale paese e di quale epoca storica! Somigliano tanto al mio ambiente familiare; mi sento rapito da un sogno; allora mi sveglio perché non mi va di continuare ad essere immerso in questo sogno che non mi appartiene. Apro gli occhi e mi rendo conto che siamo in un giorno della terza decade di marzo 2020. Vedo le cose di tutti i giorni, così mi rendo conto che non stavo sognando, ma vivere la realtà che vedo da giorni entro le quattro mura di casa. Tutto ciò che ho visto e sentito in quel sogno è l’effetto del decreto che ci obbliga a restare a casa per il bene proprio e quello degli altri. Allora la quasi totalità della gente lo rispetta per dovere e per amor proprio! Ora mi aspetta di fare un altro sogno più bello del precedente: vedere quel parco pieno di bambini; le panchine con le persone sedute; le strade riempite di automobili; i marciapiedi degni di tale nome; il citofono finalmente annunciare qualcuno; il campanello di casa emettere il suo suono familiare; le campane della chiesa felici di annunciare che è l’ora della messa. Il nuovo sogno è dietro l’angolo: devo solo essere paziente ed aspettare quel miracolo da tutti atteso, desiderato, sperato: una liberazione da questo incubo che sta affliggendo la nostra esistenza. La vita è là fuori che ci aspetta, però ci dice che qualcosa da adesso è cambiato. Potremo dire che i giorni di isolamento ci hanno dato la lezione che un mondo migliore potrà esistere, se ci daremo la mano da buoni amici; se mettiamo da parte la superbia; se usiamo l’arma del perdono; se ci convinciamo che gli altri siamo noi; che il nemico si combatte tutti insieme e non in ordine sparso; che dobbiamo dare il giusto valore al tempo come la cosa più preziosa che abbiamo dopo la salute; che dobbiamo condurre una vita sana per il nostro benessere; che dobbiamo fortificarci nello spirito per affrontare con razionalità ogni evento; che siamo buoni a nulla e capaci di tutto; che tutti i nodi vengono al pettine; che è sempre l’ora di fare qualcosa di buono; che se vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo cominciare a cambiare noi stessi; che per raccogliere dobbiamo prima seminare; che per avere bisogna prima dare; che non è tutto oro quello che luccica; che dietro un viso d’angelo c’è un demonio e viceversa; che l’amore apre tutte le porte come il sorriso; che la verità trionfa sempre sulla menzogna; che si vivrebbe meglio se ognuno facesse il proprio dovere; che quando c’è una meta anche una giungla diventa una strada; che una vita senza musica è come un corpo inanimato; che se cadi dieci volte, hai il dovere di rialzarti undici volte; che se riesci a parlare, puoi riuscire anche a cantare; che la vita è come uno specchio, se gli sorridi ti renderà il sorriso; Chi spreca il suo tempo per cose inutili è come rubare a se stesso; si comincia ad invecchiare quando si smette di imparare; che se vuoi imparare a cavalcare, devi imparare anche a cadere da cavallo; che i guai della pentola, li conosce solo il coperchio; che…  Lancio la palla nel vostro campo; continuate!

Buona vita dall’autore Carmine Scavello

(contatti: facebook; mail carminescavello@yahoo.it; tel. 349 2980359)

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 6 Gennaio  2020

<< Arriva l’Epifania e tutte le feste porta via! >>

Oggi si chiude un ciclo di lunghi festeggiamenti durato parecchi giorni a cavallo tra i due anni solari 2019 e 2020. Ognuno ha avuto il modo e il tempo di riflettere su come girano le cose del mondo e su cosa egli fa e potrebbe fare per cambiarlo in meglio, cominciando da se stesso. Quel singolo individuo direbbe che rappresenta una piccola e insignificante goccia nell’umanità; ma, quella preziosa gocciolina insieme a tante altre a lei simili formerebbero un mare immenso di gocce, unendo le forze, le idee e gli aiuti. In questo gioioso periodo dedicato alle cosiddette feste natalizie sono stati ricordati buoni sentimenti, quali la bontà, la solidarietà e la condivisione: si spera che anche il messaggio di queste sante parole l’Epifania non se le porti via, altrimenti i buoni propositi cadrebbero nel vuoto, sebbene sia sempre tempo di amare gli altri e di rispettare i buoni precetti. Si dice: Chi vuole una strada la trova; chi non vuole mille scuse le trova. Alla festa della Befana si suole appendere – in concreto o nell’immaginario – una calza alla spalliera del letto o sul caminetto e sperare che non vi trovi il carbone; quante persone si sentono meritevoli di meritarlo o di non meritarlo? Lascio la risposta alla loro coscienza. Una cosa rimane di queste feste: avere acquisito la consapevolezza – attraverso i mezzi di comunicazione – che ci sono poche persone, ma buone rispetto alla gran massa, e disponibili ad aiutare il prossimo; lo sperpero e una diffidenza strisciante sono sotto gli occhi di tutti. C’è chi naviga nell’oro e chi fa fatica a tirare a fine mese; si parla tanto di povertà che alla fine non fa più notizia. Occorrono più fatti e meno parole e che gli aiuti siano mirati e non a pioggia; potrebbero cadere in un campo che non avesse bisogno di essere irrigato di acqua piovana oppure che piovesse sempre sul bagnato. Quante leggende ci sono sull’Epifania nessuno lo sa! Un tempo venivano trasmesse oralmente per cui tante si sono perse per strada. Una, in particolar modo, mi ha colpito per esperienza diretta; ce la raccontava mia madre e noi figli l’ascoltavamo a bocca aperta. Raccontarla è lunga per cui soprassiedo; chi volesse la troverà in un mio prossimo libro dal titolo provvisorio “Storiucce Maestre” con una o più morali finali – nel capitolo la “Leggenda dell’Epifania”. A proposito, ho già pubblicato il mio quinto libro di storielle con una o più morali finali dal titolo “Storie Storiucce Storielle”, di cui ne ho ancora delle copie per eventuali richiedenti. Per dovere di cronaca, ricordo che da ragazzo in questa giornata festiva si augurava agli amici Buona Pasqua. Il motivo che ci veniva detto era che l’Epifania era ed è la prima delle quattro feste religiose – senza ordine di importanza – più solenni dell’anno insieme a Natale, Pasqua, Pentecoste. In tale data, durante la Santa Messa la Chiesa annunciava le date delle Ceneri, della Pasqua e delle altre feste ad essa collegate; cosicché è considerata la prima Pasqua dell’anno!.

Perciò, Buona Pasqua e buona, lunga e serena Vita   dal vostro amico scrittore Carmine Scavello

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 31 dicembre  2019

Cari destinatari, e …             (Felice e Buon Anno 2020)

Vi abbraccio caramente uno per uno e vi auguro una pioggia simbolica e copiosa di auguri, i più grandi che vorreste ricevere. L’Anno 2019 ci lascia per sempre e va negli archivi storici; si porta con sé tanti ricordi di ogni genere ed altrettanti momenti particolari da incorniciare o da dimenticare; affidiamo alla storia l’Anno appena trascorso come monito per fare del 2020 un Anno eccellente per gettare solide basi su cui costruire le fondamenta di quello in arrivo e degli altri che seguiranno a ruota. Impariamo dagli errori del passato che possiamo e dobbiamo migliorarci con la convinzione che abbiamo le capacità di farcela con le nostre forze. Usiamo normalmente una piccolissima parte del nostro intelletto; facciamo in modo di attingere l’energia necessaria dalla gran parte restante e inutilizzata. Si può? Certo che si può! Basta spremere le meningi nel verso giusto e fare le scelte oculate di non sprecarle per cose inutili, di scarso valore e dannose per noi e per gli altri. C’è un segreto? Certo che c’è! Trovatelo! Volere è/e potere sono due azioni che non si smentiscono mai! In ogni cosa che facciamo esistono un senso ed una morale: troviamoli e facciamone buon uso e consumo! Cominciamo col piede giusto a migliorare noi stessi nell’ottimismo, nel morale, nella volontà, nella sapienza, nella voglia di vivere e nella speranza che un mondo migliore esiste se ognuno di noi facesse la propria parte con coscienza, buonsenso, amor proprio e senso del dovere. Chi devia da questo percorso virtuoso è un nemico del genere umano e se ne assuma le proprie responsabilità! Verrà il giorno che capirà che tutti i nodi verranno al pettine e dirà a se stesso che ha sbagliato tutto nella vita, se avrà il coraggio di ammetterlo e di non mentire a se stesso. Ci sarà “Qualcuno” che gli tirerà le orecchie e gli renderà pane per focaccia! E’ buona norma augurare Buon Anno anche a lui come a tutti i fratelli del nostro cammino terreno. L’Anno che verrà avrà tante prospettive ed altrettante promesse da mantenere; però, poverino da solo non ce la farà mai se non gli daremo una mano! E’ nel nostro interesse far sì che fosse ricordato negli annali storici come un Anno meraviglioso al pari degli altri che hanno segnato la nostra vita. Ognuno sa cosa vuole dall’Anno Nuovo; io auguro a tutti che i loro desideri si avverino! Sarebbe una cosa stupenda se il Capodanno diventasse d’incanto un Capogiorno e che ogni Anno desse una svolta alla propria vita. Se abitaste in prossimità della linea dell’equatore festeggereste due Capodanni; ma, a che pro? Se per raddoppiare i buoni propositi, sarebbe il massimo, purché sia una promessa sincera e non un doppio inganno!

Felice e Buon Anno 2020 e Buona Vita a tutti gli abitanti della terra dallo scrittore Carmine Scavello, che saluta calorosamente ed auspica tanta gioia nel cuore e nell’anima e la benedizione divina sulle nostre teste.

(contatti: mail carminescavello@yahoo.it; tel. 349 2980359; facebook)

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 25 dicembre  2019

Natale: la letterina al mio mio papà

Passano i tempi, cambiano le mode, ma la letterina di Natale resiste imperterrita a durare nel pensiero collettivo della fanciullezza di allora e di  sempre. E’ un rito a cui non sfugge la maggior parte dei bambini in rispetto della tradizione popolare. E’ un gesto di affetto finalizzato da tempo memorabile per avere dal babbo una mancetta straordinaria, oltre al regalo di Natale – o di Santa Lucia. C’è tutta una preparazione accurata per rendere l’evento una felice sorpresa nel pensiero del bambino. Deve sembrare un segreto che il genitore non deve sapere per non togliere l’atmosfera calorosa che ruota intorno a quella tradizione radicata. Apparecchiata la tavola, i bambini pongono con cura la letterina tra il piatto del primo e quello del secondo del papà; in quella posizione non potrà non attirare la sua attenzione. Infatti, egli si accorge che c’è qualcosa che non quadra e guarda sotto il piatto del primo per togliere l’ostacolo, motivo di dubbia instabilità. Grande sorpresa! Scopre che c’è una lettera indirizzata “Al mio papà”. Dimostrando stupore, egli apre la busta e tira fuori la letterina; non la legge, facendo finta di essere stanco, così prega il figlioletto di leggerla lui al suo posto. Il bambino non si aspetta questa mossa imprevista in quanto è grande l’emozione a leggere quando gli occhi di tutti gli sono puntati addosso; però, non può tirarsi indietro; è in ballo e deve ballare, anche perché non c’è una persona volenterosa che legga al suo posto per non rovinare l’effetto psicologico. Vinto l’impatto emotivo e rischiarata la voce lo scrivente si appresta a leggere la letterina e si merita, quindi, il doveroso applauso finale. Sembra poco, ma è tanto per un bambino che si affaccia a relazionarsi col mondo degli adulti ed esprime il suo primo pensiero augurale scritto. E’ un augurio di benessere e di buona salute indirizzato al papà, compresa naturalmente tutta la famiglia, in quanto egli rappresenta un punto fermo, senza togliere nulla alla figura della mamma, che è un po’ complice di questa sorpresa sceneggiata. La letterina è piena di buoni propositi e di promesse: essere bravo; impegnarsi a scuola; aiutare in casa; conclude con: Vi voglio tanto bene! Quelle promesse ricordano Pulcinella; però, in teoria sono fatte col cuore, anche se la pratica è di tutt’altra natura. Si arriva alla conclusione che tempi erano, tempi sono e tempi saranno fin quando ci saranno una famiglia e una maestra che ricorderanno ai bambini di fare questa bellissima esperienza di vita, che gli adulti hanno fatto prima di loro.

Buon Natale e Buona Vita, nonché Buone Feste dallo scrittore Carmine Scavello – Per chi non lo sapesse, sono autore di sei libri pubblicati; il sesto di intitola “ti racconto il mare … Brevi saggi, aneddoti, riflessioni

(contatti: mail carminescavello@yahoo.it; tel. 349 2980359; facebook)

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 25 dicembre  2019

Natale: la letterina al papà  

Cambiano le mode, ma la letterina rimane;

il tempo non può nulla sulle tradizioni umane.

Gli adulti ricordano con gioia quell’evento;

non ostacolano questo particolare momento.

Scrivere la letterina è un bell’impegno;

si dimostra al papà che ci vuole ingegno.

Anche questa fa parte della magia natalizia;

si redige con tanto amore e nessuna malizia.

Alla base del componimento c’è tenerezza;

il premio più ambito è una dolce carezza.

Si fanno buoni propositi e delle promesse;

sebbene in palio ci fosse un piccolo interesse.

Le dolci parole fortificano il legame affettivo;

         ogni papà smorza ogni atteggiamento emotivo;

         dà al figlio premuroso tutto lo spazio che merita;

         gli concede il tempo e l’opportunità per la recita.

E’ Natale: la famiglia è attorno a una ricca tavola;

l’ambiente è arredato come una scena da favola.

Le luci dell’albero infondono un clima di euforia,

negli occhi dei commensali si legge la loro allegria.

Il papà conserva la letterina nel suo cassetto,

         chiusa gelosamente in un personale cofanetto.

         Al momento opportuno, se serve, la tira fuori;

         la mostrerebbe come insegnamento ai mentitori.

Il bambino euforico vuole gratificare il papà;

la lettera è un riconoscimento alla sua bontà.

Potrebbe sembrare un gesto mirato e venale,

la componente umana supera quella materiale.

Ci sono simboli natalizi più grandi e importanti;

         il presepio e l’albero ne sono esempi interessanti.

         La letterina rimane nel suo piccolo un messaggio,

         non tramonta fin quando c’è un bambino saggio.

Buon Natale e Buona Vita, nonché Buone Feste

dallo scrittore Carmine Scavello

(Contatti: mail carminescavello@yahoo,it; tel. 3492980359; facebook)

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 25 novembre  2019

Preambolo.

Se avete tempo, voglia, piacere, interesse e amor proprio, leggete la libera divagazione seguente; non spaventatevi della lunghezza della lettera; vedrete che ne varrà la pena leggerla fino in fondo. Allargherete i vostri orizzonti su un problema vecchio e attuale e mai risolto alla radice. Esistono i violenti perché esistono i violentati. Il mio messaggio è far prendere coscienza che non dovrebbero esistere né gli uni e né gli altri. Partite dal presupposto che ognuno si metta nei panni dell’altro; solo così si potrà capire la sofferenza che si arreca quando si è schiavi dell’odio, del malessere fisico e morale e della prevaricazione del più forte sul più debole.

25 Novembre 2019 – Libera divagazione sulla violenza.

Ometto volutamente di parlare di crimini, violenze, soprusi, danni e offese arrecati all’ambiente, alla Natura e agli animali, non perché non sono meritevoli di riguardo, quanto per restringere il raggio di azione al campo umano.

La violenza e la mancanza di rispetto verso un nostro simile sono azioni ignobili, riprovevoli e ingiustificabili, che non fanno onore di appartenere al genere umano.

Uomini e Donne sono stati creati per convivere pacificamene il loro passaggio terreno e vivere liberamente la propria esistenza. Le Sacre Scritture dicono: Crescete e moltiplicatevi! La vita è stata donata agli umani per farne un capolavoro; nessuno è padrone della propria vita; non è ammesso neppure il suicidio, figuriamoci l’omicidio. Sappiamo solo quando siamo nati, ma non quando chiuderemo gli occhi per sempre; non siamo padroni di farlo in autonomia. Almeno, speriamo ed evitiamo che ci sia qualcun altro che disponga della nostra vita in senso negativo, disumano, possessivo e discriminatorio!

Chiunque fa azione di violenza su un proprio simile è come se facesse un torto al proprio Dio (chiamateLo come volete, purché Gli usiate rispetto in qualità di Creatore del creato e della vita stessa). Ridurre in schiavitù e subordinazione materiale e morale un essere umano non è contemplato in nessun codice civile e penale; coloro che arrecano un danno volontario ad un proprio simile ne risponderanno davanti la propria coscienza e Dio il giorno del Giudizio Universale. E’ tollerata un’azione involontaria, purché ci siano il pentimento, le scuse e la promessa di non ripeterla in futuro. Errare è umano, perseverare è diabolico e inumano!

I congiunti ci vengono donati per nascita su un piatto d’argento e come tali dovrebbero essere amati, accettati e rispettati per amore di Dio. I coniugi, gli amici, i compagni, i fidanzati, i conviventi, i colleghi, ….. i vicini li scegliamo noi: è per questo che dobbiamo rispettarli e amarli e rendere i rapporti umani buoni, felici e sereni. Qualcuno parla di destino (Era scritto nel cielo che noi ci amiamo dice una famosa canzone); sarà pure così, però, noi gli diamo una mano con la nostra omertà e la tacita sottomissione, in caso di rapporto burrascoso e dipendente!

In caso di contrasti, sappiate che sulla Terra c’è posto per tutti per cui bandiamo l’odio e trasformiamolo in tolleranza, così ognuno se ne vada per la propria strada e se ne faccia una ragione. L’etica della reciprocità recita: “Non fare agli altri ciò che non vorresti che gli altri facessero a te!”. Basterebbe rispettare fino in fondo questa regola universale, fondamentale e condivisa per bandire la violenza: non occorrono proclami, avvertimenti, consigli, annunci, tavole rotonde e leggi ad hoc.

Gli uomini di buona volontà, facenti parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948, approvarono e proclamarono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Ognuno ne potrà leggere autonomamente il testo completo sui motori di ricerca. Sono 30 articoli scritti in modo scorrevole, capibile e leggibile; il lettore capirà quanto sono importanti la dignità, il rispetto della Persona, della Cosa e del Bene Comune, la convivenza pacifica e i valori, senza tempo e senza spazio, su cui si fondano e progrediscono le società umane. Ne consiglio vivamente la lettura con molta attenzione e partecipazione. Chi lo farà vi troverà tanti spunti interessanti come vivere in armonia la propria vita in comunione col Creato e con quella degli altri fratelli, religiosamente parlando. Dopo aver letto il suddetto proclama, costui capirà come si sta al mondo in pace con se stesso e nella grazia di Dio e degli Uomini.

Il 25 novembre di ogni anno, “GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE”, potrebbe essere un giorno qualunque e non una ricorrenza nefasta, se tutti gli uomini della Terra si attenessero al monito dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 10 dicembre del 1948 sui Diritti Civili e Umani.

Gelosia, ripicca, invidia, odio, indifferenza, violenza, … maltrattamento, se pur esistenti nei comportamenti umani riprovevoli, non dovrebbero far parte del nostro vocabolario. Gli Uomini e le Donne di buona volontà sono stati creati per essere Individui portatori di pace, di amore e di armonia.

Mi ripeto volutamente nel finale della libera divagazione. Ricordate sempre che per avere rispetto, dovete dare sempre e comunque rispetto; che siano uomini, donne e bambini, a ognuno devono essere riconosciuti e tutelati i Diritti Universali del genere umano!

Buona vita, armonia e tanta serenità dallo scrittore Carmine Scavello
( contatti: mail carminescavello@yahoo.it; tel.349 2980359; facebook)

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 1 novembre  2019

Auguri per la festa di Ognissanti!

I giorni del calendario sono limitati per menzionarli tutti, cosicché si è scelto questo giorno particolare dell’anno solare per raggrupparli in un’unica giornata per dedicare loro una preghiera e i doverosi festeggiamenti. Già chi festeggia l’onomastico durante l’anno del proprio santo protettore non è esonerato a festeggiare in questa giornata; il suo Santo entra di diritto in quest’elenco per fare compagnia agli altri Beati. Bisogna rendere onore al nome che possediamo non solo oggi, ma tutti i giorni dell’anno con la nostra bontà, la rettitudine e una buona condotta di vita, cercando di essere Grandi anche nelle piccole cose. Non si pretende di essere Santi, ma almeno buoni nello svolgere dignitosamente e con coscienza i nostri compiti assegnati nella società; nessuno ci chiede miracoli, di cui non siamo capaci; però, una condotta esemplare è il minimo che possiamo mostrare agli occhi della comunità per amor proprio e per far piacere a Dio. Chiediamo ai Santi di illuminare il nostro cammino di vita, specialmente quando smarriamo la via che conduce al bene, all’amore e alla pace. Sarebbe bello percorrere le orme dei Santi che ci hanno preceduto, però ci vuole tanto coraggio a dare un calcio alla nostra vita e vestire i panni dei Beati. Mi hanno insegnato che se il Signore usasse solo la bilancia, il Regno dei Cieli sarebbe vuoto; però, usa il perdono e quella porta rimane aperta per chi ne sarà degno. Un mio conoscente che leggeva di continuo la Bibbia e la rileggeva daccapo ogni qualvolta terminava di leggerla ripeteva spesso alla gente: Io dovrei essere un Santo! Ma c’è la gente che mi fa arrabbiare, perciò sono solo buono; così, rasento la santità. Almeno sono tranquillo in quanto i buoni entreranno in Paradiso dalla porta di servizio. Ripeteva: Fate come me! Non è così che si diventa santi e si vive da buoni, se poi quell’uomo peccava di continuo, razzolava male e ogni sera chiedeva perdono del peccato commesso. L’indomani era come il giorno precedente. Al di là di ogni considerazione o punti di vista, oggi 1° novembre sarebbe auspicabile che tutti insieme pregassimo per tutte le persone che soffrono e che la pace nel mondo sia un diritto e non una conquista. Viviamo sotto lo stesso cielo, allora mi chiedo: Perché ci debbano essere persone fortunate e altre sfortunate? Santi tutti coalizzatevi e portate in Terra i doni della vostra santità, affinché ognuno ne faccia incetta per rendere il mondo più giusto. E’ un’utopia? Forse! Però, sperare e pregare non costa nulla, purché ognuno si facesse un esame di coscienza e decidesse da che parte stare.

 
Buona vita e auguri a tutti dallo scrittore Carmine Scavello
(Contatti: mail carminescavello@yahoo.it; tel. 349 2980359; facebook)
 

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 18-20 ottobre 2019
18-20 ottobre 2019 – gita dell’ALA a Carrara, Lucca e Pisa

Ringrazio doverosamente innanzitutto l’associazione ALA  per l’ottima scelta di questo itinerario di tre giorni. Non parlo volutamente di monumenti, palazzi, piazze, chiese e personaggi storici ed artistici in quanto la loro descrizione può essere recepita su qualunque opuscolo turistico, dedicato alle tre località turistiche. Non affronto nemmeno qualsiasi discorso sulle origini storiche e politiche perché diventerebbe noioso e contraddittorio, quando ci sono più fonti da citare. Le guide turistiche – che ci hanno accompagnato – sono state molto brave e all’altezza del loro compito. Io, dal mio modesto punto di vista, tratto della gita basandomi sulle mie osservazioni personali e faccio riferimento alle curiosità che le singole guide ci hanno impartito durante le loro descrizioni minuziose. Anche loro – dato lo scarso tempo a disposizione – si sono limitate a condurci nei luoghi più importanti delle città visitate e a darci un’infarinatura sulle notizie più importanti. Un gruppo di 44 persone è eccessivo per una sola guida: la distrazione, la concentrazione e la presenza effettiva e contemporanea non era gestibile per un massimo ascolto e partecipazione collettiva. Carrara è conosciuta nel mondo come la capitale mondiale del marmo fin dall’antichità; viene definita dagli storici città anarchica e libera: qui tutto è marmo! I suoi abitanti rappresentano tutto e il contrario di tutto; da fuori sono visti arcigni e arrabbiati; da dentro sono persone dal cuore grande e generoso e sono pronti a sacrificarsi per chi è in difficoltà. Mi ha rattristato il suo centro storico con le saracinesche di negozi abbassate e i cartelli vendesi; però, si udivano i battiti della Fortitude. Alzando lo sguardo in alto, si vede il bianco delle Alpi Apuane come se fosse neve, invece è il candore del suo marmo. Lucca è denominata la città delle 100 chiese; un tempo delle 250 torri. Sarebbe ora che l’UNESCO si sbrigasse a definirla Patrimonio dell’Umanità! Un tempo era chiamata Repubblica Nana – per via del suo esiguo territorio – e di Pidocchi – nel senso della tirchieria; i mercanti un po’ lo sono; non sperperano facilmente i denari, se non c’è un tornaconto personale. I Lucchesi, invece, si definiscono attenti a mettere le mani in tasca. Quando un’opera non finisce nei tempi stabiliti si dice: è costata quanto il Serchio ai Lucchesi. Solo Dio sa quanti danni ha provocato quel fiume maledetto e benedetto nello stesso tempo! L’orgoglio della cinta muraria mi dà la certezza di quanto il popolo lucchese fosse stato legato alla sua città: ognuno partecipò alla costruzione; chi poteva in denaro e i meno abbienti con giornate lavorative. Ecco il senso dell’appartenenza! Avevano una propria zecca per non restare senza denaro. Di Pisa, conosciuta e straconosciuta turisticamente, dico solo che si rinnova sempre il miracolo di calpestare l’erba della sua famosa piazza, di visitare gli altri luoghi meno conosciuti e nascosti e di portare l’augurio che la famosa Torre guardi il cielo e ci saluti col suono delle sue campane, in quanto è un campanile e non un torrione. Udire una voce femminile che si alza nella volta del Battistero, si amplifica e ritorna in basso sotto forma di eco modificata ci dice quanto è grande l’intelligenza umana quando si adopera per creare capolavori che ne esaltano l’ingegno. Nella Piazza dei Miracoli, c’è tutta l’essenza della vita umana che si evolve attraverso i quattro capolavori: il Battistero; la Cattedrale, il Campo Santo e la Torre. Si manda il messaggio che è sordo chi non vuole sentire la voce che viene dal Cielo!
Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 23 09 2019 Gennaio 2019

Cari amici e colleghi,

comunico – a quanti non lo sapessero – che ho pubblicato il mio sesto libro dal titolo “ti racconto il mare … Brevi saggi, aneddoti, riflessioni”. E’ composto da tanti capitoli indipendenti dedicati al nostro amico Mare attraverso storie, storielle, racconti, saggi, aneddoti, cronaca, curiosità …. Chi ama il mare l’amerà ancora di più; chi l’ama poco o per nulla comincerà ad amarlo! Il libro è interessante, coinvolgente, rilassante ed unico nel suo genere letterale per l’originalità del testo e per il messaggio positivo che manda in ogni capitolo. E’ un’ottima idea irripetibile farsene o farne un regalo; farete felici voi stessi e i fortunati riceventi; col vostro aiuto mi darete la possibilità di programmare le prossime pubblicazioni. La sola vista della copertina del libro sul comodino del vostro letto, al mattino, vi ispirerà pensieri positivi e vi augurerà una buona giornata da vivere momento per momento, prima che essi appartengano al passato. Sarò al convegno annuale dell’ALA a Brescia e Sirmione del 28 settembre 2019; in tale occasione ne porterò con me delle copie; chi fosse interessato ad averne una mi troverà nel ristorante al mio tavolo assegnato.

Grazie dell’attenzione e buona vita Carmine Scavello

(contatti; mail carminescavello@yahoo.it; telefono 349 2980359; facebook)

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 03 03 2019 Gennaio 2019

Gita (organizzata dall’Associazione ALA; sito ALAS – Cassina De’ Pecchi –MI) a Borgosesia del 3-3-19 con mete: il carnevale e il santuario di Sant’Anna.

E’ stato unito il sacro e il profano: sono stati presi due piccioni con una fava.
Il santuario di Sant’Anna ha occupato l’intera mattinata. Il luogo di culto è situato su un piccolo colle da cui si domina la valle, la città di Borgosesia e il territorio collinare e montagnoso circostante. Prima di arrivare al luogo sacro, si passa accanto a delle piccole cappelle che rappresentano scene della Via Crucis; sono un po’ malandate a causa dell’incuria dovuta agli agenti atmosferici; però, faccio appello alle Belle Arti e al Ministero dei Beni culturali per venire da queste parti per prendere visione del problema e provvedere, prima che la fugacità del tempo arrechi danni maggiori. Il santuario non è grandissimo, ma merita di essere visitato perché ospita al suo interno sei magnifiche cappelle con delle statue ad altezza umana che rappresentano la vita della Madonna fin dalla nascita; sono recintate da grate metalliche perché la stupidità umana non ha tempi e confini. Merita di essere ammirata la pala della Collegiata dei Santi Pietro e Paolo raffigurante la Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Battista, Gaudenzio, Marco, Paolo, Caterina e Apollonia.
Il ristorante “Taverna toma e vino” ci ha ristorato con un lauto pranzo.
Il secondo momento della visita culturale è stata la sfilata dei carri allegorici e dei gruppi mascherati. Ne è valsa veramente la pena in quanto per originalità, ricchezza di costumi e partecipazione non è secondo a nessuno. La classifica dei carnevali più belli d’Italia è difficile stirarla perché ognuno è unico nel suo genere ed ha una storia propria legata al territorio, alle vicende storiche e agli usi e costumi del luogo. Sono rimasto affascinato dalla partecipazione collettiva della cittadina: le centinaia di comparse in maschera hanno dedicato tempo, preparazione, passione e amore alla riuscita della manifestazione.
Il carnevale di Borgosesia è uno dei più antichi della Valsesia; ha origine nel 1854. La città durante il carnevale assume il nome di Magunopoli e i capi spirituali sono le maschere Peru Magunella e Gin Fiammàa. Ha una prerogativa: non termina col Martedì grasso, ma il giorno dopo, mercoledì delle ceneri detto Mercu Scurot. In questa giornata si celebra la fine del carnevale con la lettura del testamento di Peru Magunella e il rogo della maschera. Per dovere di cronaca dico che l’altro carnevale che dura di più è quello di Milano e zone limitrofe con rito Ambrosiano; finisce il sabato successivo prima della domenica della 1^ Quaresima. I partecipanti al Mercu Scurot sono vestiti elegantemente con frac, farfallino bianco, cilindro, mantella e portano in una mano l’immancabile cassù (mestolo di legno utilizzato per bere il vino). I cilindrati, così sono chiamati i mascherati, iniziano il giro della città e mangiano e bevono vino presso le postazioni adibite a tale scopo con pranzo a base degli immancabili fagioli. Quest’anno si è aggiudicato il palio il carro allegorico del rione di Montrigone dal titolo Terra ferma. Il messaggio del problema dei rifiuti è stato molto forte nelle coscienze dei visitatori. Borgosesia si ricorda per la Manifatture Lane e negli annali storici per aver finanziato l’acquisto di due piroscafi su cui si imbarcarono i Mille per la conquista delle Due Sicilie. Un grazie di cuore ad Ala per la perfetta organizzazione e alla professionalità della ditta Trasporti Origgi di Carugate per il servizio autobus. Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello, autore di sei libri

(contatti: mail carminescavello@yahoo.it; tel. 3492980359)

 
 
Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 1 Gennaio 2019
Cari destinatari, e …….
Auguri di Felice e Buon Anno a tutti a pioggia, che quando scende dal cielo bagna tutti senza distinzione. Auspico che l’anno 2019 in arrivo sia migliore del precedente e più buono del seguente. Il 2018 ci lascia per sempre e si porta con sé tanti ricordi e altrettanti momenti da incorniciare o da dimenticare; lasciamolo alla storia come monito per fare del 2019 un anno eccellente per gettare solide basi su cui costruire le fondamenta di quelli che arriveranno a ruota. Impariamo dagli errori che possiamo e dobbiamo migliorarci con la convinzione che abbiamo le capacità di farcela con le nostre forze. Usiamo normalmente una piccolissima parte del nostro cervello; facciamo in modo di attingere l’energia occorrente dalla gran parte restante e inutilizzata. Si può? Certo che si può! Basta spremere le meningi nel verso giusto e fare la scelta oculata di non sprecarle per cose inutili, di scarso valore e dannose per noi e per gli altri. C’è un segreto? Certo che c’è! Trovatelo! Volere è (e) potere sono due azioni che non si smentiscono mai! In ogni cosa che facciamo esiste una morale: troviamola e facciamone buon uso! Cominciamo col piede giusto a migliorare noi stessi nell’ottimismo, nel morale, nella volontà, nella sapienza, nella voglia di vivere e nella speranza che un mondo migliore esiste se ognuno facesse la propria parte con coscienza, buonsenso e amor proprio. Chi devia da questo percorso virtuoso è un nemico del genere umano e se ne assuma le sue responsabilità. Verrà il giorno che capirà che tutti i nodi verranno al pettine e dirà a se stesso che ha sbagliato tutto nella vita, se avrà il coraggio di non mentire a se stesso. Ci sarà Qualcuno che gli tirerà le orecchie e gli renderà pan per focaccia! E’ buona norma augurare Buon Anno anche a lui come a tutti i fratelli del nostro cammino terreno. L’anno che verrà avrà tante prospettive e altrettante promesse da mantenere; però, poverino da solo non ce la farà se non gli daremo una mano! E’ nel nostro interesse far sì che fosse ricordato negli annali storici come un anno meraviglioso al pari degli altri che hanno segnato la nostra vita. Ognuno sa cosa vuole dall’Anno Nuovo; io auguro a tutti che i loro desideri si avverino!
Felice e Buon Anno a tutti gli abitanti della terra dallo scrittore Carmine Scavello

Felice e Buon Anno 2019 – Libera divagazione sul Capodanno.

Racconto un piccolo e piacevole aneddoto dei festeggiamenti del questo Capodanno. Un mio amico, presente alla festa, mi ha chiesto di esprimere un solo augurio da dedicare a tre soggetti diversi: gli Italiani, i cittadini del mondo, le persone comuni. Io spontaneamente e istintivamente così ho risposto: Per gli Italiani chiederei al Cielo che la nostra Costituzione venisse applicata e considerata integralmente in tutte le sue parti con amore, senso civico, lealtà e passione. Questa risposta l’ha lasciato di sasso in quanto l’ha considerata molto impegnativa e forse difficile da mettere in atto. Troppe lacune e negligenze fanno sì che venga ignorata da chi gli fa troppo comodo non rispettarla per non scontrarsi con i propri principi, i propri sentimenti, il valore patriottico e civile e il buon comportamento civico, etico e umano. Mi ha detto: Non ti sembra di aver chiesto una cosa esagerata? No, gli ho risposto: Se tutti noi fossimo cittadini modello di dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare ci sarebbe più giustizia sociale e più benessere per tutti! Troppe mani lunghe rovistano nelle tasche dei cittadini onesti e indifesi; chi dovrebbe vedere e sentire diventa cieco e sordo. Purtroppo è vero; ci sono delle regole da onorare; ma queste regole diventano elastiche, nel senso che ciascuno se le modella a proprio uso e consumo, contando sul fatto che le leggi, nella pratica, non sono uguali per tutti. Rotto il ghiaccio, poi ha aggiunto: Cosa chiederesti ai cittadini del mondo? Potrei chiedere una lunga lista di auguri, ma poiché la risposta è univoca, io chiederei che la pace si insediasse come un tarlo in ogni cuore e in ogni testa degli abitanti della Terra. Ogni volta che c’è una guerra ne subiscono le conseguenze il genere umano, l’ambiente e la Natura. Si rompe un equilibrio costituito con compromessi e promesse da marinai – chiedo scusa ai marinai per il modo di dire – e si ricade nell’errore ricorrente perché gli uomini, non più di buona volontà, perdono la memoria dei moniti, degli armistizi e fanno parlare di nuovo le armi. L’uomo è come il lupo: Perde il pelo, ma non il vizio; specie chi ha interesse che le guerre continuino per lucrare sulla morte di innocenti. Il mio amico mi ha posto ancora una domanda retorica e mi ha domandato chi ne traesse i vantaggi in caso di guerra. Ecco la mia risposta: Non ci sono né vincitori, né vinti; vince solo la mestizia; ci perdono l’orgoglio e la dignità, e di conseguenza le ferite inferte al genere umano. Cosa chiederesti per le persone comuni? Chiederei la prima cosa in assoluto: Ossia la buona salute! Io sono un fan di Nino Manfredi e ho citato la sua canzone: “Tanto pè canta”. Gli ho ripetuto quattro righe del testo: Quanno c’è ‘a salute c’è tutto/basta ‘a salute e un par de scarpe nove/poi girà tutto’ er monno/e m’accompagno da me! Per chiudere l’argomento, che cominciava a diventare troppo impegnativo, mi ha chiesto: Oltre la salute cosa mi avesse colpito delle parole del testo della canzone; rifletti bene, ha aggiunto! Una sola scelta. Gli ho risposto: la libertà; e così mi abbracciò dicendomi: Buon Anno! Torno al presente e con questo aneddoto vi lascio i miei migliori auguri per un Felice e Buon Anno Nuovo, nonché la lunga, buona e serena vita.

Lo scrittore Carmine Scavello vi saluta calorosamente e vi auspica tanta gioia nel cuore e nell’anima e la benedizione divina sulle nostre teste.

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 16 Dicembre 2018
Cari destinatari/e ….,

col vostro permesso, vi invio i miei più cari, sinceri e sentiti auguri di Buon Natale e di Buone Feste espressi con amore, libertà, piacere e a senso unico, ossia senza la pretesa del contraccambio. Spero che gli auspici siano di vostro gradimento o almeno considerati il mezzo che mi permettano di mettermi in contatto con voi. Penso che conti molto il pensiero al di là dell’accoglienza dei medesimi; mi hanno sempre insegnato che gli auguri spontanei e senza secondi fini siano i più graditi e condivisi.  
In allegato trovate la bella sorpresa di due miei nuovi quadretti letterali sul Natale, uno in rima e l’altro in prosa. Leggeteli entrambi solamente se avete voglia, tempo, pazienza, piacere e interesse a leggerli; non pretendo minimamente che lo facciate.
Di nuovo vi auguro: Buon Natale, Buone Feste e buona, lunga e serena Vita.
Carmine  Scavello

Natale in allegria

  • Il Natale dev’essere una festa di gioia,
  • perciò cancelliamo dalla mente la noia.
  • Per tanti è un momento di nostalgia;
  • dico loro di viverlo invece con frenesia.
  • E’ una ricorrenza che si vive in compagnia;
  • da soli il Natale è una grande malinconia!
  • E’ vero e condiviso il detto :Natale con i tuoi;
  • così ognuno lo viva intensamente con i suoi.
  • Per i credenti è una giornata religiosa;
  • così si trasforma in solare da uggiosa.
  • Il Natale porta grande gioia nel cuore;
  • depenna dalla nostra mente il malumore.
  • Come dice la parola, è una festa di vita;
  • la Natività ci porta un’euforia infinita.
  • Il tema principale è quello della bontà:
  • troppe mani cercano segnali di carità.
  • Bisogna stare attenti ai tanti impostori;
  • abusano della generosità dei benefattori.
  • Meglio restare nel dubbio che dare niente;
  • si rischia così di ignorare il vero indigente.
  • Una vigilia di Natale sognai un angelo biondo;
  • venne in Terra con amore per cambiare il mondo.
  • Seminò chicchi di buonumore e di concordia;
  • nacquero le piante che soffocarono la discordia.  
  • L’angelo mutò l’allegria in morbo contagioso;
  • alcuni ne furono colpiti in modo portentoso.
  • Nessuno dei colpiti guarì da quella malattia;
  • da allora il mondo visse momenti di euforia.
  • Mi svegliai e mi resi conto che non era così;
  • tutto era come prima e quel sogno svanì.
  • Allora pregai che l’’allegria lasciasse una scia;
  • così che tutti respirassimo l’odore dell’armonia.  
  • Speriamo che il clima del Natale non cambi mai;
  • la bandiera della tristezza non sventoli giammai.
  • Si spera che il suo fascino viva per l’eternità;
  • l’armonia e la pace vivano giorni di prosperità.
  • Fatevi convinti nello specchio un bel sorriso;
  • vedrete che l’allegria ritornerà sul vostro viso.
  • Pensate perciò e fermamente alle cose belle;
  • accettate il prossimo come fratelli e sorelle.  

NATALE IN ALLEGRIA

 Natale è ogni giorno dell’anno, se avessimo la pace nel cuore e se sotterrassimo per sempre l’ascia di guerra. Allora potremmo dire che il mondo respira un clima migliore nel segno della fratellanza. Chi è arrabbiato con se stesso, con tutti e col mondo intero non sa essere allegro; la sua mente, colma di arrabbiatura, è piena di odio e trabocca livore da ogni poro. Quell’individuo è schiavo dei suoi cattivi pensieri; vede intorno tutto nero. Quell’angelo, del quadretto in rima, del mio sogno a Natale dovrebbe andare a trovarlo più spesso e portargli in dono un capiente canestro di serenità; forse, la vita gli sorriderà e gli darà lo smalto dei tempi migliori. Gli esseri umani alla nascita sono nudi e tutti uguali; sono l’ambiente e le circostanze che, poi, cambiano il loro carattere in buono o cattivo. Anche il periodo storico, il luogo di nascita e l’appartenenza a un gruppo possono fare la differenza in meglio o in peggio. Sorridere agli altri, oltre che un piacere, dovrebbe essere un dovere morale di buona convivenza. L’allegria è come una malattia contagiosa; un sorriso donato, solitamente, è un sorriso ricambiato. Un Natale triste, che Natale è? Almeno in questo periodo natalizio facciamo lo sforzo mentale ed eccezionale di bandire la tristezza dalla nostra vita. Si dice che da cosa nasce cosa, cosicché riusciremo a piantare il seme della gaiezza nei nostri cuori. Poi, bisogna annaffiare quella piantina affinché metta radici profonde ed estese. E’ difficile? Forse. Un lungo cammino comincia sempre con un piccolo passo: allora cominciamo ad alzare i tacchi e muoviamoci verso la gioia. L’allegria viene dall’anima; parte, pervade tutto il corpo e termina con un sorriso. E’ lo stato d’animo più positivo che ci sia; in teoria costa poco essere allegri; in pratica, richiede l’impegno di dimenticare le preoccupazioni o accantonarle per un momento e dar loro il giusto valore che meritano. Superarle e affrontarle senza patemi d’animo è il segreto di non essere schiacciato dal loro peso. Ritorna in auge il detto che dice: “Se la vita ti dà cento motivi per essere triste, danne almeno cento più uno per essere allegro. Chiodo schiaccia chiodo è l’alternativa più giusta”. Essere triste è un disaggio interiore; occorre  fare un grande salto di qualità per vincere la negatività. Il problema rimane sia che si è tristi che se si è allegri; tanto vale, allora, cercare la strada che conduce all’allegria; il terreno sarà poco accidentato se ci sarà la piena volontà di cambiare atteggiamento e vestire i panni della persona allegra al di là dei problemi.

Buona, lunga e serena vita dallo scrittore Carmine Scavello (autore di sei libri pubblicati dal 2013)

 
Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 5 Dicembre 2018 
L’INGORDIGIA
L’ingordigia è il desiderio impetuoso di possedere sempre di più; normalmente, più di quanto se ne abbia realmente bisogno. Si fa solo per il gusto del possesso, al di là dell’utilità reale che se ne trae. E’ legata al possesso del denaro, ma vale anche per qualsiasi altro tipo di materiale di un certo valore. L’avidità è la bramosia di avere quell’impulso irrefrenabile ad accumulare ricchezze e a guadagnare il massimo possibile e impossibile, senza accontentarsi dei traguardi raggiunti. L’ingordo diventa vorace ed insaziabile col rischio fondato di calpestare impunemente le persone con cui ha a che a fare; spesso, queste ultime non sanno difendersi per paura di conseguenze o incapacità di reagire. Quel soggetto è come se fosse drogato per non rendersi conto del male che arreca agli altri. La domanda nasce spontanea: l’avido è una persona cattiva o è in malafede? Si è portati a pensare che abbia solo un problema continuo psicologico dovuto a un bisogno di colmare un vuoto dovuto a mancanza di stimoli e di affetti, ma capace – a modo suo – di sostituirli con beni materiali. Quell’uomo insaziabile ha un desiderio continuo di procurarsi anche ciò di cui non ha effettiva necessità. Somiglia al personaggio Walt Disney, zio Paperon de Paperoni, che si crogiola nel suo tesoro di monete d’oro; si tuffa letteralmente sul suo gruzzolo; se l‘abbraccia; vi si rotola e guai a dare una monetina a Paperino e Qui Quo Qua. Non si accontenta giammai di accrescere il suo patrimonio, sebbene non se lo possa minimamente godere, né condividere fraternamente con i componenti della sua famiglia. Quando parliamo di avidità ci riferiamo all’egoismo elevato all’ennesima potenza; si può riversare non solo su beni materiali, quali denaro, case, automobili, gioielli, ma anche su gelosia esagerata, altezzosità e senso smisurato di possesso; essa non dà contentezza in quanto crea insoddisfazione e invidia per chi possiede di più. Mi ha colpito una storiella semplice raccontata dal mio maestro elementare, sentita a sua volta narrare quando era un alunno anche lui. Agli scolari fu assegnato il compito di disegnare su un foglio una moneta. Il risultato fu sorprendente. I ragazzi di estrazione povera disegnarono una moneta enorme in confronto alla forma originale; quelli di estrazione abbiente la riprodussero minuscola, come fosse in fotografia. Il maestro vide nei due comportamenti la realtà dei due ceti sociali; in un caso il desiderio di possedere quella moneta e nell’altro la normalità del possesso. Un detto sempre attuale dice: “Beati gli ultimi se i primi sono onesti”. Io lo modificherei con: … se i primi non sono ingordi. Anni addietro davo una mano a mia sorella nella conduzione del suo locale da ballo; mi occupavo del bar e alla fine della serata sparecchiavo i tavoli. Ecco il fatto che racconto. Mia sorella ad una certa ora metteva a disposizione un buffet self service con pasta, pizzette, focacce e dolci; appena comunicava che potevano servirsi, si creava una fila incontrollata e tutti si riempivano i piatti fino all’inverosimile; nel frattempo qualcuno continuava a ballare e aspettava di servirsi con comodo; sbagliava i conti in quanto a causa dell’ingordaggine della gente restava poca roba nei vassoi. Mia sorella era costretta a cuocere altra pasta e riscaldare altre pizzette e focacce, ammesso che ne fossero rimaste ancora. Ora viene il bello. Quando andavo a sparecchiare trovavo i piatti interi di cibo non consumato e in quel momento pensavo a quei poveracci che erano rimasti senza. Dicevo tra me e me: Che ingordi deficienti! Almeno avessero mangiato quel ben di Dio e non costringerci a buttarlo nell’umido.
 
 

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 2 Dicembre 2018 , gita a Rovereto

Visita al Castello di Avio e alla città di Rovereto del 01 dicembre 2018

Con questa ultima visita del 2018 i nostri amici dell’ALA ci regalano un’altra perla culturale e ci fanno gli auguri anticipati del Santo Natale. Stavolta ci portano in Trentino a visitare i luoghi citati nel titolo della lettera. La scelta la giudico interessante dal punto di vista strategico ed istruttivo. Il Castello di Avio, secondo me, non è conosciuto dal grande pubblico ed è un vero peccato. Però, se il FAI l’ha inserito tra i suoi beni culturali, ha i suoi buoni motivi e concordo pienamente nella lodevole scelta. Le tre poderose cinte murarie e le cinque torri ne fanno una possente roccaforte. Consiglio di visitarlo in quanto differisce dagli altri manieri per l’architettura, la posizione strategica, il panorama, la storia e gli splendidi affreschi. A seguire, la tappa di Rovereto (Roboretum in latino) ha concluso la giornata. E’ chiamata “città della quercia” perché un tempo era circondata da un bosco di querce in cui pascolavano liberamente gli animali, si ricavava il legna da ardere e vi si coltivavano cereali. La guida Daniela T. ha illustrato come Rovereto racchiuda al suo interno contesti moderni e antichi che si fondono per darle la palma di città turistica. E’ suggestiva la visita alla campana dei caduti battezzata Maria Dolens situata sul colle di Miravalle; è la quarta campana al mondo per il peso tra quelle che suonano a distesa, ossia ruotando sul proprio asse orizzontale. Ogni sera cento rintocchi ricordano i caduti di tutte le guerre per invocare pace e fratellanza tra i popoli del mondo. Il suono riecheggia nella valle. Le nazioni coinvolte nella Prima Guerra Mondiale, hanno offerto dei cannoni che sono stati fusi per costruire la campana; oggi si contano 95 adesioni di nazioni. Quei rintocchi mandano un messaggio eloquente ed univoco: amarsi come fratelli! Col vostro permesso mi allaccio alla mia quarta opera letteraria “I battiti dell’amore”.

(*) L’umanità non deve mai stancarsi di tenere accesa la fiammella della speranza, affinché la bandiera dell’arcobaleno continui a sventolare negli animi di coloro che amano la pace e ripudiano la guerra. Ogni uomo di qualunque latitudine faccia conto di avere un vessillo della pace tutto suo issato simbolicamente nel proprio giardino o legato saldamente all’inferriata del suo balcone perché il vento amico lo sventoli e ricordi agli altri uomini che un mondo senza guerra è possibile se si mettono da parte l’egoismo, l’odio e la superbia di appartenere ad una razza superiore. Non c’è amore senza pace; non c’è pace senza amore! Quando viene a mancare l’amore, si insinua il tarlo dell’odio, che scava profondi solchi nelle coscienze. Il sentimento dell’odio annebbia le menti e fa vedere nero anche il bianco della neve o il velo della sposa. Ha per areola una corona di cattiveria; si alimenta di dubbi e di sospetti e vede solo quello che appaga la sua arroganza e la sua discordanza. Ha inoltre per cattivi consiglieri gli angeli del male e mette tante sentinelle intorno ai suoi steccati per non fare entrare il bene. Odio e amore non possono convivere: l’uno è antagonista inesorabilmente dell’altro. La pace capisce che in queste meste condizioni è indesiderata e va in vacanza. Trasloca sconsolata verso altri lidi dove possa trovare un terreno fertile per mettere robuste radici tra uomini di buona volontà, amici della concordia. Sa bene che essa non si può imporre nei cuori con la forza e con la violenza; appena un contendente si distrae un attimo, girando lo sguardo altrove, il nemico della pace lo pugnala alle spalle. La guerra, sempre in agguato dietro l’angolo, è la conseguenza diretta dell’allontanamento della pace; tutto gioca a sfavore dell’amore; fomenta gli animi per appropriarsi del rancore e per trovare le giustificazioni a uno scorretto comportamento verso i fratelli di turno, giudicati rei di aver violato le regole ….

Lo scrittore Carmine Scavello augura buona, lunga e serena Vita

(*) Breve frammento tratto dal capitolo “Amore per la pace” del mio quarto libro “I battiti dell’amore”

  • Sacrario militare di Castel Dante, posto sulla sommità di Colle Castel Dante, dal quale è possibile avere una panoramica sulla città e sui suoi dintorni. La costruzione è del 1936, su progetto dell’architetto Ferdinando Biscaccianti. È l’estrema sepoltura di dodicimila soldati italiani e austro-ungarici uccisi sul fronte italiano durante la prima guerra mondiale. Il Sacrario conserva inoltre le spoglie dei martiri irredentisti Fabio Filzi e Damiano Chiesa. Un monumento al generale Guglielmo Pecori Giraldi ricorda la 1ª Armata italiana che, nel 1916, fermò l’offensiva austriaca
  • La Campana dei Caduti battezzata Maria Dolens, situata sul Colle di Miravalle, i cui cento rintocchi ricordano ogni sera i Caduti di tutte le guerre, invocando Pace e fratellanza nel mondo. Venne fusa il 30 ottobre 1924 con il bronzo dei cannoni offerti dalle Nazioni coinvolte nell'”immane massacro” della prima guerra mondiale. Prima di essere esiliata nel secondo dopoguerra sul colle di Miravalle, dominava, alta sul torrione Malipiero del Castello castrobarcense, la Valle Lagarina. Per decenni Maria Dolens costituì parte importante e significativa del paesaggio di Rovereto e della sua coscienza civica: la città, dopo ogni tramonto, risuonava del suo solenne monito alla fratellanza universale nel ricordo del sangue versato su tutti i campi di battaglia.[22]
  • Sacrario militare di Castel Dante, posto sulla sommità di Colle Castel Dante, dal quale è possibile avere una panoramica sulla città e sui suoi dintorni. La costruzione è del 1936, su progetto dell’architetto Ferdinando Biscaccianti. È l’estrema sepoltura di dodicimila soldati italiani e austro-ungarici uccisi sul fronte italiano durante la prima guerra mondiale. Il Sacrario conserva inoltre le spoglie dei martiri irredentisti Fabio Filzi e Damiano Chiesa. Un monumento al generale Guglielmo Pecori Giraldi ricorda la 1ª Armata italiana che, nel 1916, fermò l’offensiva austriaca

Tra i vigneti di Sabbionara d’Avio, gli affreschi del castello raccontano l’amore, ma anche storie di guerra ed episodi di  battaglie.

Il castello di Avio è uno dei più noti, antichi e suggestivi monumenti fortificati del Trentino. Dalla sua posizione, sulle pendici del Monte Vignola, il castello domina la valle fin quasi a Verona. Imperdibile il colpo d’occhio sull’imponente mastio, la poderosa cinta muraria e le cinque torri.

Probabilmente presidio militare già in epoca longobarda, divenne proprietà della famiglia Castelbarco per passare in seguito ai veneziani nel 1441. Dal 1977 il castello è  un Bene del FAI, che vi ha realizzato un’attenta opera di restauro.

Entrando, attraverserai una porta-torre coronata da merli a coda di rondine. Sulla destra osserva la mole della torre che spicca tra le mura orientali: è la “Picadora”, chiamata così perché, secondo la tradizione, sulla terrazza venivano impiccati i condannati.

All’interno, rimarrai incantato dagli splendidi cicli di affreschi di scuola veronese: La parata dei combattenti, sulle pareti della Casa delle Guardie, e La stanza dell’amore, eleganti decorazioni di gusto cortese nel mastio.

Il Castello di Sabbionara d’Avio si scorge da lontano. È il tuo primo benvenuto in Trentino!

Il castello è costituito da tre cinte murarie che circondano a guisa di corona l’insieme del sistema difensivo e può vantare 5 torri, tra cui quella della picadora, dove in passato venivano eseguite le condanne capitali per mezzo dell’impiccagione

Città della Quercia nome di rovereto

La Campana dei Caduti battezzata Maria Dolens, situata sul Colle di Miravalle, i cui cento rintocchi ricordano ogni sera i Caduti di tutte le guerre, invocando Pace e fratellanza nel mondo. Venne fusa il 30 ottobre 1924 con il bronzo dei cannoni offerti dalle Nazioni coinvolte nell'”immane massacro” della prima guerra mondiale. Prima di essere esiliata nel secondo dopoguerra sul colle di Miravalle, dominava, alta sul torrione Malipiero del Castello castrobarcense, la Valle Lagarina. Per decenni Maria Dolens costituì parte importante e significativa del paesaggio di Rovereto e della sua coscienza civica: la città, dopo ogni tramonto, risuonava del suo solenne monito alla fratellanza universale nel ricordo del sangue versato su tutti i campi di battaglia.[22]

 Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello :  21° Messaggio 15/11/2018 

Libera divagazione sulla stupidità

 << Se i cretini sapessero di esserlo, non sarebbero cretini! >>

E’ una frase vecchia come il cucco. Qualcuno direbbe che al giorno d’oggi ce ne sono sempre meno in quanto l’informazione ha fatto passi da gigante. Ma tempi erano, tempi sono e tempi saranno; però, chissà perché la mamme dei cretini sono sempre incinte!

Ho cercato se esiste la Giornata Mondiale della Stupidità e non l’ho trovata; forse perché è ogni giorno dell’anno. I miei maestri di riferimento mi han sempre detto che è impossibile far diventare intelligente uno stupido. Han rincarato la dose dicendo che l’intelligente – a stretto contatto con lo stupido – finisce per perdere la sua intelligenza temporaneamente o per sempre perché è molto più facile l’appiattimento verso il basso.

Un mio amico psicologo ha affermato che la stupidità è contagiosa; non ho elementi in mano per poterlo smentire. Egli parte dal presupposto che in natura gli elementi più diffusi sono l’idrogeno e la stupidità umana.

Durante una discussione tra amici sull’imbecillità è stata tirata fuori questa frase che riporto testualmente: L’umanità vive in un’epoca in cui le guerre sono civili, le bombe sono intelligenti e la maggior parte della gente è stupida.

Un comico napoletano durante uno spettacolo di cabaret disse alla spalla: “Sei nella media”. Perché domandò l’altro: Ogni minuto muore uno stupido e ne nascono due! Tu sei uno di quei due.

Durante una trasmissione televisiva sugli animali da cortile, un ragazzo chiese al conduttore come mai l’oca viene definita come un animale stupido; l’uomo colto di sorpresa da quella domanda insolita rispose: “Sicuramente è dovuto a causa delle stupidità che sono state scritte nel tempo dagli uomini di cultura con le sue penne.

Gli stupidi si attraggono come calamite. Ne ho avuta la prova sul mondo del lavoro; quando veniva assunto uno stupido, dopo una settimana dall’assunzione si accoppiava con gli altri stupidi dell’azienda. Poi, mi son chiesto: Ma gli esaminatori dormivano o erano attratti da altre qualità che – francamente – i benpensanti non vedevano?

Il mio capo un giorno affermò: E’ giusto che ci siano gli stupidi, altrimenti come si farebbe a capire chi sono gli intelligenti. Continuò il discorso dicendo una battuta stupida che mi ha colpito per la sua originalità: “Un cretino può leggere unsaggio e non viceversa”. Invece una battuta intelligente e riflessiva è espressa dalla legge di Murphy: “I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedire loro di nuocere!”

Parlando di depositi bancari con un mio amico direttore di banca egli mi disse che: “Uno sciocco e il suo denaro condividono lo stesso materasso”; quello sciocco usava il metodo antico di chi non si fidava degli istituti bancari.

A un banchetto di nozze se ne sentono di tutti i colori, specie quando si alza troppo il gomito; solitamente i ciucchi dicono delle verità. Quella che sto per dire è uno schiaffo morale all’amore di due giovani talmente innamorati da identificarsi nel detto “due cuori e una capanna”. Quell’uomo, cotto dai fumi dell’alcool, guardando e indicando con un dito tremolante il giovane sposo disse: “Se hai un padre povero sei uno sfortunato; se hai un suocero povero sei uno scemo”.

Un giorno davanti al casolare di campagna chiesi a mio padre come difendersi dagli stupidi; mi fece un esempio semplicissimo dicendomi: vedi il toro laggiù, lo temi di fronte perché potrebbe caricarti; vedi l’asino legato al palo, lo temi da dietro perché potrebbe scalciarti; così potrai difenderti. E gli stupidi? Purtroppo, lo temi da ambo le parti; è imprevedibile. Poi, aggiunse: Lo stupido ha un cervello così piccolo che quando due pensieri si incontrano, si fermano a litigare per decidere chi passa prima e chi dopo; intanto non passa nessuno dei due.

Mi lasciò un consiglio: “Non discutere mai con un idiota in quanto ti porta a ragionare come lui e ti batte con la sua ottusa esperienza. Gli chiesi quanti stupidi ci sono percentualmente nelle società; così mi rispose con una battuta spiritosa: “Dio deve proprio amare tanto gli stupidi, altrimenti non si spiegherebbe come mai ne ha creati così tanti”.

Feci notare a mio padre che ci sono tanti falsi stupidi in giro quando fa loro comodo; fanno finta di non sentire o di non capire per deviare il discorso o guadagnare tempo. Gli ho ricordato che un tempo c’erano tanti finti scemi per non andare alla guerra. Lui mi rispose che il vantaggio di essere intelligente è quello che può recitare la parte dello scimunito, a differenza che il contrario è impossibile ………………

Lo scrittore Carmine Scavello augura buona, lunga e serena vita.

(contatti: mail carminescavello@yahoo.it ; telefono: 349 2980359)

Convegno dell’ALA di Asti del 29 settembre 2018

Oggi – giorno della festa di San Michele – una numerosa carovana dell’ALA – costituita da baldi e orgogliosi giovani di una volta – si avvia a visitare una caratteristica cittadina piemontese di origine ligure – come villaggio – e poi edificata dai Romani col nome di Hasta Pompeia. Asti era nota già nel medioevo come la città delle “mille” torri ca; oggi ne sono rimaste una dozzina ca. Poi, le han fatto compagnia case-fortini, chiese, domus e palazzi. Mi vengono in mente cinque curiosità legate al territorio di Asti. La prima. Nella California esiste un villaggio chiamato Asti; fu fondato da emigrati piemontesi e svizzeri. Anche là c’è la tradizione dei vigneti. La seconda. In tutte le crociate l’esercito comunale di Asti vi partecipò con un suo drappello di uomini. La terza. Anche Asti annovera un miracolo eucaristico avvenuto entro il suo perimetro nel 1535. Si narra che durante la celebrazione della Santa Messa – allo spezzare dell’ostia – sarebbero uscite delle gocce di sangue che finirono sul calice e sul piatto – che lo copre – detto patena. Avvenne nella chiesa collegiata di San Secondo; i presenti estasiati urlarono al miracolo, ma – poi – l’ostia consacrata ritornò normale – senza la presenza di sangue – e fu ingerita dal sacerdote celebrante la messa come aveva sempre fatto. La quarta. Nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1797 gli Astigiani – stanchi dei Savoia e stremati dalle operazioni militari e dalla crisi economica – insorsero contro il governo centrale e instaurarono la Repubblica Astese; fu innalzata la bandiera bianca e rossa. Durò solo tre giorni e i 17 capi furono arrestati, processati e condannati a morte. Asti è conosciuta nel mondo per i suoi vini e in particolare per l’Asti spumante; per l’appunto, ogni anno a settembre si organizza uno dei concorsi enologici più importanti d’Italia, chiamato Douja d’Or. Douja è il termine dialettale piemontese per indicare un antico e panciuto boccale; parimenti alla parola è legato anche il nome della maschera settecentesca Gianduja. La quinta. Il territorio di Asti è inserito nella lista dei patrimoni dell’Unesco; l’area di Canelli e Asti spumante conta 1236 vigneti coltivati a Moscato Bianco. Un pensiero va pure al suo antico Palio storico che si svolge in Piazza Alfieri nel giorno dedicato al patrono di Asti – il martire San Secondo – con una corsa di cavalli montati “a pelo”, ossia senza sella. Gli storici dicono che è più antico di quello di Siena. Così, scopriamo che la città di Asti ha avuto – tra gli altri personaggi famosi – un martire tra i suoi concittadini. Altri personaggi noti meritevoli di essere citati sono: il poeta/scrittore Vittorio Alfieri; il cantautore Paolo Conte; il comico/scrittore Giorgio Faletti; il regista Giovanni Pastrone (nome d’arte Piero Fosco); i parenti di papa Francesco del casato Bergoglio. Un mio amico astigiano – a proposito dei soprannomi dati alle città – mi disse che Asti è chiamata “Bùla di còj”; mi spiegò che tale nomignolo le fu conferito riferendosi alla sua collocazione geografica, in quanto è edificata in una conca ricca di coltivazioni agricole e di folta vegetazione. Citò anche due antichi detti astigiani. Il primo è : “sentirsi come na barca ‘nt in bòsch” che tradotto significa sentirsi fuori posto o in gravi difficoltà; il secondo è “andare a ramengo”; nasce ad Asti ed è riferito a personaggi importanti del territorio caduti in disgrazia o falliti e mandati in prigione ad Amarengo (Asti). C’è un detto che squalifica gli Astigiani: “sono cosacchi quelli di Asti, larghi di bocca e stretti di mano, ossia chiacchieroni e avari. Nei comuni vicini alla città si diceva: “se il temporale viene da Asti, prendi l’asino e togligli il basto. Se viene da Casale prendi i buoi e vai ad arare.

Tra il VI e il IX secolo Asti era il luogo di un importante ducato di origine longobarda, che iniziò la tradizione di confinare quanti avevano commesso i reati economici proprio ad Aramengo. Questa abitudine sarebbe stata portata avanti anche nei secoli successivi, pure sotto la dominazione sabauda.

La polentina astigiana, fatta con mandorle, uvetta, maraschino e ricoperta da polenta gialla.

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

08  agosto 2018 – GTE e AVIS ,  ce lo ricorda Andrea Andreoni 

Ambrogino d'Oro alla GTE - 1973
Ambrogino d’Oro alla GTE – 1973

30 giugno 2018 –     Gita i tesori del Polesine

Abbiamo cominciato la visita a Fratta Polesine sede della villa palladiana Badoer, detta “Badoera”. La villa presenta forme armoniche ed eleganti; al suo interno ci sono affreschi attribuiti a Gallo Fiorentino. Fa spicco la presenza di vedute urbane ed agresti e decorazioni grottesche; cito con orgoglio nazionale che è patrimonio Unesco. Il Palladio, Andrea di Pietro dalla Gondola, nelle sue creature architettoniche cerca la bellezza, la funzionalità e la vetustà. Fratta Polesine è orgogliosa della villa perché è l’unica nel territorio della provincia di Rovigo progettata da Palladio; il suddetto architetto costruiva le ville fuori dei centri abitati, ma qui ha fatto un‘eccezione edificandola nel tessuto urbano; se guardiamo la forma si presenta con una loggia ionica, una scalinata centrale a tre rampe e due barchesse ai lati. Nonostante i suoi anni a partire dal 1550, anno di inizio di costruzione, la villa si presenta ancora oggi in buono stato di conservazione. La sua salvezza dalle alluvioni dell’Adige è dovuta al fatto che è stata edificata su un terrapieno, prima sede di un castello in rovina. Meritano di essere visitati i granai del sottotetto, oggi usati per mostre. La seconda parte della giornata è stata dedicata al santuario della Vergine del Pilastrello – una statua della Madonna con Bambino in legno di olivo diventata nera a causa dell’ossidazione del materiale ligneo – nel comune di Lendinara; è un luogo di culto che attira pellegrini da ogni parte; qui vivono i monaci Benedettini Olivetani che si dedicano all’accoglienza delle persone bisognose di conforto spirituale. Ne sono testimonianza le tante fotografie appese su telai per chiedere una grazia, i tanti cuori d’argento e le prime tavolette di legno dipinte allocate sull’altare a cui si accede dal lato dell’arcata sinistra. Qui è presente una fonte di acqua benedetta e una vasca ottagonale; al suo esterno fa bella mostra un chiostro, come tutti santuari che si rispettano. Racconto la storiella del primo miracolo della Madonna Nera. Questa Madonnina apparteneva a un signore di nome Giovanni Borezzo. Nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1509 un tremendo temporale si abbatté nella zona e la statua fu strappata dalla violenza dell’acqua. Il mattino seguente un certo Matteo Brandilese trovò la statuetta su una siepe mentre irradiava nell’aria un bagliore luminoso di forte intensità. Gridò al miracolo e da quel giorno tutta la cittadinanza si recava in quel luogo in segno di preghiera. Fu così che un avvocato di nome Matteo Malmigliati – attratto anch’egli dalla luce – decise di costruire una piccola chiesetta nel punto esatto dell’apparizione. Un altro miracolo avvenne quando Matteo Borezzo decise di ristrutturare la chiesetta; l’acqua di una fonte usata per impastare la malta si trasformò in sangue. Seguirono altri miracoli, descritti nei quadri appesi in chiesa. Ora manca quello di far ritrovare la statuetta, rubata da una nicchia alle spalle dell’altare centrale e non più ritrovata. Un ringraziamento va all’associazione ALA per l’ottima organizzazione, alla guida signora Giada per la chiarezza e all’azienda di trasporti Origgi di Carugate per il servizio. Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello (contatti: mail carminescavello@yahoo . it; tel. 349 2980359)

01 Novembre  2017  – Riceviamo dal nostro socio Carmine Scavello :

Cari destinatari,

in questo giorno speciale la Chiesa festeggia tutti i Santi, compresi quelli non menzionati nel calendario liturgico. Pertanto, auguro a tutti gli amici Buon Onomastico. Come uomo comune che vive la sua vita normale con tutti i pregi e i difetti umani, mi accingo a scrivere la presente lettera aperta per parlare di santità, un concetto che a tanti di noi può sembrare una cosa astratta e difficile da mettere in pratica se non si cambia stile di vita e modo di pensare, di ragionare e di agire. Il Santo si spoglia simbolicamente degli abiti civili e indossa quelli religiosi e comincia un percorso di vita integerrima e immune dai peccati terreni. Mi cimento in questa impresa con l’umiltà di scrittore e di osservatore della vita; non voglio dare insegnamenti profondi di cui non sono in grado di comprendere e di divulgare. E’ buona norma osservare, analizzare e comprendere il mondo che gravita intorno noi e cercare di separare il bene dal male; poi, agire da persona corretta e rispettosa del prossimo e della casa comune che ci dà ospitalità. Da ragazzo mi hanno insegnato che per concetto di moralità non si intende eseguire necessariamente cose straordinarie, ma svolgere straordinariamente bene e con amore le cosiddette azioni ordinarie. Il saggio insegna di non rimandare a domani a compiere le opere di bene che si possono compiere oggi, perché domani è un altro giorno e non ci sarebbe più tempo o perché le situazioni son cambiate. La logica mi dice di cominciare a fare prima ciò che è necessario; poi, a fare ciò che possibile fare; infine attrezzarsi e ingegnarsi a provare a fare le cose difficili. A volte, avvengono piccoli miracoli che meravigliano noi stessi; riusciamo ad arrivare dove era impensabile arrivare; la fede, la costanza e la speranza ci danno la forza nei propri mezzi di superare pure le difficoltà più impegnative della vita. In quei momenti pensiamo che non siamo soli e che c’è al nostro fianco il nostro Santo Protettore. Mi hanno posto una domanda insolita e difficile: qual è la differenza tra l’uomo invidioso e il Santo Protettore? Dopo attenta riflessione è scaturita la seguente risposta. L’uomo invidioso vuole salire sempre più in alto per scalare le vette delle classi sociali; il santo, invece, vuole scendere sempre più in basso per essere più vicino agli umili e agli indifesi. In conclusione le cose si invertono: l’invidioso scende sempre e il Santo sale sempre. Anni fa un cabarettista disse allegoricamente una sacrosanta verità: i Santi sono comuni mortali che hanno fatto carriera solo dopo la loro morte. Infatti, per il riconoscimento di santità c’è dietro un lungo processo di beatificazione dimostrata da fatti concreti e miracoli. Io dico in tutta sincerità che non sono perfetto e non sono immune da difetti. Non ho la pretesa di rincorrere la santità che non appartiene al mio modo di fare; cerco di vivere la normalità stando in pace con me stesso e col mondo.

Buona vita da Carmine Scavello

19 Giugno 2017  – Riceviamo dalla nostra Socia Carmela (Lina) D’Elia :

Invio un mio ricordo dell’ Ingegnere Francesco Francese recentemente scomparso.

Con tristezza ho appreso della sua scomparsa a funerali avvenuti.

Per anni ci siamo scambiati notizie ed auguri con biglietti di Natale, era restio ad usare il PC con la posta elettronica, ed anche il telefono cellulare in particolare.

Lo scorso Natale per lo scambio di auguri non mi è arrivato nulla da parte sua, essendo io ottimista, ho pensato all’ennesimo ritardo per un disguido postale, poi, esattamente il giorno dopo il suo funerale, ho ricevuto una telefonata da sua moglie, che m’informava della scomparsa del marito e nel fare ordine fra le sue lettere, l’ing. Francese aveva abbozzato un biglietto di auguri di Natale da inviarmi ma la malattia gli ha impedito di fare.

Che dire? Tanti sono i ricordi che ho del caro ingegner Francese, ne cito uno per tutti:

lo incontrai la prima volta nel dicembre del 1975, dopo un breve colloquio avvenuto col Signor Giamberardino per essere assunta in GTE, nella sede dell’ufficio personale di Cassina de’ Pecchi.

Fui accompagnata dalla guardia Signora Ivana Cavallari nell’ufficio dell’ingegner F. Francese responsabile anche del Laboratorio Tecnologie Avanzate.

Era un giorno particolarmente movimentato fuori dal suo ufficio, perché una parte del Laboratorio era rimasta nel capannone staccato dal nucleo centrale della fabbrica, (per tutti il Lazzaretto) macchinari e tecnici controllavano il trasloco del reparto film sottile del laboratorio, il reparto film spesso era già stato spostato ed era attivo nella sua nuova collocazione.

In più, vi era un movimento di personale che era lì per salutare un tecnico del Laboratorio che lasciava l’Azienda per un’aspettativa sindacale.

Quando l’ingegner Francese mi vide fu molto affabile, mi spiegò il motivo di tutta quella confusione, e poi mi disse: “Signorina, noi qui facciamo film”

Io pensai: accipicchia, ma dove sono capitata?

Poi nel tempo, conoscendolo meglio, capii che era il suo modo di fare trabocchetti e vedere la reazione di chi aveva di fronte.

Non mi persi d’animo e gli dissi che non capivo a cosa lui si riferisse, ma gli dissi che io amavo molto il Cinema.

Scherzando mi spiegò brevemente la tecnologia del film spesso e mi accompagnò nel Laboratorio che eseguiva questa tecnologia, mi mostrò i forni per la sinterizzazione dei circuiti, la macchina serigrafica e quello che riguardava la costruzione dei circuiti.

Fu professionale e leggero e mi mise a mio agio.Un mese dopo ero assunta in quel Laboratorio e ci rimasi fino alla sua dismissione.

Sono grata di averlo incontrato, professionalmente e umanamente mi ha arricchito.

Negli anni ci siamo sempre confrontati e rispettati, anche se in Azienda avevamo ruoli tanto diversi: lui Dirigente Aziendale ed io, operaia e militante sindacale.

Lo ricorderò con stima e affetto e ovunque, sia riposi in pace.

Cordialmente.

D’Elia  Carmela (Lina).

12 Aprile 2017  – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello :

Buona Pasqua a tutti, lettori e non.

Anni addietro il giorno dell’Epifania si facevano gli auguri di Buona Pasqua; tanti non ne capivano il motivo, ma non si tiravano indietro perché era una buona usanza augurale; non si voleva fare la figura del diverso. Allora durante la messa dell’’Epifania veniva annunciato ufficialmente il giorno che sarebbe caduta la Pasqua in quel determinato anno solare. Inoltre in quella festività si comunicava ai fedeli che Gesù si manifestava agli uomini. Il parroco della mia infanzia chiamava l’Epifania Pasqua di Natale. Nessuno lo contestava per questa affermazione, che mi risulti, per cui le sue parole erano condivise. Nel giorno di Pasqua è usanza consolidata mangiare l’agnello; si tramanda tale tradizione in ricordo del pranzo degli Ebrei, terra d’origine dei familiari di Gesù. La vera ragione si allaccia al concetto dell’innocenza: l’agnello è visto come il simbolo di colui che è senza peccato. La Pasqua è preceduta dalla Quaresima. In tale periodo ci è stato detto che era bandito mangiare uova, per chi credeva in tale ammonimento. I nonni dicevano che bastava fare il segno della croce per cancellare il peccato e mangiarli ugualmente per non morire di fame. Le uova comparivano d’incanto sulla tavola a Pasqua allo stato naturale o trasformati. Sia il Natale che la Pasqua erano e sono considerate le feste del trionfo della vita; nel primo caso è la nascita di Gesù Bambino nella grotta; poi, simboleggiata con il presepe. Pasqua celebra la Resurrezione; in pratica Gesù è come se nascesse di nuovo e tornerebbe a vivere per poi salire nel luogo celeste da cui è venuto. L’uovo simboleggia la vita; infatti ogni essere vivente del regno animale, compreso l’uomo, nasce da un uovo. E’ proprio in quell’uovo fecondo che si forma la vita. Non posso non citare la colomba. A Pasqua rappresenta il dolce della tradizione; non è un caso di contaminazione in quanto in essa si materializza lo Spirito Santo. Il giorno di Pasqua c’erano tante usanze per dare maggior valore alla festività. A tale proposito si dice che anni addietro nella provincia di Salerno i figli, nel giorno di Pasqua, baciavano i piedi al padre per chiedergli perdono per le loro disubbidienze; che in Versilia le donne dei pescatori baciavano la sabbia come gesto di ringraziamento; in Romagna si accendevano dei fuochi come atto purificatore. Ci sono riti cruenti non ancora dimenticati; uno di questi è quello dei Battenti o Vattienti. In alcune zone d’Italia meridionale, nella settimana santa tra giovedì e sabato, alcuni fedeli penitenti organizzati in gruppi si flagellano le gambe e altre parti del corpo con oggetti contundenti fino a far uscire il sangue; poi, vanno in giro per le strade del paese o a trovare gli amici a mostrare le ferite e il sangue che cola. Non è autopunizione bensì partecipazione alla sofferenza di Gesù. Pasqua è il simbolo del rinnovamento, della gioia e della speranza. Auguro a tutti che non ci sia un uovo talmente grande che possa contenervi, perché la vostra presenza è già una grande sorpresa. L’autore Carmine Scavello

21 Novembre 2015  – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello un commento sulla gita a Vicenza :

Carissimi/e,

pure stavolta l’Associazione Lavoratori Seniores d’Azienda – A.L.A. ci ha portato a visitare, conoscere ed ammirare un’altra città d’arte di notevole importanza architettonica e culturale: Vicenza. Dal 1994 è considerata con tutti gli onori patrimonio dell’Unesco, anche per merito delle ville palladiane. Questo riconoscimento le è dovuto per i suoi tesori di inestimabile valore artistico. Quasi tutti conosciamo i capolavori immortali dei grandi Maestri che qui hanno operato: i Tiepolo, padre e figlio, e Palladio. A Vicenza la loro arte è di casa per dare lustro all’Umanità della loro riconosciuta creatività e bravura. Se pensiamo a Vicenza, pensiamo anche a loro per associazione di idee. Se alziamo gli occhi vediamo l’imponente santuario di Monte Berico dedicato alla Madonna che apparve in miracolo in quel luogo benedetto ad una popolana per ben due volte. Fu grande all’inizio lo scetticismo sull’apparizione; la donna fu considerata una visionaria. Poi la miracolata fu creduta e fu costruita una piccola cappella devota sul cucuzzolo. La gente accorse numerosa e convinta del miracolo finché le autorità ecclesiastiche permisero la costruzione del santuario, che vediamo oggi in tutta la sua grandezza e splendore. Dall’alto della collina, sebbene sia chiamata Monte Berico, la Madonna veglia su Vicenza e sulla sua gente: da lassù il panorama è mozzafiato! Villa Valmarana Ai Nani ci ha affascinato con gli affreschi dei Tiepolo; le loro opere si sono salvate dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale grazie alla sagacia degli esperti in conservazione di capolavori. Su un muro di cinta della medesima erano bene in vista tante statue di nani. La guida turistica ci ha raccontato un fatto che sa di leggenda. Vi abitava, isolata dal mondo esterno, una ragazza nana, congiunta dei proprietari, circondata da altri nani per farle vivere e credere la sua normalità. Un giorno ella riuscì a mettersi in contatto col mondo esterno; vide un giovane alto e bello e se ne innamorò. Capì che la differenza fisica tra di loro era abissale e si tolse la vita, lanciandosi da una finestra. Ogni guida turistica non può fare a meno di citare il vecchio detto cucito addosso ai Vicentini, che sono chiamati mangiagatti secondo la seguente storiella o leggenda. Vicenza era invasa dai topi, che distruggevano ogni cosa commestibile, senza venirne a capo. Chiesero aiuto a Venezia che mandò in soccorso un branco di gatti. I felini assolsero il compito e nel contempo aumentarono di peso e divennero pasciuti tanto da essere appetibili. Il Doge in visita a Vicenza fu invitato a pranzo. Davanti ad un piatto succulento disse: è molto squisito questo coniglio! Un buontempone lo fermò e gli rispose che nel piatto c’era uno di quei gatti avuti in prestito e mai restituiti. A proposito di Palladio, mi ha incuriosito ogni volta la visione della Casa Bianca e del Campidoglio a Washington; c’era un qualcosa che mi sapeva di italianità. La guida mi ha dato conferma di essere opere neopalladiane. Se mi chiedeste di ritornare a Vicenza, vi risponderei di sì; in tal caso mi viene spontaneo ringraziare Tina ed Angelo per la loro scelta azzeccata. Finora non hanno mai sbagliato una meta turistica. Si considerano principianti e l’umiltà è la loro forza vincente. Bravi!

Buona vita ai lettori

Dallo scrittore, amico e collega Carmine Scavello

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03 Ottobre 2015  – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello un commento sul convegno a Verona:

Carissimi amici,
ho visitato in passato la città di Verona in più circostanze; però, credetemi, questa volta il contesto è diverso perché è cambiato lo spirito con cui l’evento si è ripetuto. Essere in centinaia non è come essere in quattro gatti! Va sottolineato il fatto che organizzare un incontro di tale eccezionale portata richiede un grande sforzo preparatorio. Immagino con un po’ di fantasia i preparativi di un matrimonio. Bisogna muoversi con molto anticipo per cercare un ristorante per centinaia di persone; preparare i tavoli; stilare gli elenchi dei partecipanti; organizzare gli interventi; affidare i compiti precisi perché ogni cosa funzioni a dovere. Vedere cinque autobus che si muovono in processione con un carico umano eccezionale alla fine riempie di gioia chi crede fermamente nell’aggregazione! Cosa spinge gli ex colleghi a rispondere all’appello degli organizzatori? Sicuramente è la voglia di rivedersi dopo un anno intero per raccontarsi le cose accadute sotto lo scorrere perpetuo del tempo. L’occasione è ghiotta e farsela sfuggire sarebbe un vero peccato. Io dico con molta umiltà e spontaneità che ogni lasciata è persa; non per altro, i proverbi insegnano. Verona è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO; è una città dalle mille facce e dalle molteplici risorse; vi convivono modernità e antichità. La giuria mondiale ha riconosciuto il valore della sua struttura urbana ed architettonica per essere tutelato a tutto vantaggio dei posteri. I concetti di modernità e di antichità si fondono per offrire al visitatore la lungimiranza sulla fugacità del tempo e sulla caducità delle cose: rimane però intatto lo spirito di coloro che hanno fatto la storia di questa città unica al mondo. Il mito di Romeo e Giulietta non tramonta mai! Manda il messaggio che l’amore è più forte della vita stessa. Contrastare un amore è una mancanza di libertà e di civiltà, riconosciute dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; anteporre problemi economici, politici e di classe all’amore vero, sano e passionale di due giovani amanti è un’offesa al genere umano. La casa di Giulietta ricorda al mondo intero che simili offese al sentimento primordiale non debbano mai più accadere. Mi viene in mente una frase curiosa che, durante una visita guidata alla città, la buttò lì una guida turistica di buon’umore: Verona è conosciuta come la città senza case! La domanda nacque spontanea: come sarebbe a dire senza case? La donna con un sorriso compiacente e campanilistico rispose che il centro storico è ricoperto solo da hotel, antichi palazzi storici, ruderi romani e monumenti artistici. Provate a contarli se ne siete capaci: ne perdereste subito il conto; io stessa ci ho rinunciato e lo dico con umiltà; sarei superba se ammettessi di conoscerli tutti uno per uno. Dopo questa giornata fantastica ci rimarrà il ricordo di aver rivisto tante facce amiche a cui siamo legati da eterna e sincera amicizia, sentendo nominare solamente il suono del nome Verona.

Un abbraccio a tutti i lettori dallo scrittore Carmine Scavello

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30 luglio 2015 – Carmine Scavello ci scrive una lettera a ricordo del dott. Giovanni Fattore:

Carissimi familiari, amici e conoscenti del dott. Giovanni Fattore,

Valuto una cosa buona e giusta il mio gesto libero e spontaneo di dedicare un dolce e caloroso pensiero al caro e indimenticabile amico Giovanni, ora che la luce ha calato il sipario sull’ultimo atto del suo intenso vissuto. Egli ci ha lasciati in punta di piedi, per non far rumore, per intraprendere un lungo viaggio che lo condurrà lontano nel mondo dei giusti e dei beati. Io dico con umiltà che le care persone, che hanno lasciato un segno indelebile e ammirevole del loro passaggio terreno, continueranno a vivere nel ricordo perenne di chi resta.

Ci sarà sempre qualche episodio che richiamerà la sua memoria. A me personalmente basterà guardare solamente la copertina del mio terzo libro, ambientato in GTE/Siemens, per ricordarmi l’episodio curioso e divertente che ha coinvolto Giovanni, sotto forma di scherzo goliardico. In qualità di uomo di spirito e di compagnia si fece una sana risata e convenne che lo scherzo fosse stato bene organizzato e veramente divertente. Racconto questo piccolo episodio per mettere in risalto il buon clima di convivenza che egli creava intorno a lui; da buon responsabile di sezione cercò sempre l’armonia del gruppo. Intorno a lui si respirava un buon clima di amicizia e di collaborazione. Conosceva la Storia dell’umanità e noi restavamo a bocca aperta a sentirlo parlare con cognizione di causa. Ripeteva spesso che fin quando ignorava certe materie e nozioni aveva sempre lo stimolo di imparare; ricordo una sua frase che ho memorizzato e l’ho adottata: più so, meno so! La sete del sapere lo portava ad approfondire ogni argomento. D’ora in poi, se vogliamo vedere Giovanni, basta alzare gli occhi al cielo e cercare la stella più lucente: quella è la sua che brilla per noi che dirci che ci guarda dall’alto per dispensarci serenità; ne aveva talmente tanta che buona parte di essa se l’è portata con sé nel suo bagaglio delle cose più care per farla cadere sotto forma di pioggia ed irrorarci della sua bontà. Chi ha conosciuto Giovanni conserva di lui un ricordo bellissimo: un uomo così buono e virtuoso non si incontra tutti i giorni. Una persona così speciale, e alquanto perfetto, e di qualità umane, intellettive e spirituali superiori non poteva non lavorare che per il Servizio Qualità. Il suo bagaglio culturale spaziava a 360° nel campo del sapere umanistico e scientifico; non esisteva argomento che lui non conoscesse! Parlare con lui l’ho sempre considerato un arricchimento culturale. Non lo ricordo mai arrabbiato; con un sorriso cancellava ogni diatriba. Potrei pensare che controllasse il suo istinto di reazione, invece dico con lume di ragione che dava la giusta importanza a ogni evento che coinvolgeva la sua vita, sia privata che professionale. Soppesava le situazioni, anche le più critiche, e cercava la soluzione più breve ai problemi; ci riusciva perché era volitivo e concreto. Non vorrei sbagliarmi se dicessi che fosse ricco di fede; l’intuii quando parlava di sacralità con semplicità, naturalezza e libertà di pensiero. Dire solo grazie a Giovanni per i bei messaggi che ci ha lasciato è riduttivo: vorrei dire a tutti coloro che l’hanno amato che il suo amore superava il loro in quantità e qualità. Che il Signore accolga la sua anima e gli dia la vita eterna: lo merita sia come uomo che come amico. Concludo la missiva con l’auspicio fraterno che la Pace irrori la sua anima pia Carmine Scavello ( carminescavello@yahoo.it; 02 9230967; 349 2980359)

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15 Maggio 2915 – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello :

Carmine Scavello, in veste di autore, annuncia che a maggio 2015 ha pubblicato il suo terzo libro LAFABBRICA DEI RICORDI: piccole storie di straordinaria umanità industriale”Ogni opera letteraria è una creatura per chi la pensa e la scrive. L’opera in questione, formata da tanti racconti indipendenti; è un testo allegro, divertente, umoristico, allegorico, goliardico e riflessivo, quanto basta. Potrei dire che il contenuto rispecchia vagamente, a grandi linee, il mondo ilare e fantasioso di Fantozzi e Pierino. I personaggi, le storie, gli scherzi ed i fatti raccontati sono, invece, veri e riflettono la realtà di un’epoca assai vicina a chi scrive e a chi legge. Il libro rappresenta la biografia di una comunità aziendale, simile a tante, raccontata con ironia e spontanea riflessione in cui confluiscono ricordi, fatti, aneddoti, emozioni e volti. Una somma di piccole storie capaci, però, di dare un contributo alla Storia e alla Memoria. Costume, Società e modo di pensare, descritti senza cattiveria o presa in giro, riproducono fedelmente il modo di vivere di persone che convivevano ed agivano a stretto contatto e condividevano gli stessi spazi e gli stessi problemi esistenziali.

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24 Dicenbre 2014 – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello un commento sull Natale:

scavelloUna stella a Natale

Osservo sereno una Stella brillare lassù,
ove dimora perpetua l’anima dei giusti;
qui neanche tra gli ulivi c’è pace quaggiù
e troppi deboli piegano in avanti i busti.

Nonostante gli appelli non tace il cannone,

il mondo è fiducioso soprattutto a Natale;

vorrebbe il drappo della pace sul pennone

ed il trionfo del bene finalmente sul male.

Tra il povero ed il ricco aumenta la distanza,

chi potrebbe operare tende a voltare la faccia.

Si sfalda piano piano il vincolo di fratellanza

e si restituisce con rancore pane per focaccia.

Il Natale riesce a risvegliare le coscienze,

fa comprendere che il mondo così non va;

ci enuncia di appianare tutte le divergenze

e che si crea più posto spostandoci più in là.

Fino a quando l’orgoglio prevale sull’umiltà,

nessuno ci prova a compiere il primo passo;

si oscura pertanto la Luce che illumina la bontà

e l’indice dei buoni sentimenti punta al ribasso.

C’è un tempo per perdonare e mai per odiare,

spesso viene ignorata la parola del vangelo;

a Natale, però, è sempre il tempo per amare;

quando mancano i buoni contatti cresce il gelo.

E’ duro per chi soffre cercare un solido appiglio,

specialmente se prevale il sentimento di sfiducia;

c’è chi vive in miseria e ha per casa un giaciglio

e si illude appena che gli strappi egli ricucia.

Intanto la Stella Cometa illumina il sentiero

e come una freccia indica la giusta direzione;

Dio vede e provvede e ci rende l’animo leggero

e riesce ad accendere la più spenta passione.

Bisogna sempre confidare sulla nostra buona Stella,

anche se si ritiene che il mondo giri al contrario;

quando men te l’aspetti arriva una buona novella,

la speranza non esamina i giorni del calendario.

Buon Natale

Carmine Scavello – via Don Sturzo 10/C – Cernusco Sul Naviglio – MI

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18 novembre 2014 ,Gita a Roma per l’udienza col Santo Padre , Carmine Scavello:

 Carissimi amici,

mi colpì pochi anni fa la frase che pronunciò una guida turistica: tra non molto ritornerete a rivisitare Roma; non bastano pochi giorni per vedere ed apprezzare le sue bellezze e i suoi capolavori eterni. La stessa frase l’ha pronunciata Rosa Cavallaro, la guida della gita in questione. La guida di allora aveva proprio ragione; se siamo ancora qui in gita e perché non si finisce mai di conoscere fino in fondo una città immortale così artistica, storica e completa. Roma affascina con tutte le sue bellezze archeologiche e moderne e le opere d’arte che fanno dell’arredo urbano il luogo più turistico e più visitato del mondo. Il soggiorno a Roma è stato una corsa contro il tempo: in tre giorni si vedono poche opere d’arte; comunque si gettano le basi per rivedere in un secondo tempo le stesse cose e con più calma. Leggendo il titolo, lo scopo della gita è stata l’udienza col Santo Padre; il resto è stato un fantastico e piacevole riempitivo. L’incontro col papa è sempre un’emozione che rimane scolpita per sempre nella memoria. Vedere la piazza San Pietro piena di fedeli provenienti da ogni parte del mondo ci dice che c’è urgenza di pace e grande bisogno d’amore e di giustizia sociale. Il Santo Padre nel suo sermone ha ripreso più volte tali temi condivisi; dall’alto della Sua sapienza ha invitato alla fratellanza e alla giustizia nel pianeta e a una condotta di vita morale e spirituale nel segno della concordia. Tutti i presenti hanno voluto vederlo da molto vicino e immortalarlo in una fotografia per conservare il ricordo di quel giorno. Voglio spendere qualche parola sui partecipanti; tutti sono stati interessati e concentrati ad ascoltare la guida. Ci conosciamo quasi tutti; almeno il cinquanta per cento è formato da ex colleghi; ritrovarci è sempre un momento emotivo e gioioso per ricordare i vecchi tempi. E’ vero siamo cambiati nel fisico, ma nello spirito siamo rimasti i ragazzi simpatici di sempre. Ci siamo sentiti in buone mani, quelle accoglienti di Tina e di Angelo. Entrambi hanno dato un senso di sicurezza come capi gruppo; devo dire doverosamente che Tina durante il viaggio in pullman ci ha viziati: è passata una volta con le caramelle alla frutta, un’altra con quelle alla liquirizia, un’altra con un pezzetto di torta, altre due volte con i biscottini danesi. Sono stati molto attenti che tutto si svolgesse nei programmi stabiliti. Li ringrazio anche per il pasto del ritorno a base di pizzette e panini. E’ stata molto interessante la visita di Roma di notte in autobus accompagnati dalla guida Rosa. Abbiamo visto di corsa quartieri fuori dai circuiti turistici; la guida per dovere di cronaca ci ha spiegato le cose belle e quelle brutte di Roma. Se dovessi fare una classifica dei luoghi più belli visitati, a parte i più importanti in assoluto, mi troverei in difficoltà. Ogni monumento, ogni chiesa, ogni statua ha una propria storia ed è unica nel suo genere. All’uscita dell’albergo, appena salito sul pullman, ho visto la fiancata di una Smart con la scritta “Ciao Roma”: è stato un segno premonitore per dirci ritornate presto! A parte un paio di persone che hanno visitato Roma per la prima volta, gli altri ne erano turisti veterani.

 Carmine Scavellovia Don Sturzo,10/C – Cernusco Sul Naviglio

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05 ottobre 2014 – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello un commento sul convegno 2014  di Mantova  :

Carissimi/e,

lasciatemi esprimere il mio libero pensiero che ritrovare il gruppo ogni volta rappresenta un momento di gioia che non ha prezzo. Quando vivevamo in fabbrica, gomito a gomito non c’era quest’esigenza in quanto ci vedevamo spesso e la vita scorreva lentamente ed inesorabile. Ognuno si dedicava alla propria attività lavorativa come se fosse stato su un ramo di un grande albero, paragonabile all’azienda. Le occasioni di incrociarci erano abbastanza frequenti in quanto le portinerie, la mensa, i larghi e lunghi corridoi e i punti ristoro erano comuni e molto frequentati durante le pause di lavoro. All’entrata ci sparpagliavamo come tante formichine e ci impegnavamo affinché il reparto imballaggio fosse stato sempre rifornito di apparati, pronti a seguire lontane destinazioni nelle varie parti del mondo. In quegli apparati c’era tutto il nostro orgoglio di fabbricanti di prodotti tecnologici altamente qualificati: ognuno di noi, nel suo piccolo e nelle sue funzioni competenti, contribuiva al successo commerciale del nostro rinomato marchio. Andare a festeggiare la nostra annuale rimpatriata a Mantova, o in un’altra città, ha poca importanza rispetto allo spirito vitale che ci accomuna. Tutto diventa un corollario in confronto al centro dell’iniziativa, che rappresenta il motivo primario di incontrarci.Dobbiamo ringraziare vivamente il gruppo organizzatore per l’immane lavoro che esige la realizzazione di un evento di così grande portata. Il consiglio sceglie ogni anno una meta diversa per soddisfare la nostra sete di curiosità e di cultura. Dico volutamente ben poco sui luoghi visitati perché ognuno, per suo conto, si può documentare sul sito prescelto. Sostengo a titolo personale che se l’ALA decidesse di rifare il prossimo anno il convegno a Mantova ci ritornerei di corsa. Intanto si potrebbero scegliere gli altri due itinerari sui tre non scelti quest’anno. Sarebbe, comunque, una situazione diversa ogni volta per il fatto che le circostanze sarebbero differenti a cominciare dal discorso, dal menu selezionato, dalla compagnia del tavolo e, non ultimo, dallo spirito del momento. Faccio volutamente quest’affermazione provocatoria per mandare il messaggio preciso di mettere al primo posto l’opportunità offertaci dall’ALA di farci incontrare.Tutto il resto è cornice, il quadro è il nostro incontro. Ho sentito casualmente lamentele, poche per fortuna, sul cibo e sul posto. Io quelle persone le metterei al posto dell’ALA ad organizzare una così bella giornata e poi starei a vedere il loro risultato. A criticare siamo buoni tutti, a fare sono buoni solo pochi! E’ un peccato mortale parlare male di chi ci mette la faccia e l’anima perché tutto fili liscio e alla perfezione. Bisogna premiare la buona volontà di chi sta dietro le quinte col loro invisibile lavoro: non sono operatori turistici, bensì sono solo degli onesti, attenti, bravi e scrupolosi volontari che mettono a disposizione degli altri tempo prezioso ed energie vitali. Secondo me quella gente criticona non si domanda quanto tempo e impegno ci vogliono a tenere i contatti con tutti gli iscritti, a prenotare ristoranti, autobus e scegliere la giornata giusta. Dico: Signore perdona quelle persone incontentabili; mentre tutti in coro dovremmo urlare con tutto il fiato che abbiamo in corpo: ALA, grazie di esistere!

Un abbraccio caloroso a tutti dal vostro amico Carmine Scavello

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31 Marzo 2014 Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello il seguente scritto :

Gita al Castello di Govone e Alba del 30 marzo 2014

Carissimi soci/e dell’ALA (e aggregati),

non mi stancherò mai di lodare l’impegno di Tina Marcantonio e Angelo Allevi nell’organizzare gite dall’esito scontato. Anche stavolta, tutto è filato liscio come l’olio: nessun intoppo o imprevisto hanno ostacolato il loro magnifico operato. Devo ringraziarli soprattutto per le scelte originali dei luoghi da visitare e per i ristorantini accoglienti dal menu che incontra i gusti della maggior parte dei partecipanti. Il castello è l’attrattiva principale di Govone. Se l’Unesco l’ha dichiarato patrimonio dell’umanità, concordo con questa scelta azzeccata che fa onore a tutto il popolo italiano e al suo vasto patrimonio. Dire che tutti i castelli si somigliano, non mi trova d’accordo: ognuno ha delle caratteristiche che lo contraddistinguono dai loro simili, si fa per dire. Ci aspettavamo una fioritura abbondante di tulipani, di origine persiane, tale da coprire di rosso tutta l’area piantumata con tali bulbi; invece le condizioni climatiche del periodo precedente ne hanno ritardato la crescita. Ad ogni modo qualche esemplare fiorito qua e là ha reso l’idea della bellezza straordinaria della loro corolla vermiglia. Il castello conserva poco dell’originale ricchezza artistica; alla base dello spoglio ci sono come sempre fattori economici. Il tempo e l’incuria umana hanno fatto il resto: una macchia diventa una chiazza, un foro diventa una voragine. Adibire i locali a scuole statali o a uffici pubblici senza un controllo ferreo e un’educazione mirata ha fatto sì che volontariamente o involontariamente si fossero arrecati danni agli arredi e alle pareti, che conservano un patrimonio inestimabile. I ragazzi, da che mondo è mondo, scrivono sempre sui muri! Sono rimasto colpito dalla prospettiva degli  affreschi angolari di una sala importante; quelli sopra la testa dell’osservatore si vedevano meno estesi di quelli opposti. Magia, no; è solo bravura! Gli affreschi, i quadri e i pochi mobili, comunque, sono degni di essere visitati. La guida ha avuto la brillante idea di  mostrarci con una luce laser i particolari che descriveva, aiutandone la comprensione. Le seti cinesi, che tappezzavano i muri delle stanze destinate a salotti, mi hanno tanto affascinato. Peccato che nessuno si sia preoccupato del loro valore artistico e unico nel suo genere! La finestra rotta e mai riparata ha creato un danno incalcolabile: sarebbero bastati due vetri e poche ore di lavoro di un falegname per evitare tale scempio. Come anche, chi ha trafugato qualche pezzetto di tappezzeria forse l’avrà buttato col tempo nella spazzatura, non conoscendone il reale valore artistico. Mentre ci recavamo al ristorante Bela Vista sono rimasto rapito dal territorio argilloso coltivato a vigneti ordinati e curati. Il culto del vino trova molti aderenti nella popolazione locale, non solo per il reddito quanto per la cultura trasmessa dai loro avi in senso verticale. La visita di Alba ha completato una giornata nata bene e finita nei migliori dei modi. La guida Patrizia è stata brava! La città dalle cento torri mi ha entusiasmato positivamente per i suoi residuati storici. I Romani vi hanno lasciato tracce della loro fiorente civiltà. Le chiese sono di una straordinaria bellezza; sono uniche nella loro costruzione e negli arredi artistici. Alba è famosa per la raccolta dei tartufi. Una fiera a cadenza regolare esalta questi gioielli culinari che fornisce il territorio, insieme ai vini pregiati e alle nocciole. La Ferrero, che fa di Alba la sua sede naturale, porta ricchezza alla popolazione e trasforma le nocciole nella prelibata crema dolciaria Nutella, famosa in tutto il mondo. Qui, sacro e profano si fondono in un intreccio che fa della città un luogo vivibile a misura d’uomo; la verde e fertile campagna circostante la cinge in un abbraccio.       Socio e amico Carmine Scavello

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20 Giugno 2013 Riceviamo dai nostri Soci Carla e PierGiorgio Merlano il seguente scritto :

APPUNTI DI VIAGGIO del Gran tour del Portogallo dal 1/6 al 7/6/2013

Il primo giugno ci incontriamo al check-in dell’aeroporto di Linate presso i banchi della linea  TAP airlines con gli amici partecipanti provenienti da Cassina de Pecchi; è un incontro piacevole, scambiamo calorosi saluti ed abbracci con amici ed ex colleghi che non vediamo dallo scorso anno in occasione del tour della Sardegna.

Partiamo in perfetto orario, voliamo sopra le nuvole attraverso la Francia e la Spagna.

In prossimità di Lisbona il cielo si rasserena e possiamo ammirare dall’alto la città.

Arrivati in aereo nella città di Porto incontriamo Sara, giovane guida molto preparata che ha saputo farci apprezzare le bellezze del Portogallo illustrandocene la storia dal periodo romano, alle conquiste marinare e coloniali fino ai giorni nostri, che per loro sono particolarmente critici.

Nella città di Porto abbiamo visitato la chiesa sconsacrata di San Francesco, edificio gotico con altari scolpiti in legno ricoperti da centinaia di chili di lamine d’oro.

Nella bella città di Porto, situata sul fiume Douro si è fatta una mini crociera che ci ha consentito di ammirare bellissimi ponti tra i quali quello progettato da Eiffel.

La nazione portoghese è prevalentemente cattolica e ricca di santuari tra i quali abbiamo visitato il Bom Jesus do Monte con le sue celebri scale che formano la Via Crucis; il Convento di Cristo con sette chiostri e la famosa finestra in stile Manuelino, una esuberante architettura decorativa subentrata al gotico e creato in onore del Re Manuel I.

Momenti di intenso raccoglimento sono stati vissuti con la visita al Santuario Mariano di Fatima.

A Lisbona eravamo alloggiati all’albergo Real Parque situato di fronte all’ambasciata vaticana.

La città sorge sulle rive del fiume Tago presso l’estuario nell’oceano Atlantico, qui abbiamo ammirato la Torre di Belem quale simbolo di Lisbona perché unica costruzione sopravvissuta al disastroso terremoto del 1755.

Di fronte a questa Torre abbiamo visitato il Monastero dei Jeronimos iniziato dal re Manuel I per consacrare la scoperta della rotta alle Indie di Vasco de Gama;  questo monastero e’ divenuto successivamente il Pantheon delle famiglie reali portoghesi.

Non va dimenticata la visita a Sintra, grazioso paese sede della residenza estiva dei sovrani portoghesi; interessante è stata anche la visita del palazzo ricco di mobili e di vari arredi del tempo passato.

Siamo stati inoltre a visitare il promontorio Cabo de Roca il punto più occidentale del continente europeo.

Prima di concludere questi appunti non dobbiamo dimenticare l’ospitalità degli ottimi alberghi e ristoranti con i succulenti piatti prevalentemente a base di pesce (baccalà) preparati in tantissimi modi  ed accompagnati da ottimi vini bianchi e “tinti”.

Carla e Pier Giorgio Merlano

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22 Marzo 2013 Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello questi due scritti :

Una poesia e un Augurio di Buona Pasqua per tutti noi.

 

Vivere la Pasqua

 Annuncia la Pasqua l’ulivo rigoglioso,

mentre la natura intorno è tutto un rifiorire.

Le campane preparano un concerto gioioso,

la buona novella vogliono a tutti riferire.

 

Sul cornicione un passero sembra triste,

alla mera notizia che un Giusto è morto;

una rondine lo rincuora, perciò desiste,

capisce allora che in cielo ora è risorto.

 

Si scoprono i vasi col grano germogliato,

si toglie dalle statue il greve drappo nero.

Il Verbo è compiuto come annunciato,

si apre il sipario e si svela il mistero.

 

Ritorna nei cuori la gioia dopo la passione,

la sofferenza prese il posto della contentezza.

La vita trionfa e alla morte spunta il falcione;

indica la direzione che porta alla salvezza.

 

La leggerezza dello spirito rende più felici,

si mette alle spalle quel tribolato calvario,

per essere puri si fa pulizia alle radici;

si spinge il carretto sul giusto binario.

 

Chi sente la Pasqua asseconda l’umore;

sa che spesso si condanna un Innocente;

sa che la ragione cede il passo al livore,

quando la condotta diventa indecente.

 

A Pasqua è doveroso brindare alla vita,

la mente dev’essere sgombra da cattivi pensieri.

Si mette un cerotto per nascondere ogni ferita,

si apre la gabbia dei propositi tenuti prigionieri.

 

Buona Pasqua

Carmine Scavello

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Carissimi,

la Pasqua si presenta come un inno alla vita che si prende la rivincita sulla morte. Guardando il crocefisso, quasi ci sentiamo in colpa per aver causato quella passione  assurda e violenta. Se provassimo ad immedesimarci per un attimo, un brivido salirebbe lungo la schiena al pensiero che un Innocente abbia sofferto per noi. Ma era stato scritto nelle Sacre Scritture e quindi doveva compiersi per rispettare il volere del Padre. Sono tre i momenti fondamentali che celebra la Pasqua: la Passione, la Morte e la Resurrezione. Ho assistito in più di un’occasione alla recita dal vivo della passione e nel momento culminante della scena finale sembrava che il cielo si oscurasse all’improvviso. Era un segnale preciso che veniva da lassù per farci riflettere sulla nostra condotta di vita. Eppure la giornata era soleggiata e nulla faceva presagire un cambiamento repentino del tempo! Un tema che faceva riflettere era quello del tradimento. E’ triste accettare il concetto che un discepolo potesse tradire il Maestro per trenta sporchi denari. Tradire la fiducia del Messia è una grande mancanza di rispetto e nel contempo il messaggio che la verità si viene a sapere. Il denaro guadagnato illecitamente brucia nelle mani e viene sperperato con la stessa facilità e velocità con cui è guadagnato. Quanti Giuda vivono introno a noi? Si spera sempre che dai falsi amici ci guardi Dio. I nemici, per quanto siano cattivi e sgraditi, ci danno la forza e la volontà di affrontarli lealmente. La Pasqua ci dà tantissimi spunti di riflessione. Quello che ci porta allegria e spensieratezza è la Resurrezione. Quante volte siamo caduti e poi ci siamo rialzati! Ci è capitato di perdere una battaglia, ma poi abbiamo gioito a vincere la guerra. Per cogliere la rosa spesso ci si punge con la spina; ti accorgi che la gioia del fiore nasconde il dolore procurato dall’aculeo. Ogni volta è come rinascere e ricominciare daccapo con più grinta e più passione. La sofferenza è come quel male che non viene per nuocere, ma per darci il coraggio di guardare in faccia la realtà e far crescere una rosa nel deserto. Quando diciamo che ognuno ha la sua croce intendiamo dire che i problemi non mancano per nessuno; cambia solo il giudizio personale. Un sasso può essere visto come un macigno e lo stesso come un granellino. L’ottimista e il pessimista hanno due angoli di visione differenti. Se guardano lo stesso oggetto con un cannocchiale, da un oculare lo vedono lontanissimo e dall’altro invece vicinissimo, eppure l’oggetto non si è mai mosso! Ciò a grandi linee ci dice che la verità sta sempre nel mezzo. La Pasqua ci mostra la contraddizione della vita e della morte ed entrambe sono superate dalla Resurrezione. I primi due concetti sono di facile interpretazione perché l’uomo ci convive, essendo nomi astratti che assumono significato concreto. La Resurrezione è il miracolo che si compie per dare un senso alla missione di Gesù sulla terra per portare la salvezza dell’uomo dal peccato. Il Suo sangue non è stato versato inutilmente, bensì per la redenzione della vita eterna. La chiesa con la festa della Pasqua festeggia il ciclo finale dell’avventura terrena del Figlio di Dio; è un evento che ci fa vedere Gesù come un Fratello e non come un’entità celestiale. È un Uomo come noi in carne ed ossa che ha sperimentato direttamente tutti i difetti dell’umanità: ha conosciuto la derisione, ha compreso il tradimento, ha toccato con mano la cattiveria, ha subito un ingiusto processo, ha visto in faccia la morte. Poi è risorto!

Buona Pasqua

Carmine Scavello

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18 Dicembre 2012 Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello questo scritto :

Gita a Ornavasso, alla vera grotta di Babbo Natale, e alla città di Intra,

del 15 dicembre 2012.

Carissimi……, con la gita odierna la nostra Associazione chiude in bellezza l’annata 2012. Il bilancio è decisamente positivo; d’altronde, non potrebbero esserci dubbi quando la squadra funziona a puntino. Si è scelto Ornavasso per stare nel clima giusto natalizio; questa suggestiva località, situata nella valle bagnata dal fiume Toce, è la sede della “Vera Grotta di Babbo Natale”. E’ ammirevole la creatività umana: sa trasformare una cava di marmo, ormai esaurita, in un’attrazione turistica. Rifacendosi alla tradizione nordica lappone, si è creato un percorso immaginario di Elfi e Twergi, personaggi fantasiosi legati alla tradizione natalizia, nel bosco incantato che conduce alla grotta: un’ampia caverna con un corridoio di circa duecento metri che termina in un’incantevole salone rivestito di marmo rosa dal pavimento alle pareti. Al centro, accoglie i visitatori, muniti di caso giallo, un Babbo Natale in carne ed ossa, con al fianco un Elfo nelle vesti di una ragazza, seduto su un trono. Riceve le letterine con i desideri dei bambini per assecondare la loro innocenza; in cambio dona un oggettino tipico in legno, prodotto nella zona. Per un attimo gli adulti ritornano bambini per farsi fotografare in quella cornice abbellita da grandiose proiezioni architetturali a contenuto natalizio. In quella cava si è estratto per lunghissimi anni il famoso marmo rosa con cui sono stati abbelliti il Duomo di Milano e la Certosa di Pavia. D’ora in poi è un buon motivo pensare al duro lavoro, in condizioni alquante disagiate, di quei lavoratori ogni volta che si entra in uno di dei due luoghi sacri su citati. Chissà che sforzo immane era compiuto per portare alla meta quel tesoro di roccia pregiata! La salita e la discesa sono facilitate dal trenino “Renna Espresso”, che si inerpica come un bruco. Su una terrazza panoramica, capolinea del trenino è situato il santuario della Madonna della Guardia al cui interno è allestito un presepe in movimento di un centinaio di metri quadrati; si pensa sia uno dei più grandi d’Italia. Il paesaggio ornavessese ha offerto vedute incantevoli: cime di montagne innevate di stagliavano in un cielo azzurro e limpido; la natura si è divertita con la roccia a creare strutture pittoresche. Quello stesso scenario si poteva osservare stando seduti al ristorante “Lago delle rose”; qui si è fatta una piacevole sosta gustativa, dopo la passeggiata tra i mercatini di Natale di Ornavasso. Pinocchio di legno era la statuetta più esposta per attirare l’attenzione sulla verità: quei fabbricanti alludono alle bugie che si dicono. Il momento culturale si è completato con la visita alla cittadina di Intra, letteralmente “tra”, terra fra due fiumi. Ebbe grande fortuna economica con l’espansione delle fabbriche tessili di industriali tedeschi che qui potevano sfruttare l‘energia cinetica prodotta dall’acqua convogliata dei due fiumi delimitanti i confini. Non scorreva buon sangue con gli abitanti di Pallanza e non era raro assistere a lanci di pietre tra i contendenti. Intra merita una visita per le sue vie centrali strette e caratteristiche. Peccato che amministratori ottusi negli anni del dopoguerra abbiano distrutto cimeli antichi, come un castello e una casa canonica annessa alla basilica di San Vittore, per far spazio a costruzioni moderne; spesso le banconote funzionano come ottime bende!

Carmine Scavello

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22 Ottobre 2012 Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello questo scritto :

Gita al Sacro Monte di Varallo Sesia e Santuario di Oropa 20/10/2012

(Impressioni e arricchimento suscitati dalla magia e sacralità di quei luoghi santi)

Carissimi………, ogni occasione di stare insieme è un momento sano da vivere come socializzazione e di rafforzamento dei vecchi legami che il tempo, a volte, attenua fino a farli sparire; se, poi, oltre alla componente umana c’è pure quella spirituale il connubio vale di più. Non è una regola, ma c’è un detto che dice il sole scalda chi vede. È il caso di questa gita meravigliosa che lascia in ognuno dei partecipanti un ricordo perenne. Visitare da vicino e toccare con mano e con gli occhi le realtà dei luoghi sacri ci fa vedere la fragilità umana, quando non è supportata degnamente da un comportamento ligio ai doveri materiali, spirituali e civili. La cosa che più risalta è quella che i luoghi di preghiera e di pellegrinaggio siano situati in zone dove la bellezza del creato raggiunge l’apice di gradimento e di raccoglimento; generalmente, cielo e terra si toccano per far sentire più vicina la presenza di Dio. Dall’alto tutto ciò che sta in basso appare piccolo; la superbia di chi si crede grande viene vanificata da quella visione mistica di grandezza che è la natura del luogo stesso, scelto a simboleggiare il concetto di purezza di Colui che si eleva. Colpisce la scelta di quella rupe impervia, quasi irraggiungibile, e di quella gola scavata tra le montagne, come nel palmo di una mano. Penso per un attimo alla fatica che faceva il pellegrino a scalare quell’irta salita e poi, una volta arrivato in cima, sentirsi quasi in paradiso. La pace e il silenzio che si respirano in quegli angoli di paradiso terrestre sono unici. Passare di cappella in cappella è come leggere un libro ed ognuna di esse è come un capitolo. La sequenza non è casuale, ma studiata con un ordine cronologico e preciso perché il visitatore possa essere attratto a rivivere la storia della Casa di tutti e dell’umanità. In ogni teca ogni personaggio è rappresentato come un’opera vivente. Pregi e difetti dei protagonisti non sfuggono ad un occhio partecipe; dei veri artisti si sono immedesimati in quello che stavano creando, mettendoci tutto il sentimento che suscita la scena nel complesso. La realtà della vita spesso distrae dai buoni sentimenti; ogni tanto ci vuole una boccata di aria buona per leggere nei nostri cuori. La visita ai due santuari è stata, presumo per la quasi totalità dei presenti, un’autocritica del nostro modo di vivere. Per vedere la bellezza di un quadro o di una scultura, solo per l’arte che rappresenta e non per il sentimento che suscita, sarebbe meglio andare in un museo; in un luogo sacro si entra con un altro approccio. All’ingresso vedo una scritta immaginaria: entrate in pace! La legge solo chi è predisposto all’incontro con Coloro che crede di incontrarVi. In questi ambiti si respira un’aria che sa di pace e di giustizia; i Personaggi Celesti, qui rappresentati, scendono al livello umano, acquistando le stesse sembianze per essere come uno di noi. Su alcuni muri interni dei due santuari sono appesi tanti messaggi di ringraziamento sotto forma di quadri, disegni, cuori d’argento, magliette o altri oggetti personali e comuni; la fede si manifesta anche in questi piccoli gesti d’amore, insignificanti per taluni, ma grandi per chi crede con la convinzione dell’esistenza di un Essere Superiore. La Madonna traspare in ogni scena nella Sua semplicità di mamma di tutti, credenti e non; la Sua bellezza celestiale la leggo in ogni volto di mamma che si fa in quattro per i suoi figli. Mi rimane un mistero, non chiarito, su quel colore nero che dipinge interamente il Suo corpo della statua di Oropa; cambia poco; quel che è più importante, invece, è il messaggio che ci manda di volerci bene come fratelli e figli Suoi.

Carmine Scavello

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01 Novembre 2011 – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello questo scritto :

Visita al Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri in Valle Camonica del 29 Ottobre 2011

Questa giornata favolosa è da aggiungere senza esitazioni alle altrettante belle che ci ha proposto il gruppo Ala. Non è facile scegliere una meta e diamo atto ai nostri amici Tina ed Angelo che hanno fatto centro come al solito. Una lezione di storia fa bene allo spirito ed alla conoscenza; due ottime guide ci hanno illustrato con dovizia di particolari un museo all’aria aperta, ben conservato ed architettato per essere osservato su comode passerelle di legno. Il paesaggio circostante era ammirevole: lungo un lastricato principale, che saliva, ogni tanto si aprivano finestre tra le fronde degli alberi sul Pizzo Badile e la Concarena, nonché sul comune di Capo di Ponte, con le sue frazioni, adagiato nella vallata sottostante e rinfrescato dal fiume Oglio. Abbiamo conosciuto il popolo dei Camuni e siamo rimasti affascinati dalla loro appassionante storia. I Camuni, originali e creativi, ci hanno lasciato una testimonianza della civiltà preistorica in Italia mediante affascinanti incisioni rupestri sulla dura roccia. La natura ha offerto loro un ambiente ospitale, creato dal ritiro dei ghiacciai, dove vivere e progredire e delle “lavagne” naturali dove esprimere il loro pensiero. Scene di vita quotidiana ricavate con strumenti rudimentali sono immortalate sulla pietra per lasciare ai posteri un segno della loro presenza sul territorio. E’ da ammirare che i popoli succeduti non hanno distrutto ciò che hanno trovato per non cancellare la memoria, ma hanno aggiunto essi stessi altre immagini significative per continuare la storia. Infatti, accanto ai graffiti più antichi e più rudimentali se ne ammirano altri di fattura più pregevole; col tempo si sono affinate le tecniche di incisione con altri strumenti più efficaci, tipo di metallo o di pietre più dure. Le guide con l’ausilio di un bastone e senza scarpe, per rispetto o per non danneggiare la superficie incisa, indicavano le sequenze riprodotte; in apparenza le figure sembravano disposte là alla rinfusa, ma credo che un nesso logico ci sia stato; nulla nasce per caso e sicuramente quegli artisti comunicavano stati d’animo, speranze e momenti di vita quotidiana. Le loro opere erano alla luce del sole perché tutti potessero ammirarle e rendersi orgogliosi dell’appartenenza. Gli studiosi con tanta pazienza e molta approssimazione hanno capito il messaggio di quegli uomini: sicuramente i Camuni volevano ringraziare le divinità firmando il loro pensiero con un patto incancellabile. Cacciatori e cercatori di cibo, prima, attraverso le loro vicende raccontate sulla roccia, come in un libro aperto, hanno lasciato il segno dell’intelligenza umana che sfrutta le risorse naturali in modo intuitivo e costruttivo. La vita di società ha insegnato a quegli uomini saggi che uniti si vince ed insieme si raggiungono grandi traguardi; la caccia organizzata in gruppo, la coltivazione della terra, l’opportunità di sfruttare meglio le risorse naturali, la difesa del territorio e la socializzazione hanno migliorato la qualità della vita e rafforzato i vincoli di appartenenza. Ho immaginato per un attimo uno sciamano o sacerdote che munito di un rudimentale scalpello scegliesse il posto giusto dove sviluppare la sua creatività. E se fosse stato un lavoro di squadra? Non è escluso, secondo un mio personale parere. Forse il rapporto maestri e discepoli esisteva già allora e presumo che ci sia stato un lavoro di insegnamento più che di manovalanza intesa come servitù. I gitanti ascoltavano a bocca aperta le due guide ed erano fieri di quegli uomini che, pur vivendo in condizioni proibitive, hanno gettato le basi della storia umana. Grazie all’intuizione della comunicazione non verbale tanti fatti vissuti sono arrivati fino a noi nella fedeltà per lasciare una traccia del passaggio delle generazioni passate: quel che è scritto rimane, quel che viene tramandato a voce subisce alterazioni e stravolge la verità delle cose. A fine visita, tutti noi partecipanti abbiamo conservato un ricordo che ci accompagnerà nella memoria. Un autoesame, a volte, ci aiuterà a superare una difficoltà della vita corrente, pensando all’esistenza di quegli uomini primitivi  che si aggrappavano alla fede in un essere superiore ed allo spirito di conservazione della specie. Anche il più scettico si porterà dietro la consapevolezza che arrendersi vuol dire rinunciare alla vita; la civiltà si raggiunge a piccoli passi e questa è la missione del genere umano. Ci sono state e ci saranno cadute, ma ogni volta sulle ceneri è nato e nascerà il fiore della speranza. Se qualche volta ci lamentiamo del superfluo, quegli uomini non avevano neanche il necessario; eppure abbiamo seguito a camminare su quello stesso terreno su cui essi hanno lasciato le loro orme ed indicato il percorso comune dell’umanità fin dalla sua nascita. Apro una piccola parentesi sul pranzo. Non voglio esagerare se affermo che il ristorante “ Cristallo”in località Croce di Salven di Borno è quello che finora ci ha offerto il miglior servizio delle gite giornaliere. Qualità e quantità dei cibi e delle vivande hanno soddisfatto i palati più esigenti; siamo stati trattati veramente bene e la padrona merita i nostri elogi. Chi si lamenta commette peccato! Abbiamo chiuso in bellezza la giornata conciliando il sacro con il profano, con la visita al santuario dell’Annunziata. Nella chiesa con tutti quegli scheletri e teschi si respirava il clima della nostra limitatezza. Mi ha colpito una frase impressa su una targa “polvere sei e polvere diventerai”; invitava ad una vita più parca e regolare nel rispetto divino ed umano. Mi sono, poi, rallegrato alla vista di uno stupendo presepe che rappresentava la Natività in un susseguirsi di luci e di ombre legate al sorgere ed al tramontare del sole in un intreccio di personaggi umili e regali che facevano da contorno alla grotta. Dico con gioia e con libertà di pensiero che la gita mi ha documentato e divertito; inoltre ho potuto salutare vecchi, aggettivo qualificativo non legato all’età ma temporale, colleghi con cui ho condiviso un pezzo della mia vita.

Grazie a tutti

Carmine Scavello

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11 Luglio 2011 – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello questo scritto :

Gita al Lago di Como del 2 Luglio 2011

Il tempo ci è stato alleato e ci ha riservato una delle più belle giornate soleggiate, ventilate e fresche dell’anno: la gita è cominciata sotto i migliori auspici. L’organizzazione come al solito è stata perfetta, grazie all’abnegazione, alla simpatia ed alle premure di due collaudati organizzatori, Tina ed Angelo. Como ci ha accolto a braccia aperte ed ha messo a nostra disposizione il suo potenziale turistico e ricettivo. Una bella fanciulla comasca ci ha fatto da cicerone per l’intera giornata, sia a terra che sul piroscafo Concordia, uno dei primi ancora in attività e funzionante con le ruote a vapore. Al suo interno è perfettamente visibile tutto l’apparato motorio ben conservato e lucido, come se il tempo non fosse mai trascorso. La guida ci ha sistemati nel punto migliore di osservazione, ossia a prua, e ci ha deliziato con una spiegazione chiara e precisa sulla storia del lago, sulle ville, sui personaggi che le hanno abitate nei secoli e sui paesi rivieraschi. Tutti con gli occhi puntati sulle indicazioni della guida non facevamo in tempo a distrarci e ad annoiarci perché le meraviglie da vedere erano tantissime. Un cielo limpido ed un’acqua azzurra facevano da cornice al verde intenso delle foreste che scendevano dai pendii e si buttavano nelle limpide acque del lago. In quel momento passato e presente si fondevano in un’atmosfera di bellezza ed eleganza. Principi, regnanti e persone baciate dalla buona sorte hanno ed hanno avuto la fortuna di vivere in un luogo che fa onore al Creatore per aver modellato un angolo di natura così bello e suggestivo da non temere confronti. Personaggi che hanno fatto la storia hanno soggiornato in quelle ville per ritemprarsi dalle fatiche, per comporre opere e per prendere decisioni. Oggi uomini rampanti e con le tasche piene di soldi vengono a popolare quelle coste per ostentare la loro ricchezza e godersi un relax da sogno. Una di quelle attrattive che non sono passate inosservate è stata la villa di George Clooney: si è tanto parlato in questi ultimi tempi del personaggio e della love story con la Canalis; qualche burlone del gruppo diceva di vederlo affacciato ad una finestra della villa ed altri boccaloni scrutavano l’orizzonte per inquadrarlo. Dopo la traversata del ramo di Como in corrispondenza di quello di Lecco si è presentato un quadro stupendo della natura; in lontananza si vedevano le cime delle Alpi e delle Prealpi che facevano da sfondo al paesaggio già incantevole per sé stesso. La guida ci ha confortato dicendoci che il giorno prima c’era foschia e non si vedevano le montagne; un altro buon segno della riuscita della gita. Dopo la traversata, un piccolo languore alla stomaco è stato sedato sul terrazzino del ristorante Suisse a Bellaggio con un pranzetto allietato dal panorama sul lago; già quella veduta meravigliosa faceva passare in secondo ordine le pietanze servite da personale gentile ed efficiente. Qualche maschietto si è lustrata la vista osservando con la coda dell’occhio i corpi al sole di alcune fanciulle straniere che prendevano il sole in bikini su un terrazzino adiacente. Dopo il caffè si è ripreso il viaggio per Como, ancora il traghetto per Cadenabbia e poi sul pullman ancora insieme alla guida che ha continuato il discorso via terra illustrando le chiese incontrate lungo il cammino e citando piccoli aneddoti e storie di viandanti, pellegrini, trafficanti e contrabbandieri legate ai paesi incontrati. A questo punto dopo ore stando seduti, abbiamo alzato i tacchi per visitare la città accompagnati dalla simpaticissima guida del mattino. Molto interessante è stato il Duomo e tutta la sua storia sulla costruzione: mi ha colpito il fatto che è una chiesa senza campanile, ma sfrutta quello del Broletto; le statue di Plinio il Giovane e Plinio il Vecchio inserite in un contesto sacro sull’ingresso principale rappresentano l’amore ed il rispetto dei comaschi verso i loro celebri antenati; il rosone è indescrivibile con le mie umili parole. Como è legata al suo patrimonio romano ed alcuni resti importanti ne sono testimonianza di fede e di fierezza di appartenenza. La sua fortuna è stata la vicinanza al confine svizzero e non ha subito i bombardamenti della Grande Guerra. Noi milanesi di nascita e di adozione siamo andati a Como col ramoscello d’ulivo in segno di pace, cancellando gli antichi rancori tra le due città. Il bel ricordo di Como sarà legato in futuro alla nostra riuscitissima gita.                                                             Carmine Scavello

08 Marzo 2024 : Giornata internazionale diritti della donna

Ci sono due date nell’arco dell’anno che ci ricordano la violenza sulla donna. La primaL’Otto Marzo “Festa della Donna” manda il messaggio che bisogna tutelare e rispettare i suoi diritti fondamentali nell’ambito economico, politico, lavorativo e sociale e contro ogni forma di abuso e di violenza. Questa giornata aspira al riconoscimento del ruolo della Donna nella società e per raggiungere nuovi traguardi di emancipazione.

La secondaIl 25 novembre è la Giornata Mondiale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne. Nell’intento del gruppo – che ha proposto e votato questa ricorrenza – questa giornata ha lo scopo di sconfiggere i maltrattamenti che le donne di tutta la Terra subiscono dal punto di vista fisico, umano, psicologico e materiale. Non esiste una sola violenza in particolare, ma c’è un quadro generale che le rappresenta tutte a partire dallo stalking, alla minaccia, allo stupro, alle offese … e alla limitazione della libertà, con conseguente perdita della dignità.

Il violento, in generale, è un uomo su cui la donna, vittima, ha posto la sua fiducia. Poi, le cose sono cambiate quando lui ha cominciato a essere geloso e asfissiante fino al punto tale da toglierle l’aria e la libertà e a considerarla un oggetto di sua proprietà esclusiva. Così, la donna si è ribellata e da lì sono cominciati i suoi guai, perché ha iniziato a ribellarsi e a mettere dei paletti che il suo uomo non ha accettato e li ha visti come una sconfitta del suo potere e del suo orgoglio. 

Il primo passo, che il violento compie, è rappresentato dalle violenze verbali per sottomettere la donna alla sua volontà. Quando non bastano più, usa le mani e se lei continua a ribellarsi non gli resta che chiuderle la bocca per sempre. Compie, così, un gesto di debolezza, di vigliaccheria e di offesa al genere umano. Dovrebbe capire che ci sono tante strade, che il mondo è grande e che c’è posto per tutti: basta prendere una strada qualunque e uscire dalla sua vita.

Quante volte abbiamo sentito proferire la frase “Basta con la violenza contro le donne”! Passano solo pochi giorni per dimenticare quest’ammonimento e, poi, si comincia ad allungare la lunga lista dei femminicidi. Si guarda nel passato delle vittime e si scopre che erano persone con una storia d’amore alle spalle. Un tarlo è cominciato a rodere il cervello di quell’uomo e l’ha reso succube dei suoi pensieri negativi da far vedere il male ovunque nel loro rapporto. Si inventano ragioni, gelosie, incomprensioni, incompatibilità di carattere, e se la donna dice di non sottostare più alle sue regole, comincia il logorio psicologico che ha per culmine la soppressione della vita della donna che si ribella.

L’Unione Donne Italiane scelse non a caso la mimosa per regalarla alle donne nel giorno della loro festa. Si regala la mimosa perché è considerata un fiore povero che sboccia a marzo ed è diffuso nelle nostre campagne. Il suo colore giallo è simbolo di forza, di luce e di vitalità e porta allegria. 

Il consiglio da dare alle donne che si sentono o percepiscono di essere minacciate è di non sentirsi sole e di non soffrire in silenzio, ma confidarsi con persone di fiducia che possano aiutarle. Non devono sottovalutare i rischi che corrono; di non giustificare azioni o comportamenti inusuali; di essere sempre prudenti quando sentono odore di bruciato; di conservare come prova messaggi, biglietti, appunti e registrazioni. Ricordarsi che si comincia con una sberla e si finisce con una coltellata o un colpo di pistola.

Buona lettura e buona vita dall’autore Carmine Scavello


14 Febbraio  2024: San Valentino

Pensieri di amore.

San Valentino ci raccomanda di festeggiarlo tutti i giorni perché non si può essere innamorati a giorni alternati o in modo casuale. Il primo consiglio da dare, al di là di altri pure importanti, è quello di amare senza se e senza ma; il resto passa in secondo ordine di importanza.

Ognuno si faccia una domanda – pensando alla sua dolce metà – chiedendosi con tutta sincerità e libertà di pensiero: Se io tornassi indietro nel tempo la sceglierei di nuovo la mia dolce metà? Nella sua risposta affermativa e sincera è contenuto tutto l’amore che prova nei suoi confronti. Basterebbe questa semplice risposta e le altre eventuali domande sarebbero inutili o di secondo ordine.

La felicità ha tante facce e tra queste una delle più belle consiste nell’amare e nell’essere amati. Che bella quest’affermazione: Se per il mondo tu sei solamente un numero, per la persona amata tu sei tutto il suo mondo!

Qualche anno fa era di moda regalare alla persona amata la medaglietta d’oro con incisa la frase: “Più di ieri e meno di domani”. Poi, è andata fuori moda perché considerata banale. Ma la banalità è stata quella di considerarla banale.

Ci sono due frasi che fanno molto riflettere e ve le dico: “Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna” e “Dietro una grande donna c’è sempre un grande uomo”. Le due frasi si commentano da sole, perché tirare in due il carretto è più facile e meno pesante la fatica. 

Non dimentichiamo mai che si impara ad amare amando. Ognuno lo faccia come meglio sa farlo e non perdere mai di vista il concetto la “Misura di amare è di amare senza misura”.

Ci sono quattro paroline poco usate o date per scontate. Ve le ricordo e vi dico che scontate non lo sono mai, piuttosto vengono sottointese, ma è meglio dirle: Grazie, prego, scusa e posso. Non è tutto dovuto; è solo rispetto!

Buona, lunga e serena vita dall’autore Carmine Scavello. 

Ah, il mio quarto libro pubblicato dal titolo “I battiti dell’amore” parla dell’amore universale. Tra il 1°capitolo “L’amore per Dio” e il 43° “L’amore per se stessi” ce ne sono altri 41 che trattano altri amori.

 

27 Gennaio  2024: Giornata della Memoria
Fare lo sforzo di leggere questa lettera è come onorare la memoria di tanti innocenti, che hanno avuto il solo torto di essere venuti al mondo nel momento e nel posto sbagliati. Non bisogna mai dimenticare che gli altri siamo noi!

Per dovere di cronaca, la data del 27 gennaio di ogni anno – giorno della liberazione dei prigionieri dai lager di prigionia della seconda guerra mondiale – è stata proclamata dalle Nazioni Unite come la Giornata Mondiale della Memoria in modo universale e perenne, perché gli uomini non dimentichino gli orrori di quei campi di sterminio in conseguenza della guerra che si stava combattendo in Europa e nel resto del mondo.

     Per scrivere qualcosa in merito – che colpisse – su questa Giornata Mondiale della Memoria, che non deve passare in secondo ordine, ho pensato di dedicarle uno spezzone del capitolo dedicato al mio personale commento della canzone “AUSCHWITZ” di Francesco Guccini. Suddetto capitolo l’ho voluto fermamente inserire nel mio settimo libro dal titolo “Canti Canzoni Cantanti” insieme a tanti altri brani musicali di successo che fanno parte della colonna sonora della vita di ognuno di noi.

    Guccini ha inteso il testo del brano musicale, al di là del successo discografico, come mezzo di denuncia del dramma umano dell’olocausto. Egli ha composto e cantato la storia terrificante e simbolica di un bambino sconosciuto che è morto bruciato nei forni crematori del campo di sterminio nazista di Auschwitz. 

     La sua storia è raccontata a simbolo di altri milioni di vittime dell’orrore che hanno subito la stessa fine in quell’inferno terreno. Guccini allarga, poi, la denuncia a ogni guerra che si combatte nel mondo. All’epoca della composizione dei versi si stava combattendo la guerra del Vietnam, così il suo pensiero fu rivolto anche al dramma di quel conflitto e alle sofferenze di quel popolo. 

    L’autore della canzone si chiede: Come può l’uomo uccidere un suo fratello! Eppure, siamo a milioni in polvere qui nel vento! Questa è la strofa della canzone che fa più senso. In essa è concentrato lo sterminio di numerosi innocenti nel campo di Auschwitz. Le vittime designate di quel massacro avevano il solo torto di appartenere a una diversa etnia, considerata a torto una razza inferiore; quindi c’era l’ordine di sopprimerle per non contaminare la loro razza ariana considerata di livello superiore.  

     Il cantante si mette nei panni della gente comune e si domanda come l’uomo sia caduto così in basso per arrivare a compiere il male in quel modo orribile e inumano. Chi ha dato ai carnefici l’ordine di togliere la libertà e la vita a esseri simili e diversi solo per stirpe e per luogo di nascita ha commesso un crimine contro l’umanità. La vita non appartiene agli uomini; è stata data a loro come dono dal Cielo per viverla e non per essere sacrificata per fini distruttivi in nome di un diritto che nessuno ha concesso ai loro giustizieri. Chi sopprime una vita umana per la legge di Dio e degli uomini è considerato un assassino e come tale va punito e ripudiato.

     In quel luogo freddo e inospitale – per il gelo e la neve e funesto per la crudeltà che si respirava – era ammassata una moltitudine di prigionieri in attesa dell’esecuzione finale. Eppure, in quella grande prigione super controllata era presente uno strano e inquietante silenzio, che sapeva di rassegnazione e di perdita di ogni speranza. Intanto, il fumo dei forni crematori, saliva in cielo attraverso i camini e si disperdeva nel vento per dissolvere nell’aria il dolore e l’odore acre di morte di tanti poveri e innocenti esseri umani di tutte le età e di differenti estrazioni sociali.  

    Quei carcerieri erano uomini bruti che si comportavano come bestie assetate di sangue; il loro uso della ragione era irrazionale e violento; non conoscevano la pietà umana. Io come ascoltatore del brano potrei pensare che tanti sorveglianti fossero stati costretti a ubbidire a degli ordini precisi, impartiti dall’alto, che non lasciassero spazio al perdono e alla compassione. Forse si sentivano a posto con la propria coscienza in quanto eseguivano ordini precisi e indiscutibili a cui non potevano disubbidire, pena complicità e insubordinazione, ed erano severamente puniti.

     Alla fine, Guccini ci lascia la speranza che l’uomo si possa ravvedere e imparare la lezione che si può e si deve vivere senza ammazzare. Lo fa con un invito diretto e forte perché vorrebbe porre fiducia nell’umanità e nell’altruismo affinché nasca un mondo migliore nel quale l’uomo non abbia più sete di sangue e si decida a rispettare il prossimo come se stesso con tutte le sue diversità. 

     L’artista aspetta che quel vento finalmente non soffi folate cariche di odio e di morte; le immaginava pesanti e irrespirabili a causa di tutti quei morti. La bestia umana non si era fermata nemmeno davanti l’innocenza di un bambino. Forse, quel vento finalmente si poserà e non porterà più nell’aria quell’odore macabro e terrificante. Ad AUSCHWITZ tante persone, ma un solo grande silenzio!

Buona vita dall’autore Carmine Scavello

06 Gennaio  2024: Epifania

Cosa sperate di trovare nella calza? Ognuno si dia da solo la risposta che si meriti!

Se simbolicamente vi troverete il carbone, pensate a qualche capriccio, a una mancanza di rispetto, a un torto, a una promessa non mantenuta, a non aver fatto il proprio dovere. 

Ma è solo la tradizione che richiede di appendere ai piedi del letto o sul davanzale del camino una calza e sperare che un’anima buona vi metta qualcosa di carino, ma solo come invito a un buon comportamento, perché il carbone vi aspetta al varco. 

     Con la memoria si torna indietro nel tempo a quando le mamme – le vere befane, ma soprattutto angeli della casa – ci facevano capire che durante la notte sarebbe arrivata la vecchietta con le scarpe tutte rotte e la veste alla romana. Solo all’Epifania è concesso togliere i dolcetti appesi all’albero di Natale, ammesso che non sia rimasto solo l’involucro. I furbetti hanno fatto la birichinata dal primo momento della preparazione dell’albero di Natale: i peccati di gola, da che mondo è mondo, sono sempre esistiti.

     In fondo la befana è buona, ma viene descritta come una vecchia bacucca. Forse perché è povera rispetto a Babbo Natale. E’ dipinta come una strega molto anziana solo perché viaggia su una scopa, ma non fa incantesimi malefici e né trasforma in corpi inanimati le persone. Porta i regali e, poi, scompare nel nulla; inoltre, durante un anno intero nessuno le rivolgerà un pensiero. Eppure non fa nulla di male e non è vero che porta il carbone; sono le mamme che hanno diffuso questa diceria e danno la colpa a lei per punire le marachelle dei figli con una mano, mentre con l’altra danno loro una carezza e un regalino.

     Una mamma non farà mai soffrire il suo bambino, andrebbe contro i suoi principi, negandogli il regalino: fa solo la voce grossa per farsi ubbidire e farsi promettere ubbidienza. Lo fa con amore e per il suo bene per farlo crescere nella correttezza. Le mamme hanno imparato a memoria il seguente ritornello: Volete il regalo dalla Befana? Fate i bravi! Senza far capire che, male che vada, il carbone è di zucchero.

     Siamo all’epilogo: con la data del sei gennaio le festività terminano e si ritorna alla normalità. Non è raro sentire proferire auguri di Buona Pasqua, almeno in certe zone d’Italia non è scomparsa questa usanza. 

     Babbo Natale viene descritto come un marito generoso che lascia la moglie al Polo Nord per andare in giro per il mondo a portare i regali ai bimbi che gli hanno scritto la letterina. Ma la Befana chi troverà al ritorno? Nessun autore di libri per ragazzi ha detto che la Befana abbia un marito e così passa come una vecchia zitella in modo dispregiativo. Nessuno ha mai detto dove abita durante l’anno, perciò non riceve le letterine dei bambini.

     In questa giornata, alle donne si dice in modo scherzoso e allegorico Befana, come se fosse la loro festa e sono contente così verrebbero festeggiate due volte all’anno: il sei gennaio e l’otto marzo. Che mi risulti nessuna di loro si sia offesa per questo appellativo, perché in fondo la Befana è buona. Perciò si consideri un complimento. Se non fosse buona non porterebbe i regali.  A marzo si regala la mimosa e il sei gennaio cosa si potrebbe regalare a una donna che porta i regali? Come minimo un sorriso, amore, rispetto alla sua dignità e un grazie per tutto ciò che fa per la comunità.

Buona vita dall’autore Carmine Scavello.

01 Gennaio  2024:  Buon anno

Lettera di Buon Anno 2024

 Il 2023 stanco se ne va e giammai più ritornerà.
Il 2024 invece più vivace ci porterà felicità e pace.

 Quando arriviamo puntualmente al traguardo della festa di San Silvestro, ci guardiamo indietro – ma il gesto non vale per tutti – per vedere se abbiamo fatto, tutto bene o in parte, ciò che ci eravamo promessi di fare. Immancabilmente, scopriamo che tante promesse non sono state mantenute, magari non per colpa nostra. Viviamo a stretto contatto con gli altri e siamo soggetti a condizionamenti, che spesso ci complicano o rallentano la vita.

     Ci rendiamo conto che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e, per restare nel clima marittimo, facciamo promesse da marinai. Quanti bei propositi non sono stati mantenuti! Quel che ci consola è mal comune mezzo gaudio: gli altri con cui ci confrontiamo non sono migliori di noi. Abbiamo lo “stesso comune e inevitabile difetto” di promettere, in teoria sulla carta, quello che, poi, si dimostra di essere più difficile da mantenere nella pratica.

     Siamo distratti da altri interessi e da tanti pensieri e non sempre diamo priorità alle promesse espresse a cuor leggero. Forse sarebbe meglio promettere di meno o poco e agire di volta in volta sotto forma di sorprese: ciò farebbe stare meglio sia noi che il ricevente delle promesse. Senza mettere le mani nel portafoglio, il regalo più bello e apprezzato è donare il nostro tempo, che è una parte indissolubile di noi stessi. Dopo la salute viene il tempo, perché non è illimitato e, una volta speso, lo è per sempre.

     Quel Francesco, un mio noto personaggio letterario, disse a un ragazzo che si lamentava e faceva una tragedia per un piccolo affare non andato in porto:

se tu perdi un gruzzoletto di soldi, lo potrai recuperare, ma se perdi o sciupi un pezzo della tua vita svanisce per sempre. Come vedi, hai una ricchezza per le mani e non te ne rendi conto!

     E così arriva l’Anno Nuovo e come dice la filastrocca: ci porterà felicità e pace! E’ l’augurio più ricorrente che ci si scambia a ruota. Le buone intenzioni ci sono tutte, come c’erano pure negli altri anni precedenti. Si aspetta con ansia la mezzanotte per farci trovare svegli dal Nuovo Anno, che parte un secondo dopo lo scoccare delle ore ventiquattro del trentuno dicembre, e ricominciare così a vivere pimpanti con la speranza di un altro anno migliore dei precedenti.  

     Il brindisi è d’obbligo come nelle grandi occasioni: se non c’è il tintinnio dei bicchieri pieni di spumante a far compagnia alle fette di panettone o di pandoro non è Capodanno! In questa circostanza, qualcuno butta in strada dalle finestre piatti scheggiati e altri oggetti usati come per dire:

mi sto disfacendo delle cose vecchie. Voglio rompere definitivamente col passato, occupare simbolicamente il loro spazio con oggetti nuovi e andare incontro a un futuro migliore, come per simboleggiare di liberarmi di cose inutili e sostituirle con le nuove.  

     Un mio ex collega, bolognese di lavoro, mi raccontò che dalle sue parti si bruciava un fantoccio costruito con materiale infiammabile – detto Il vecchione – per tagliare i ponti col passato e celebrare contenti l’Anno Nuovo. La tradizione voleva che con quel simbolo il Capodanno festeggiato fosse certo di aver visto la fine dell’anno vecchio, come fecero i suoi predecessori.

     E’ così che gira il mondo! Tutto ha un inizio e una fine: fa parte della fugacità del tempo. Ecco il consiglio di nonna Rosina – una vecchietta scaramantica del mio rione, considerata la nonna di tutti per la sua saggezza -: a Capodanno consigliava di mettere una foglia di alloro nel portafoglio o in una tasca dei vestiti perché allontanava le vibrazioni negative e le sostituiva con quelle positive. In fondo, tuttora quest’operazione costa poco tempo e denaro e per chi ci crede è un rito scaramantico. Vanno bene anche lenticchie, melagrana … e uva, lasciando libera scelta per altri prodotti o articoli.

    L’uso dei botti – oggi proibito in molte città – rappresenta per gli amanti di questa consuetudine l’allontanamento degli spiriti maligni: il rumore li spaventa e li spinge lontano.

    Comunque, ognuno faccia come meglio creda e usi tutti i metodi propiziatori che voglia per augurarsi un Buon Anno: è un modo come un altro per scacciare via la negatività e portare serenità e prosperità. Ah, ricordiamoci che quest’anno abbiamo un giorno in più da vivere!

 Buona vita e Buon Anno e che si realizzino i vostri desideri dal vostro amico autore Carmine Scavello

15 Settembre  2023: un nuovo libro”Francesco , l’uomo che dava del tu alla vita” 

E’ in uscita il nuovo libro, il nono, del nostro socio e scrittore Carmine Scavello, dal titolo “FRANCESCO, l’uomo che dava del tu alla vita”. Di seguito una breve presentazione a cura dell’autore.

Lettera agli amici per reclamizzare il mio nuovo romanzo e per invitarli all’acquisto, prima che il libro vada fuori edizione. A voi pochi Euro non vi mandano in malora, ma, in compenso, vi danno l’opportunità di conoscere mondi e ambienti diversi, che nessun altro libro ve ne parlerà. Se avete letto altri libri, questo si aggiungerà a quelli di vostro gradimento; se finora ne avete letto pochissimi e nel caso non ne aveste letto nessuno, questo libro sarà il vostro battesimo di fare amicizia con la lettura.

Vi comunico che ho pubblicato il mio nono libro dal titolo “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita”. Per scrivere questo romanzo mi sono ispirato alla vita e alla storia di un uomo buono, sereno, solare, lungimirante … una bella persona. Francesco, nome inventato, è un nostro collega che ha lavorato in GTE/Siemens per circa un ventennio nel periodo anni Settanta/Ottanta. 

Il mio nono libro “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita” manda il messaggio che: “si impara a dare un senso alla vita, vivendo il presente”. Domani, oggi sarà ieri e il tempo non aspetta nessuno. E’ un raccomanzo di circa 250 pagine che è ambientato a Terravecchia, in Germania, in Lombardia.

     A Terravecchia il testo parla di radici, usi, costumi, tradizioni, feste popolari e vita quotidiana, fuga da quel treno maledetto che lo stava conducendo ai campi di concentramento. Fu salvato per miracolo dal suo Angelo Custode.

      In Germania tratta la vita degli emigranti per ragioni di lavoro: lontananza, nostalgia, sacrifici, umiliazioni, mancanza della famiglia, il difficile inserimento, l’ignoranza della lingua, la diffidenza della gente del luogo, la dura vita nelle baracche a contatto con persone di regioni ed etnie diverse e spazi comuni sottodimensionati e carenti del minimo necessario, con turni massacranti per cucinare, per fare il bucato o semplicemente per la pulizia personale quotidiana. 

     In Lombardia racconta il trasferimento della famiglia nella nuova realtà: la ricerca difficoltosa di una casa in affitto, del lavoro e l’inserimento nella nuova comunità, che diffidava dei nuovi arrivati. Per colpa di pochi individui scorretti e irrispettosi delle regole di buona convivenza, ne pagano le conseguenze le tante persone corrette e oneste! Sul luogo del nuovo lavoro Francesco è testimone oculare di tante storie buffe e comiche che sembrano fantastiche e invece sono vere, come se fosse stato sul set di un film di commedie all’italiana. Provare per credere e il divertimento è assicurato! Tanti comici e cabarettisti si sono ispirati alla vita reale: Francesco avrebbe avuto tanto materiale divertente da proporre al pubblico su un palcoscenico.

     Poi, quel buon uomo è alla ricerca di una nuova compagna dopo la vedovanza e parla di alcune donne presentate da un’agenzia matrimoniale. Si meraviglia delle loro stranezze e di come possano esserci al mondo persone difficili e siffatte alla ricerca del pollo da spennare!   

      Francesco lo definisco un eroe moderno per come ha affrontato e superato le difficoltà della vita, senza perdere mai la calma, la razionalità, l’autostima e la forza di volontà, non maledicendo la sorte, non imprecando e non invidiando gli altri. Il suo punto di forza è stato quello di essere un rubamestiere, ma non per copiare come un pappagallo, bensì quello di migliorare l’idea.

     Ogni pagina del libro riserva delle belle sorprese e si vorrebbe che la sua lettura non terminasse mai. Come autore non ho mai illuso o deluso i miei lettori. Alla fine resterà un retrogusto di bontà e il messaggio di Francesco che bisogna rispettare due regole fondamentali: la prima è non arrendersi mai; la seconda è ricordarsi della prima. Nel libro c’è una lunga lettera inviata all’Angelo Custode sotto forma di preghiera e di protezione. La sola lettura di questa lettera vale il costo del libro!

     Chi non ne approfitta oggi, domani se ne pentirebbe perché, poi, va fuori edizione. Leggendo il libro si imparano tante cose nuove e inedite.

Buona vita

 

 

 

14 Febbraio  2024: san Valentino
Pensieri di amore.

San Valentino ci raccomanda di festeggiarlo tutti i giorni perché non si può essere innamorati a giorni alternati o in modo casuale. Il primo consiglio da dare, al di là di altri pure importanti, è quello di amare senza se e senza ma; il resto passa in secondo ordine di importanza.

Ognuno si faccia una domanda – pensando alla sua dolce metà – chiedendosi con tutta sincerità e libertà di pensiero: Se io tornassi indietro nel tempo la sceglierei di nuovo la mia dolce metà? Nella sua risposta affermativa e sincera è contenuto tutto l’amore che prova nei suoi confronti. Basterebbe questa semplice risposta e le altre eventuali domande sarebbero inutili o di secondo ordine.

La felicità ha tante facce e tra queste una delle più belle consiste nell’amare e nell’essere amati. Che bella quest’affermazione: Se per il mondo tu sei solamente un numero, per la persona amata tu sei tutto il suo mondo!

Qualche anno fa era di moda regalare alla persona amata la medaglietta d’oro con incisa la frase: “Più di ieri e meno di domani”. Poi, è andata fuori moda perché considerata banale. Ma la banalità è stata quella di considerarla banale.

Ci sono due frasi che fanno molto riflettere e ve le dico: “Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna” e “Dietro una grande donna c’è sempre un grande uomo”. Le due frasi si commentano da sole, perché tirare in due il carretto è più facile e meno pesante la fatica. 

Non dimentichiamo mai che si impara ad amare amando. Ognuno lo faccia come meglio sa farlo e non perdere mai di vista il concetto la “Misura di amare è di amare senza misura”.

Ci sono quattro paroline poco usate o date per scontate. Ve le ricordo e vi dico che scontate non lo sono mai, piuttosto vengono sottointese, ma è meglio dirle: Grazie, prego, scusa e posso. Non è tutto dovuto; è solo rispetto!

Buona, lunga e serena vita dall’autore Carmine Scavello. 

Ah, il mio quarto libro pubblicato dal titolo “I battiti dell’amore” parla dell’amore universale. Tra il 1°capitolo “L’amore per Dio” e il 43° “L’amore per se stessi” ce ne sono altri 41 che trattano altri amori.

 

27 Gennaio  2024: Giornata della Memoria
Fare lo sforzo di leggere questa lettera è come onorare la memoria di tanti innocenti, che hanno avuto il solo torto di essere venuti al mondo nel momento e nel posto sbagliati. Non bisogna mai dimenticare che gli altri siamo noi!

Per dovere di cronaca, la data del 27 gennaio di ogni anno – giorno della liberazione dei prigionieri dai lager di prigionia della seconda guerra mondiale – è stata proclamata dalle Nazioni Unite come la Giornata Mondiale della Memoria in modo universale e perenne, perché gli uomini non dimentichino gli orrori di quei campi di sterminio in conseguenza della guerra che si stava combattendo in Europa e nel resto del mondo.

     Per scrivere qualcosa in merito – che colpisse – su questa Giornata Mondiale della Memoria, che non deve passare in secondo ordine, ho pensato di dedicarle uno spezzone del capitolo dedicato al mio personale commento della canzone “AUSCHWITZ” di Francesco Guccini. Suddetto capitolo l’ho voluto fermamente inserire nel mio settimo libro dal titolo “Canti Canzoni Cantanti” insieme a tanti altri brani musicali di successo che fanno parte della colonna sonora della vita di ognuno di noi.

    Guccini ha inteso il testo del brano musicale, al di là del successo discografico, come mezzo di denuncia del dramma umano dell’olocausto. Egli ha composto e cantato la storia terrificante e simbolica di un bambino sconosciuto che è morto bruciato nei forni crematori del campo di sterminio nazista di Auschwitz. 

     La sua storia è raccontata a simbolo di altri milioni di vittime dell’orrore che hanno subito la stessa fine in quell’inferno terreno. Guccini allarga, poi, la denuncia a ogni guerra che si combatte nel mondo. All’epoca della composizione dei versi si stava combattendo la guerra del Vietnam, così il suo pensiero fu rivolto anche al dramma di quel conflitto e alle sofferenze di quel popolo. 

    L’autore della canzone si chiede: Come può l’uomo uccidere un suo fratello! Eppure, siamo a milioni in polvere qui nel vento! Questa è la strofa della canzone che fa più senso. In essa è concentrato lo sterminio di numerosi innocenti nel campo di Auschwitz. Le vittime designate di quel massacro avevano il solo torto di appartenere a una diversa etnia, considerata a torto una razza inferiore; quindi c’era l’ordine di sopprimerle per non contaminare la loro razza ariana considerata di livello superiore.  

     Il cantante si mette nei panni della gente comune e si domanda come l’uomo sia caduto così in basso per arrivare a compiere il male in quel modo orribile e inumano. Chi ha dato ai carnefici l’ordine di togliere la libertà e la vita a esseri simili e diversi solo per stirpe e per luogo di nascita ha commesso un crimine contro l’umanità. La vita non appartiene agli uomini; è stata data a loro come dono dal Cielo per viverla e non per essere sacrificata per fini distruttivi in nome di un diritto che nessuno ha concesso ai loro giustizieri. Chi sopprime una vita umana per la legge di Dio e degli uomini è considerato un assassino e come tale va punito e ripudiato.

     In quel luogo freddo e inospitale – per il gelo e la neve e funesto per la crudeltà che si respirava – era ammassata una moltitudine di prigionieri in attesa dell’esecuzione finale. Eppure, in quella grande prigione super controllata era presente uno strano e inquietante silenzio, che sapeva di rassegnazione e di perdita di ogni speranza. Intanto, il fumo dei forni crematori, saliva in cielo attraverso i camini e si disperdeva nel vento per dissolvere nell’aria il dolore e l’odore acre di morte di tanti poveri e innocenti esseri umani di tutte le età e di differenti estrazioni sociali.  

    Quei carcerieri erano uomini bruti che si comportavano come bestie assetate di sangue; il loro uso della ragione era irrazionale e violento; non conoscevano la pietà umana. Io come ascoltatore del brano potrei pensare che tanti sorveglianti fossero stati costretti a ubbidire a degli ordini precisi, impartiti dall’alto, che non lasciassero spazio al perdono e alla compassione. Forse si sentivano a posto con la propria coscienza in quanto eseguivano ordini precisi e indiscutibili a cui non potevano disubbidire, pena complicità e insubordinazione, ed erano severamente puniti.

     Alla fine, Guccini ci lascia la speranza che l’uomo si possa ravvedere e imparare la lezione che si può e si deve vivere senza ammazzare. Lo fa con un invito diretto e forte perché vorrebbe porre fiducia nell’umanità e nell’altruismo affinché nasca un mondo migliore nel quale l’uomo non abbia più sete di sangue e si decida a rispettare il prossimo come se stesso con tutte le sue diversità. 

     L’artista aspetta che quel vento finalmente non soffi folate cariche di odio e di morte; le immaginava pesanti e irrespirabili a causa di tutti quei morti. La bestia umana non si era fermata nemmeno davanti l’innocenza di un bambino. Forse, quel vento finalmente si poserà e non porterà più nell’aria quell’odore macabro e terrificante. Ad AUSCHWITZ tante persone, ma un solo grande silenzio!

Buona vita dall’autore Carmine Scavello

06 Gennaio  2024: Epifania

Cosa sperate di trovare nella calza? Ognuno si dia da solo la risposta che si meriti!

Se simbolicamente vi troverete il carbone, pensate a qualche capriccio, a una mancanza di rispetto, a un torto, a una promessa non mantenuta, a non aver fatto il proprio dovere. 

Ma è solo la tradizione che richiede di appendere ai piedi del letto o sul davanzale del camino una calza e sperare che un’anima buona vi metta qualcosa di carino, ma solo come invito a un buon comportamento, perché il carbone vi aspetta al varco. 

     Con la memoria si torna indietro nel tempo a quando le mamme – le vere befane, ma soprattutto angeli della casa – ci facevano capire che durante la notte sarebbe arrivata la vecchietta con le scarpe tutte rotte e la veste alla romana. Solo all’Epifania è concesso togliere i dolcetti appesi all’albero di Natale, ammesso che non sia rimasto solo l’involucro. I furbetti hanno fatto la birichinata dal primo momento della preparazione dell’albero di Natale: i peccati di gola, da che mondo è mondo, sono sempre esistiti.

     In fondo la befana è buona, ma viene descritta come una vecchia bacucca. Forse perché è povera rispetto a Babbo Natale. E’ dipinta come una strega molto anziana solo perché viaggia su una scopa, ma non fa incantesimi malefici e né trasforma in corpi inanimati le persone. Porta i regali e, poi, scompare nel nulla; inoltre, durante un anno intero nessuno le rivolgerà un pensiero. Eppure non fa nulla di male e non è vero che porta il carbone; sono le mamme che hanno diffuso questa diceria e danno la colpa a lei per punire le marachelle dei figli con una mano, mentre con l’altra danno loro una carezza e un regalino.

     Una mamma non farà mai soffrire il suo bambino, andrebbe contro i suoi principi, negandogli il regalino: fa solo la voce grossa per farsi ubbidire e farsi promettere ubbidienza. Lo fa con amore e per il suo bene per farlo crescere nella correttezza. Le mamme hanno imparato a memoria il seguente ritornello: Volete il regalo dalla Befana? Fate i bravi! Senza far capire che, male che vada, il carbone è di zucchero.

     Siamo all’epilogo: con la data del sei gennaio le festività terminano e si ritorna alla normalità. Non è raro sentire proferire auguri di Buona Pasqua, almeno in certe zone d’Italia non è scomparsa questa usanza. 

     Babbo Natale viene descritto come un marito generoso che lascia la moglie al Polo Nord per andare in giro per il mondo a portare i regali ai bimbi che gli hanno scritto la letterina. Ma la Befana chi troverà al ritorno? Nessun autore di libri per ragazzi ha detto che la Befana abbia un marito e così passa come una vecchia zitella in modo dispregiativo. Nessuno ha mai detto dove abita durante l’anno, perciò non riceve le letterine dei bambini.

     In questa giornata, alle donne si dice in modo scherzoso e allegorico Befana, come se fosse la loro festa e sono contente così verrebbero festeggiate due volte all’anno: il sei gennaio e l’otto marzo. Che mi risulti nessuna di loro si sia offesa per questo appellativo, perché in fondo la Befana è buona. Perciò si consideri un complimento. Se non fosse buona non porterebbe i regali.  A marzo si regala la mimosa e il sei gennaio cosa si potrebbe regalare a una donna che porta i regali? Come minimo un sorriso, amore, rispetto alla sua dignità e un grazie per tutto ciò che fa per la comunità.

Buona vita dall’autore Carmine Scavello.

01 Gennaio  2024:  Buon anno

Lettera di Buon Anno 2024

 Il 2023 stanco se ne va e giammai più ritornerà.
Il 2024 invece più vivace ci porterà felicità e pace.

 Quando arriviamo puntualmente al traguardo della festa di San Silvestro, ci guardiamo indietro – ma il gesto non vale per tutti – per vedere se abbiamo fatto, tutto bene o in parte, ciò che ci eravamo promessi di fare. Immancabilmente, scopriamo che tante promesse non sono state mantenute, magari non per colpa nostra. Viviamo a stretto contatto con gli altri e siamo soggetti a condizionamenti, che spesso ci complicano o rallentano la vita.

     Ci rendiamo conto che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e, per restare nel clima marittimo, facciamo promesse da marinai. Quanti bei propositi non sono stati mantenuti! Quel che ci consola è mal comune mezzo gaudio: gli altri con cui ci confrontiamo non sono migliori di noi. Abbiamo lo “stesso comune e inevitabile difetto” di promettere, in teoria sulla carta, quello che, poi, si dimostra di essere più difficile da mantenere nella pratica.

     Siamo distratti da altri interessi e da tanti pensieri e non sempre diamo priorità alle promesse espresse a cuor leggero. Forse sarebbe meglio promettere di meno o poco e agire di volta in volta sotto forma di sorprese: ciò farebbe stare meglio sia noi che il ricevente delle promesse. Senza mettere le mani nel portafoglio, il regalo più bello e apprezzato è donare il nostro tempo, che è una parte indissolubile di noi stessi. Dopo la salute viene il tempo, perché non è illimitato e, una volta speso, lo è per sempre.

     Quel Francesco, un mio noto personaggio letterario, disse a un ragazzo che si lamentava e faceva una tragedia per un piccolo affare non andato in porto:

se tu perdi un gruzzoletto di soldi, lo potrai recuperare, ma se perdi o sciupi un pezzo della tua vita svanisce per sempre. Come vedi, hai una ricchezza per le mani e non te ne rendi conto!

     E così arriva l’Anno Nuovo e come dice la filastrocca: ci porterà felicità e pace! E’ l’augurio più ricorrente che ci si scambia a ruota. Le buone intenzioni ci sono tutte, come c’erano pure negli altri anni precedenti. Si aspetta con ansia la mezzanotte per farci trovare svegli dal Nuovo Anno, che parte un secondo dopo lo scoccare delle ore ventiquattro del trentuno dicembre, e ricominciare così a vivere pimpanti con la speranza di un altro anno migliore dei precedenti.  

     Il brindisi è d’obbligo come nelle grandi occasioni: se non c’è il tintinnio dei bicchieri pieni di spumante a far compagnia alle fette di panettone o di pandoro non è Capodanno! In questa circostanza, qualcuno butta in strada dalle finestre piatti scheggiati e altri oggetti usati come per dire:

mi sto disfacendo delle cose vecchie. Voglio rompere definitivamente col passato, occupare simbolicamente il loro spazio con oggetti nuovi e andare incontro a un futuro migliore, come per simboleggiare di liberarmi di cose inutili e sostituirle con le nuove.  

     Un mio ex collega, bolognese di lavoro, mi raccontò che dalle sue parti si bruciava un fantoccio costruito con materiale infiammabile – detto Il vecchione – per tagliare i ponti col passato e celebrare contenti l’Anno Nuovo. La tradizione voleva che con quel simbolo il Capodanno festeggiato fosse certo di aver visto la fine dell’anno vecchio, come fecero i suoi predecessori.

     E’ così che gira il mondo! Tutto ha un inizio e una fine: fa parte della fugacità del tempo. Ecco il consiglio di nonna Rosina – una vecchietta scaramantica del mio rione, considerata la nonna di tutti per la sua saggezza -: a Capodanno consigliava di mettere una foglia di alloro nel portafoglio o in una tasca dei vestiti perché allontanava le vibrazioni negative e le sostituiva con quelle positive. In fondo, tuttora quest’operazione costa poco tempo e denaro e per chi ci crede è un rito scaramantico. Vanno bene anche lenticchie, melagrana … e uva, lasciando libera scelta per altri prodotti o articoli.

    L’uso dei botti – oggi proibito in molte città – rappresenta per gli amanti di questa consuetudine l’allontanamento degli spiriti maligni: il rumore li spaventa e li spinge lontano.

    Comunque, ognuno faccia come meglio creda e usi tutti i metodi propiziatori che voglia per augurarsi un Buon Anno: è un modo come un altro per scacciare via la negatività e portare serenità e prosperità. Ah, ricordiamoci che quest’anno abbiamo un giorno in più da vivere!

 Buona vita e Buon Anno e che si realizzino i vostri desideri dal vostro amico autore Carmine Scavello

15 Settembre  2023: un nuovo libro”Francesco , l’uomo che dava del tu alla vita” 

E’ in uscita il nuovo libro, il nono, del nostro socio e scrittore Carmine Scavello, dal titolo “FRANCESCO, l’uomo che dava del tu alla vita”. Di seguito una breve presentazione a cura dell’autore.

Lettera agli amici per reclamizzare il mio nuovo romanzo e per invitarli all’acquisto, prima che il libro vada fuori edizione. A voi pochi Euro non vi mandano in malora, ma, in compenso, vi danno l’opportunità di conoscere mondi e ambienti diversi, che nessun altro libro ve ne parlerà. Se avete letto altri libri, questo si aggiungerà a quelli di vostro gradimento; se finora ne avete letto pochissimi e nel caso non ne aveste letto nessuno, questo libro sarà il vostro battesimo di fare amicizia con la lettura.

Vi comunico che ho pubblicato il mio nono libro dal titolo “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita”. Per scrivere questo romanzo mi sono ispirato alla vita e alla storia di un uomo buono, sereno, solare, lungimirante … una bella persona. Francesco, nome inventato, è un nostro collega che ha lavorato in GTE/Siemens per circa un ventennio nel periodo anni Settanta/Ottanta. 

Il mio nono libro “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita” manda il messaggio che: “si impara a dare un senso alla vita, vivendo il presente”. Domani, oggi sarà ieri e il tempo non aspetta nessuno. E’ un raccomanzo di circa 250 pagine che è ambientato a Terravecchia, in Germania, in Lombardia.

     A Terravecchia il testo parla di radici, usi, costumi, tradizioni, feste popolari e vita quotidiana, fuga da quel treno maledetto che lo stava conducendo ai campi di concentramento. Fu salvato per miracolo dal suo Angelo Custode.

      In Germania tratta la vita degli emigranti per ragioni di lavoro: lontananza, nostalgia, sacrifici, umiliazioni, mancanza della famiglia, il difficile inserimento, l’ignoranza della lingua, la diffidenza della gente del luogo, la dura vita nelle baracche a contatto con persone di regioni ed etnie diverse e spazi comuni sottodimensionati e carenti del minimo necessario, con turni massacranti per cucinare, per fare il bucato o semplicemente per la pulizia personale quotidiana. 

     In Lombardia racconta il trasferimento della famiglia nella nuova realtà: la ricerca difficoltosa di una casa in affitto, del lavoro e l’inserimento nella nuova comunità, che diffidava dei nuovi arrivati. Per colpa di pochi individui scorretti e irrispettosi delle regole di buona convivenza, ne pagano le conseguenze le tante persone corrette e oneste! Sul luogo del nuovo lavoro Francesco è testimone oculare di tante storie buffe e comiche che sembrano fantastiche e invece sono vere, come se fosse stato sul set di un film di commedie all’italiana. Provare per credere e il divertimento è assicurato! Tanti comici e cabarettisti si sono ispirati alla vita reale: Francesco avrebbe avuto tanto materiale divertente da proporre al pubblico su un palcoscenico.

     Poi, quel buon uomo è alla ricerca di una nuova compagna dopo la vedovanza e parla di alcune donne presentate da un’agenzia matrimoniale. Si meraviglia delle loro stranezze e di come possano esserci al mondo persone difficili e siffatte alla ricerca del pollo da spennare!   

      Francesco lo definisco un eroe moderno per come ha affrontato e superato le difficoltà della vita, senza perdere mai la calma, la razionalità, l’autostima e la forza di volontà, non maledicendo la sorte, non imprecando e non invidiando gli altri. Il suo punto di forza è stato quello di essere un rubamestiere, ma non per copiare come un pappagallo, bensì quello di migliorare l’idea.

     Ogni pagina del libro riserva delle belle sorprese e si vorrebbe che la sua lettura non terminasse mai. Come autore non ho mai illuso o deluso i miei lettori. Alla fine resterà un retrogusto di bontà e il messaggio di Francesco che bisogna rispettare due regole fondamentali: la prima è non arrendersi mai; la seconda è ricordarsi della prima. Nel libro c’è una lunga lettera inviata all’Angelo Custode sotto forma di preghiera e di protezione. La sola lettura di questa lettera vale il costo del libro!

     Chi non ne approfitta oggi, domani se ne pentirebbe perché, poi, va fuori edizione. Leggendo il libro si imparano tante cose nuove e inedite.

Buona vita

 

Ci sono due date nell’arco dell’anno che ci ricordano la violenza sulla donna. La primaL’Otto Marzo “Festa della Donna” manda il messaggio che bisogna tutelare e rispettare i suoi diritti fondamentali nell’ambito economico, politico, lavorativo e sociale e contro ogni forma di abuso e di violenza. Questa giornata aspira al riconoscimento del ruolo della Donna nella società e per raggiungere nuovi traguardi di emancipazione.

La secondaIl 25 novembre è la Giornata Mondiale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne. Nell’intento del gruppo – che ha proposto e votato questa ricorrenza – questa giornata ha lo scopo di sconfiggere i maltrattamenti che le donne di tutta la Terra subiscono dal punto di vista fisico, umano, psicologico e materiale. Non esiste una sola violenza in particolare, ma c’è un quadro generale che le rappresenta tutte a partire dallo stalking, alla minaccia, allo stupro, alle offese … e alla limitazione della libertà, con conseguente perdita della dignità.

Il violento, in generale, è un uomo su cui la donna, vittima, ha posto la sua fiducia. Poi, le cose sono cambiate quando lui ha cominciato a essere geloso e asfissiante fino al punto tale da toglierle l’aria e la libertà e a considerarla un oggetto di sua proprietà esclusiva. Così, la donna si è ribellata e da lì sono cominciati i suoi guai, perché ha iniziato a ribellarsi e a mettere dei paletti che il suo uomo non ha accettato e li ha visti come una sconfitta del suo potere e del suo orgoglio. 

Il primo passo, che il violento compie, è rappresentato dalle violenze verbali per sottomettere la donna alla sua volontà. Quando non bastano più, usa le mani e se lei continua a ribellarsi non gli resta che chiuderle la bocca per sempre. Compie, così, un gesto di debolezza, di vigliaccheria e di offesa al genere umano. Dovrebbe capire che ci sono tante strade, che il mondo è grande e che c’è posto per tutti: basta prendere una strada qualunque e uscire dalla sua vita.

Quante volte abbiamo sentito proferire la frase “Basta con la violenza contro le donne”! Passano solo pochi giorni per dimenticare quest’ammonimento e, poi, si comincia ad allungare la lunga lista dei femminicidi. Si guarda nel passato delle vittime e si scopre che erano persone con una storia d’amore alle spalle. Un tarlo è cominciato a rodere il cervello di quell’uomo e l’ha reso succube dei suoi pensieri negativi da far vedere il male ovunque nel loro rapporto. Si inventano ragioni, gelosie, incomprensioni, incompatibilità di carattere, e se la donna dice di non sottostare più alle sue regole, comincia il logorio psicologico che ha per culmine la soppressione della vita della donna che si ribella.

L’Unione Donne Italiane scelse non a caso la mimosa per regalarla alle donne nel giorno della loro festa. Si regala la mimosa perché è considerata un fiore povero che sboccia a marzo ed è diffuso nelle nostre campagne. Il suo colore giallo è simbolo di forza, di luce e di vitalità e porta allegria. 

Il consiglio da dare alle donne che si sentono o percepiscono di essere minacciate è di non sentirsi sole e di non soffrire in silenzio, ma confidarsi con persone di fiducia che possano aiutarle. Non devono sottovalutare i rischi che corrono; di non giustificare azioni o comportamenti inusuali; di essere sempre prudenti quando sentono odore di bruciato; di conservare come prova messaggi, biglietti, appunti e registrazioni. Ricordarsi che si comincia con una sberla e si finisce con una coltellata o un colpo di pistola.

Buona lettura e buona vita dall’autore Carmine Scavello


14 Febbraio  2024: San Valentino

Pensieri di amore.

San Valentino ci raccomanda di festeggiarlo tutti i giorni perché non si può essere innamorati a giorni alternati o in modo casuale. Il primo consiglio da dare, al di là di altri pure importanti, è quello di amare senza se e senza ma; il resto passa in secondo ordine di importanza.

Ognuno si faccia una domanda – pensando alla sua dolce metà – chiedendosi con tutta sincerità e libertà di pensiero: Se io tornassi indietro nel tempo la sceglierei di nuovo la mia dolce metà? Nella sua risposta affermativa e sincera è contenuto tutto l’amore che prova nei suoi confronti. Basterebbe questa semplice risposta e le altre eventuali domande sarebbero inutili o di secondo ordine.

La felicità ha tante facce e tra queste una delle più belle consiste nell’amare e nell’essere amati. Che bella quest’affermazione: Se per il mondo tu sei solamente un numero, per la persona amata tu sei tutto il suo mondo!

Qualche anno fa era di moda regalare alla persona amata la medaglietta d’oro con incisa la frase: “Più di ieri e meno di domani”. Poi, è andata fuori moda perché considerata banale. Ma la banalità è stata quella di considerarla banale.

Ci sono due frasi che fanno molto riflettere e ve le dico: “Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna” e “Dietro una grande donna c’è sempre un grande uomo”. Le due frasi si commentano da sole, perché tirare in due il carretto è più facile e meno pesante la fatica. 

Non dimentichiamo mai che si impara ad amare amando. Ognuno lo faccia come meglio sa farlo e non perdere mai di vista il concetto la “Misura di amare è di amare senza misura”.

Ci sono quattro paroline poco usate o date per scontate. Ve le ricordo e vi dico che scontate non lo sono mai, piuttosto vengono sottointese, ma è meglio dirle: Grazie, prego, scusa e posso. Non è tutto dovuto; è solo rispetto!

Buona, lunga e serena vita dall’autore Carmine Scavello. 

Ah, il mio quarto libro pubblicato dal titolo “I battiti dell’amore” parla dell’amore universale. Tra il 1°capitolo “L’amore per Dio” e il 43° “L’amore per se stessi” ce ne sono altri 41 che trattano altri amori.

 

27 Gennaio  2024: Giornata della Memoria
Fare lo sforzo di leggere questa lettera è come onorare la memoria di tanti innocenti, che hanno avuto il solo torto di essere venuti al mondo nel momento e nel posto sbagliati. Non bisogna mai dimenticare che gli altri siamo noi!

Per dovere di cronaca, la data del 27 gennaio di ogni anno – giorno della liberazione dei prigionieri dai lager di prigionia della seconda guerra mondiale – è stata proclamata dalle Nazioni Unite come la Giornata Mondiale della Memoria in modo universale e perenne, perché gli uomini non dimentichino gli orrori di quei campi di sterminio in conseguenza della guerra che si stava combattendo in Europa e nel resto del mondo.

     Per scrivere qualcosa in merito – che colpisse – su questa Giornata Mondiale della Memoria, che non deve passare in secondo ordine, ho pensato di dedicarle uno spezzone del capitolo dedicato al mio personale commento della canzone “AUSCHWITZ” di Francesco Guccini. Suddetto capitolo l’ho voluto fermamente inserire nel mio settimo libro dal titolo “Canti Canzoni Cantanti” insieme a tanti altri brani musicali di successo che fanno parte della colonna sonora della vita di ognuno di noi.

    Guccini ha inteso il testo del brano musicale, al di là del successo discografico, come mezzo di denuncia del dramma umano dell’olocausto. Egli ha composto e cantato la storia terrificante e simbolica di un bambino sconosciuto che è morto bruciato nei forni crematori del campo di sterminio nazista di Auschwitz. 

     La sua storia è raccontata a simbolo di altri milioni di vittime dell’orrore che hanno subito la stessa fine in quell’inferno terreno. Guccini allarga, poi, la denuncia a ogni guerra che si combatte nel mondo. All’epoca della composizione dei versi si stava combattendo la guerra del Vietnam, così il suo pensiero fu rivolto anche al dramma di quel conflitto e alle sofferenze di quel popolo. 

    L’autore della canzone si chiede: Come può l’uomo uccidere un suo fratello! Eppure, siamo a milioni in polvere qui nel vento! Questa è la strofa della canzone che fa più senso. In essa è concentrato lo sterminio di numerosi innocenti nel campo di Auschwitz. Le vittime designate di quel massacro avevano il solo torto di appartenere a una diversa etnia, considerata a torto una razza inferiore; quindi c’era l’ordine di sopprimerle per non contaminare la loro razza ariana considerata di livello superiore.  

     Il cantante si mette nei panni della gente comune e si domanda come l’uomo sia caduto così in basso per arrivare a compiere il male in quel modo orribile e inumano. Chi ha dato ai carnefici l’ordine di togliere la libertà e la vita a esseri simili e diversi solo per stirpe e per luogo di nascita ha commesso un crimine contro l’umanità. La vita non appartiene agli uomini; è stata data a loro come dono dal Cielo per viverla e non per essere sacrificata per fini distruttivi in nome di un diritto che nessuno ha concesso ai loro giustizieri. Chi sopprime una vita umana per la legge di Dio e degli uomini è considerato un assassino e come tale va punito e ripudiato.

     In quel luogo freddo e inospitale – per il gelo e la neve e funesto per la crudeltà che si respirava – era ammassata una moltitudine di prigionieri in attesa dell’esecuzione finale. Eppure, in quella grande prigione super controllata era presente uno strano e inquietante silenzio, che sapeva di rassegnazione e di perdita di ogni speranza. Intanto, il fumo dei forni crematori, saliva in cielo attraverso i camini e si disperdeva nel vento per dissolvere nell’aria il dolore e l’odore acre di morte di tanti poveri e innocenti esseri umani di tutte le età e di differenti estrazioni sociali.  

    Quei carcerieri erano uomini bruti che si comportavano come bestie assetate di sangue; il loro uso della ragione era irrazionale e violento; non conoscevano la pietà umana. Io come ascoltatore del brano potrei pensare che tanti sorveglianti fossero stati costretti a ubbidire a degli ordini precisi, impartiti dall’alto, che non lasciassero spazio al perdono e alla compassione. Forse si sentivano a posto con la propria coscienza in quanto eseguivano ordini precisi e indiscutibili a cui non potevano disubbidire, pena complicità e insubordinazione, ed erano severamente puniti.

     Alla fine, Guccini ci lascia la speranza che l’uomo si possa ravvedere e imparare la lezione che si può e si deve vivere senza ammazzare. Lo fa con un invito diretto e forte perché vorrebbe porre fiducia nell’umanità e nell’altruismo affinché nasca un mondo migliore nel quale l’uomo non abbia più sete di sangue e si decida a rispettare il prossimo come se stesso con tutte le sue diversità. 

     L’artista aspetta che quel vento finalmente non soffi folate cariche di odio e di morte; le immaginava pesanti e irrespirabili a causa di tutti quei morti. La bestia umana non si era fermata nemmeno davanti l’innocenza di un bambino. Forse, quel vento finalmente si poserà e non porterà più nell’aria quell’odore macabro e terrificante. Ad AUSCHWITZ tante persone, ma un solo grande silenzio!

Buona vita dall’autore Carmine Scavello

06 Gennaio  2024: Epifania

Cosa sperate di trovare nella calza? Ognuno si dia da solo la risposta che si meriti!

Se simbolicamente vi troverete il carbone, pensate a qualche capriccio, a una mancanza di rispetto, a un torto, a una promessa non mantenuta, a non aver fatto il proprio dovere. 

Ma è solo la tradizione che richiede di appendere ai piedi del letto o sul davanzale del camino una calza e sperare che un’anima buona vi metta qualcosa di carino, ma solo come invito a un buon comportamento, perché il carbone vi aspetta al varco. 

     Con la memoria si torna indietro nel tempo a quando le mamme – le vere befane, ma soprattutto angeli della casa – ci facevano capire che durante la notte sarebbe arrivata la vecchietta con le scarpe tutte rotte e la veste alla romana. Solo all’Epifania è concesso togliere i dolcetti appesi all’albero di Natale, ammesso che non sia rimasto solo l’involucro. I furbetti hanno fatto la birichinata dal primo momento della preparazione dell’albero di Natale: i peccati di gola, da che mondo è mondo, sono sempre esistiti.

     In fondo la befana è buona, ma viene descritta come una vecchia bacucca. Forse perché è povera rispetto a Babbo Natale. E’ dipinta come una strega molto anziana solo perché viaggia su una scopa, ma non fa incantesimi malefici e né trasforma in corpi inanimati le persone. Porta i regali e, poi, scompare nel nulla; inoltre, durante un anno intero nessuno le rivolgerà un pensiero. Eppure non fa nulla di male e non è vero che porta il carbone; sono le mamme che hanno diffuso questa diceria e danno la colpa a lei per punire le marachelle dei figli con una mano, mentre con l’altra danno loro una carezza e un regalino.

     Una mamma non farà mai soffrire il suo bambino, andrebbe contro i suoi principi, negandogli il regalino: fa solo la voce grossa per farsi ubbidire e farsi promettere ubbidienza. Lo fa con amore e per il suo bene per farlo crescere nella correttezza. Le mamme hanno imparato a memoria il seguente ritornello: Volete il regalo dalla Befana? Fate i bravi! Senza far capire che, male che vada, il carbone è di zucchero.

     Siamo all’epilogo: con la data del sei gennaio le festività terminano e si ritorna alla normalità. Non è raro sentire proferire auguri di Buona Pasqua, almeno in certe zone d’Italia non è scomparsa questa usanza. 

     Babbo Natale viene descritto come un marito generoso che lascia la moglie al Polo Nord per andare in giro per il mondo a portare i regali ai bimbi che gli hanno scritto la letterina. Ma la Befana chi troverà al ritorno? Nessun autore di libri per ragazzi ha detto che la Befana abbia un marito e così passa come una vecchia zitella in modo dispregiativo. Nessuno ha mai detto dove abita durante l’anno, perciò non riceve le letterine dei bambini.

     In questa giornata, alle donne si dice in modo scherzoso e allegorico Befana, come se fosse la loro festa e sono contente così verrebbero festeggiate due volte all’anno: il sei gennaio e l’otto marzo. Che mi risulti nessuna di loro si sia offesa per questo appellativo, perché in fondo la Befana è buona. Perciò si consideri un complimento. Se non fosse buona non porterebbe i regali.  A marzo si regala la mimosa e il sei gennaio cosa si potrebbe regalare a una donna che porta i regali? Come minimo un sorriso, amore, rispetto alla sua dignità e un grazie per tutto ciò che fa per la comunità.

Buona vita dall’autore Carmine Scavello.

01 Gennaio  2024:  Buon anno

Lettera di Buon Anno 2024

 Il 2023 stanco se ne va e giammai più ritornerà.
Il 2024 invece più vivace ci porterà felicità e pace.

 Quando arriviamo puntualmente al traguardo della festa di San Silvestro, ci guardiamo indietro – ma il gesto non vale per tutti – per vedere se abbiamo fatto, tutto bene o in parte, ciò che ci eravamo promessi di fare. Immancabilmente, scopriamo che tante promesse non sono state mantenute, magari non per colpa nostra. Viviamo a stretto contatto con gli altri e siamo soggetti a condizionamenti, che spesso ci complicano o rallentano la vita.

     Ci rendiamo conto che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e, per restare nel clima marittimo, facciamo promesse da marinai. Quanti bei propositi non sono stati mantenuti! Quel che ci consola è mal comune mezzo gaudio: gli altri con cui ci confrontiamo non sono migliori di noi. Abbiamo lo “stesso comune e inevitabile difetto” di promettere, in teoria sulla carta, quello che, poi, si dimostra di essere più difficile da mantenere nella pratica.

     Siamo distratti da altri interessi e da tanti pensieri e non sempre diamo priorità alle promesse espresse a cuor leggero. Forse sarebbe meglio promettere di meno o poco e agire di volta in volta sotto forma di sorprese: ciò farebbe stare meglio sia noi che il ricevente delle promesse. Senza mettere le mani nel portafoglio, il regalo più bello e apprezzato è donare il nostro tempo, che è una parte indissolubile di noi stessi. Dopo la salute viene il tempo, perché non è illimitato e, una volta speso, lo è per sempre.

     Quel Francesco, un mio noto personaggio letterario, disse a un ragazzo che si lamentava e faceva una tragedia per un piccolo affare non andato in porto:

se tu perdi un gruzzoletto di soldi, lo potrai recuperare, ma se perdi o sciupi un pezzo della tua vita svanisce per sempre. Come vedi, hai una ricchezza per le mani e non te ne rendi conto!

     E così arriva l’Anno Nuovo e come dice la filastrocca: ci porterà felicità e pace! E’ l’augurio più ricorrente che ci si scambia a ruota. Le buone intenzioni ci sono tutte, come c’erano pure negli altri anni precedenti. Si aspetta con ansia la mezzanotte per farci trovare svegli dal Nuovo Anno, che parte un secondo dopo lo scoccare delle ore ventiquattro del trentuno dicembre, e ricominciare così a vivere pimpanti con la speranza di un altro anno migliore dei precedenti.  

     Il brindisi è d’obbligo come nelle grandi occasioni: se non c’è il tintinnio dei bicchieri pieni di spumante a far compagnia alle fette di panettone o di pandoro non è Capodanno! In questa circostanza, qualcuno butta in strada dalle finestre piatti scheggiati e altri oggetti usati come per dire:

mi sto disfacendo delle cose vecchie. Voglio rompere definitivamente col passato, occupare simbolicamente il loro spazio con oggetti nuovi e andare incontro a un futuro migliore, come per simboleggiare di liberarmi di cose inutili e sostituirle con le nuove.  

     Un mio ex collega, bolognese di lavoro, mi raccontò che dalle sue parti si bruciava un fantoccio costruito con materiale infiammabile – detto Il vecchione – per tagliare i ponti col passato e celebrare contenti l’Anno Nuovo. La tradizione voleva che con quel simbolo il Capodanno festeggiato fosse certo di aver visto la fine dell’anno vecchio, come fecero i suoi predecessori.

     E’ così che gira il mondo! Tutto ha un inizio e una fine: fa parte della fugacità del tempo. Ecco il consiglio di nonna Rosina – una vecchietta scaramantica del mio rione, considerata la nonna di tutti per la sua saggezza -: a Capodanno consigliava di mettere una foglia di alloro nel portafoglio o in una tasca dei vestiti perché allontanava le vibrazioni negative e le sostituiva con quelle positive. In fondo, tuttora quest’operazione costa poco tempo e denaro e per chi ci crede è un rito scaramantico. Vanno bene anche lenticchie, melagrana … e uva, lasciando libera scelta per altri prodotti o articoli.

    L’uso dei botti – oggi proibito in molte città – rappresenta per gli amanti di questa consuetudine l’allontanamento degli spiriti maligni: il rumore li spaventa e li spinge lontano.

    Comunque, ognuno faccia come meglio creda e usi tutti i metodi propiziatori che voglia per augurarsi un Buon Anno: è un modo come un altro per scacciare via la negatività e portare serenità e prosperità. Ah, ricordiamoci che quest’anno abbiamo un giorno in più da vivere!

 Buona vita e Buon Anno e che si realizzino i vostri desideri dal vostro amico autore Carmine Scavello

15 Settembre  2023: un nuovo libro”Francesco , l’uomo che dava del tu alla vita” 

E’ in uscita il nuovo libro, il nono, del nostro socio e scrittore Carmine Scavello, dal titolo “FRANCESCO, l’uomo che dava del tu alla vita”. Di seguito una breve presentazione a cura dell’autore.

Lettera agli amici per reclamizzare il mio nuovo romanzo e per invitarli all’acquisto, prima che il libro vada fuori edizione. A voi pochi Euro non vi mandano in malora, ma, in compenso, vi danno l’opportunità di conoscere mondi e ambienti diversi, che nessun altro libro ve ne parlerà. Se avete letto altri libri, questo si aggiungerà a quelli di vostro gradimento; se finora ne avete letto pochissimi e nel caso non ne aveste letto nessuno, questo libro sarà il vostro battesimo di fare amicizia con la lettura.

Vi comunico che ho pubblicato il mio nono libro dal titolo “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita”. Per scrivere questo romanzo mi sono ispirato alla vita e alla storia di un uomo buono, sereno, solare, lungimirante … una bella persona. Francesco, nome inventato, è un nostro collega che ha lavorato in GTE/Siemens per circa un ventennio nel periodo anni Settanta/Ottanta. 

Il mio nono libro “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita” manda il messaggio che: “si impara a dare un senso alla vita, vivendo il presente”. Domani, oggi sarà ieri e il tempo non aspetta nessuno. E’ un raccomanzo di circa 250 pagine che è ambientato a Terravecchia, in Germania, in Lombardia.

     A Terravecchia il testo parla di radici, usi, costumi, tradizioni, feste popolari e vita quotidiana, fuga da quel treno maledetto che lo stava conducendo ai campi di concentramento. Fu salvato per miracolo dal suo Angelo Custode.

      In Germania tratta la vita degli emigranti per ragioni di lavoro: lontananza, nostalgia, sacrifici, umiliazioni, mancanza della famiglia, il difficile inserimento, l’ignoranza della lingua, la diffidenza della gente del luogo, la dura vita nelle baracche a contatto con persone di regioni ed etnie diverse e spazi comuni sottodimensionati e carenti del minimo necessario, con turni massacranti per cucinare, per fare il bucato o semplicemente per la pulizia personale quotidiana. 

     In Lombardia racconta il trasferimento della famiglia nella nuova realtà: la ricerca difficoltosa di una casa in affitto, del lavoro e l’inserimento nella nuova comunità, che diffidava dei nuovi arrivati. Per colpa di pochi individui scorretti e irrispettosi delle regole di buona convivenza, ne pagano le conseguenze le tante persone corrette e oneste! Sul luogo del nuovo lavoro Francesco è testimone oculare di tante storie buffe e comiche che sembrano fantastiche e invece sono vere, come se fosse stato sul set di un film di commedie all’italiana. Provare per credere e il divertimento è assicurato! Tanti comici e cabarettisti si sono ispirati alla vita reale: Francesco avrebbe avuto tanto materiale divertente da proporre al pubblico su un palcoscenico.

     Poi, quel buon uomo è alla ricerca di una nuova compagna dopo la vedovanza e parla di alcune donne presentate da un’agenzia matrimoniale. Si meraviglia delle loro stranezze e di come possano esserci al mondo persone difficili e siffatte alla ricerca del pollo da spennare!   

      Francesco lo definisco un eroe moderno per come ha affrontato e superato le difficoltà della vita, senza perdere mai la calma, la razionalità, l’autostima e la forza di volontà, non maledicendo la sorte, non imprecando e non invidiando gli altri. Il suo punto di forza è stato quello di essere un rubamestiere, ma non per copiare come un pappagallo, bensì quello di migliorare l’idea.

     Ogni pagina del libro riserva delle belle sorprese e si vorrebbe che la sua lettura non terminasse mai. Come autore non ho mai illuso o deluso i miei lettori. Alla fine resterà un retrogusto di bontà e il messaggio di Francesco che bisogna rispettare due regole fondamentali: la prima è non arrendersi mai; la seconda è ricordarsi della prima. Nel libro c’è una lunga lettera inviata all’Angelo Custode sotto forma di preghiera e di protezione. La sola lettura di questa lettera vale il costo del libro!

     Chi non ne approfitta oggi, domani se ne pentirebbe perché, poi, va fuori edizione. Leggendo il libro si imparano tante cose nuove e inedite.

Buona vita

 

 

 

14 Febbraio  2024: san Valentino
Pensieri di amore.

San Valentino ci raccomanda di festeggiarlo tutti i giorni perché non si può essere innamorati a giorni alternati o in modo casuale. Il primo consiglio da dare, al di là di altri pure importanti, è quello di amare senza se e senza ma; il resto passa in secondo ordine di importanza.

Ognuno si faccia una domanda – pensando alla sua dolce metà – chiedendosi con tutta sincerità e libertà di pensiero: Se io tornassi indietro nel tempo la sceglierei di nuovo la mia dolce metà? Nella sua risposta affermativa e sincera è contenuto tutto l’amore che prova nei suoi confronti. Basterebbe questa semplice risposta e le altre eventuali domande sarebbero inutili o di secondo ordine.

La felicità ha tante facce e tra queste una delle più belle consiste nell’amare e nell’essere amati. Che bella quest’affermazione: Se per il mondo tu sei solamente un numero, per la persona amata tu sei tutto il suo mondo!

Qualche anno fa era di moda regalare alla persona amata la medaglietta d’oro con incisa la frase: “Più di ieri e meno di domani”. Poi, è andata fuori moda perché considerata banale. Ma la banalità è stata quella di considerarla banale.

Ci sono due frasi che fanno molto riflettere e ve le dico: “Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna” e “Dietro una grande donna c’è sempre un grande uomo”. Le due frasi si commentano da sole, perché tirare in due il carretto è più facile e meno pesante la fatica. 

Non dimentichiamo mai che si impara ad amare amando. Ognuno lo faccia come meglio sa farlo e non perdere mai di vista il concetto la “Misura di amare è di amare senza misura”.

Ci sono quattro paroline poco usate o date per scontate. Ve le ricordo e vi dico che scontate non lo sono mai, piuttosto vengono sottointese, ma è meglio dirle: Grazie, prego, scusa e posso. Non è tutto dovuto; è solo rispetto!

Buona, lunga e serena vita dall’autore Carmine Scavello. 

Ah, il mio quarto libro pubblicato dal titolo “I battiti dell’amore” parla dell’amore universale. Tra il 1°capitolo “L’amore per Dio” e il 43° “L’amore per se stessi” ce ne sono altri 41 che trattano altri amori.

 

27 Gennaio  2024: Giornata della Memoria
Fare lo sforzo di leggere questa lettera è come onorare la memoria di tanti innocenti, che hanno avuto il solo torto di essere venuti al mondo nel momento e nel posto sbagliati. Non bisogna mai dimenticare che gli altri siamo noi!

Per dovere di cronaca, la data del 27 gennaio di ogni anno – giorno della liberazione dei prigionieri dai lager di prigionia della seconda guerra mondiale – è stata proclamata dalle Nazioni Unite come la Giornata Mondiale della Memoria in modo universale e perenne, perché gli uomini non dimentichino gli orrori di quei campi di sterminio in conseguenza della guerra che si stava combattendo in Europa e nel resto del mondo.

     Per scrivere qualcosa in merito – che colpisse – su questa Giornata Mondiale della Memoria, che non deve passare in secondo ordine, ho pensato di dedicarle uno spezzone del capitolo dedicato al mio personale commento della canzone “AUSCHWITZ” di Francesco Guccini. Suddetto capitolo l’ho voluto fermamente inserire nel mio settimo libro dal titolo “Canti Canzoni Cantanti” insieme a tanti altri brani musicali di successo che fanno parte della colonna sonora della vita di ognuno di noi.

    Guccini ha inteso il testo del brano musicale, al di là del successo discografico, come mezzo di denuncia del dramma umano dell’olocausto. Egli ha composto e cantato la storia terrificante e simbolica di un bambino sconosciuto che è morto bruciato nei forni crematori del campo di sterminio nazista di Auschwitz. 

     La sua storia è raccontata a simbolo di altri milioni di vittime dell’orrore che hanno subito la stessa fine in quell’inferno terreno. Guccini allarga, poi, la denuncia a ogni guerra che si combatte nel mondo. All’epoca della composizione dei versi si stava combattendo la guerra del Vietnam, così il suo pensiero fu rivolto anche al dramma di quel conflitto e alle sofferenze di quel popolo. 

    L’autore della canzone si chiede: Come può l’uomo uccidere un suo fratello! Eppure, siamo a milioni in polvere qui nel vento! Questa è la strofa della canzone che fa più senso. In essa è concentrato lo sterminio di numerosi innocenti nel campo di Auschwitz. Le vittime designate di quel massacro avevano il solo torto di appartenere a una diversa etnia, considerata a torto una razza inferiore; quindi c’era l’ordine di sopprimerle per non contaminare la loro razza ariana considerata di livello superiore.  

     Il cantante si mette nei panni della gente comune e si domanda come l’uomo sia caduto così in basso per arrivare a compiere il male in quel modo orribile e inumano. Chi ha dato ai carnefici l’ordine di togliere la libertà e la vita a esseri simili e diversi solo per stirpe e per luogo di nascita ha commesso un crimine contro l’umanità. La vita non appartiene agli uomini; è stata data a loro come dono dal Cielo per viverla e non per essere sacrificata per fini distruttivi in nome di un diritto che nessuno ha concesso ai loro giustizieri. Chi sopprime una vita umana per la legge di Dio e degli uomini è considerato un assassino e come tale va punito e ripudiato.

     In quel luogo freddo e inospitale – per il gelo e la neve e funesto per la crudeltà che si respirava – era ammassata una moltitudine di prigionieri in attesa dell’esecuzione finale. Eppure, in quella grande prigione super controllata era presente uno strano e inquietante silenzio, che sapeva di rassegnazione e di perdita di ogni speranza. Intanto, il fumo dei forni crematori, saliva in cielo attraverso i camini e si disperdeva nel vento per dissolvere nell’aria il dolore e l’odore acre di morte di tanti poveri e innocenti esseri umani di tutte le età e di differenti estrazioni sociali.  

    Quei carcerieri erano uomini bruti che si comportavano come bestie assetate di sangue; il loro uso della ragione era irrazionale e violento; non conoscevano la pietà umana. Io come ascoltatore del brano potrei pensare che tanti sorveglianti fossero stati costretti a ubbidire a degli ordini precisi, impartiti dall’alto, che non lasciassero spazio al perdono e alla compassione. Forse si sentivano a posto con la propria coscienza in quanto eseguivano ordini precisi e indiscutibili a cui non potevano disubbidire, pena complicità e insubordinazione, ed erano severamente puniti.

     Alla fine, Guccini ci lascia la speranza che l’uomo si possa ravvedere e imparare la lezione che si può e si deve vivere senza ammazzare. Lo fa con un invito diretto e forte perché vorrebbe porre fiducia nell’umanità e nell’altruismo affinché nasca un mondo migliore nel quale l’uomo non abbia più sete di sangue e si decida a rispettare il prossimo come se stesso con tutte le sue diversità. 

     L’artista aspetta che quel vento finalmente non soffi folate cariche di odio e di morte; le immaginava pesanti e irrespirabili a causa di tutti quei morti. La bestia umana non si era fermata nemmeno davanti l’innocenza di un bambino. Forse, quel vento finalmente si poserà e non porterà più nell’aria quell’odore macabro e terrificante. Ad AUSCHWITZ tante persone, ma un solo grande silenzio!

Buona vita dall’autore Carmine Scavello

06 Gennaio  2024: Epifania

Cosa sperate di trovare nella calza? Ognuno si dia da solo la risposta che si meriti!

Se simbolicamente vi troverete il carbone, pensate a qualche capriccio, a una mancanza di rispetto, a un torto, a una promessa non mantenuta, a non aver fatto il proprio dovere. 

Ma è solo la tradizione che richiede di appendere ai piedi del letto o sul davanzale del camino una calza e sperare che un’anima buona vi metta qualcosa di carino, ma solo come invito a un buon comportamento, perché il carbone vi aspetta al varco. 

     Con la memoria si torna indietro nel tempo a quando le mamme – le vere befane, ma soprattutto angeli della casa – ci facevano capire che durante la notte sarebbe arrivata la vecchietta con le scarpe tutte rotte e la veste alla romana. Solo all’Epifania è concesso togliere i dolcetti appesi all’albero di Natale, ammesso che non sia rimasto solo l’involucro. I furbetti hanno fatto la birichinata dal primo momento della preparazione dell’albero di Natale: i peccati di gola, da che mondo è mondo, sono sempre esistiti.

     In fondo la befana è buona, ma viene descritta come una vecchia bacucca. Forse perché è povera rispetto a Babbo Natale. E’ dipinta come una strega molto anziana solo perché viaggia su una scopa, ma non fa incantesimi malefici e né trasforma in corpi inanimati le persone. Porta i regali e, poi, scompare nel nulla; inoltre, durante un anno intero nessuno le rivolgerà un pensiero. Eppure non fa nulla di male e non è vero che porta il carbone; sono le mamme che hanno diffuso questa diceria e danno la colpa a lei per punire le marachelle dei figli con una mano, mentre con l’altra danno loro una carezza e un regalino.

     Una mamma non farà mai soffrire il suo bambino, andrebbe contro i suoi principi, negandogli il regalino: fa solo la voce grossa per farsi ubbidire e farsi promettere ubbidienza. Lo fa con amore e per il suo bene per farlo crescere nella correttezza. Le mamme hanno imparato a memoria il seguente ritornello: Volete il regalo dalla Befana? Fate i bravi! Senza far capire che, male che vada, il carbone è di zucchero.

     Siamo all’epilogo: con la data del sei gennaio le festività terminano e si ritorna alla normalità. Non è raro sentire proferire auguri di Buona Pasqua, almeno in certe zone d’Italia non è scomparsa questa usanza. 

     Babbo Natale viene descritto come un marito generoso che lascia la moglie al Polo Nord per andare in giro per il mondo a portare i regali ai bimbi che gli hanno scritto la letterina. Ma la Befana chi troverà al ritorno? Nessun autore di libri per ragazzi ha detto che la Befana abbia un marito e così passa come una vecchia zitella in modo dispregiativo. Nessuno ha mai detto dove abita durante l’anno, perciò non riceve le letterine dei bambini.

     In questa giornata, alle donne si dice in modo scherzoso e allegorico Befana, come se fosse la loro festa e sono contente così verrebbero festeggiate due volte all’anno: il sei gennaio e l’otto marzo. Che mi risulti nessuna di loro si sia offesa per questo appellativo, perché in fondo la Befana è buona. Perciò si consideri un complimento. Se non fosse buona non porterebbe i regali.  A marzo si regala la mimosa e il sei gennaio cosa si potrebbe regalare a una donna che porta i regali? Come minimo un sorriso, amore, rispetto alla sua dignità e un grazie per tutto ciò che fa per la comunità.

Buona vita dall’autore Carmine Scavello.

01 Gennaio  2024:  Buon anno

Lettera di Buon Anno 2024

 Il 2023 stanco se ne va e giammai più ritornerà.
Il 2024 invece più vivace ci porterà felicità e pace.

 Quando arriviamo puntualmente al traguardo della festa di San Silvestro, ci guardiamo indietro – ma il gesto non vale per tutti – per vedere se abbiamo fatto, tutto bene o in parte, ciò che ci eravamo promessi di fare. Immancabilmente, scopriamo che tante promesse non sono state mantenute, magari non per colpa nostra. Viviamo a stretto contatto con gli altri e siamo soggetti a condizionamenti, che spesso ci complicano o rallentano la vita.

     Ci rendiamo conto che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e, per restare nel clima marittimo, facciamo promesse da marinai. Quanti bei propositi non sono stati mantenuti! Quel che ci consola è mal comune mezzo gaudio: gli altri con cui ci confrontiamo non sono migliori di noi. Abbiamo lo “stesso comune e inevitabile difetto” di promettere, in teoria sulla carta, quello che, poi, si dimostra di essere più difficile da mantenere nella pratica.

     Siamo distratti da altri interessi e da tanti pensieri e non sempre diamo priorità alle promesse espresse a cuor leggero. Forse sarebbe meglio promettere di meno o poco e agire di volta in volta sotto forma di sorprese: ciò farebbe stare meglio sia noi che il ricevente delle promesse. Senza mettere le mani nel portafoglio, il regalo più bello e apprezzato è donare il nostro tempo, che è una parte indissolubile di noi stessi. Dopo la salute viene il tempo, perché non è illimitato e, una volta speso, lo è per sempre.

     Quel Francesco, un mio noto personaggio letterario, disse a un ragazzo che si lamentava e faceva una tragedia per un piccolo affare non andato in porto:

se tu perdi un gruzzoletto di soldi, lo potrai recuperare, ma se perdi o sciupi un pezzo della tua vita svanisce per sempre. Come vedi, hai una ricchezza per le mani e non te ne rendi conto!

     E così arriva l’Anno Nuovo e come dice la filastrocca: ci porterà felicità e pace! E’ l’augurio più ricorrente che ci si scambia a ruota. Le buone intenzioni ci sono tutte, come c’erano pure negli altri anni precedenti. Si aspetta con ansia la mezzanotte per farci trovare svegli dal Nuovo Anno, che parte un secondo dopo lo scoccare delle ore ventiquattro del trentuno dicembre, e ricominciare così a vivere pimpanti con la speranza di un altro anno migliore dei precedenti.  

     Il brindisi è d’obbligo come nelle grandi occasioni: se non c’è il tintinnio dei bicchieri pieni di spumante a far compagnia alle fette di panettone o di pandoro non è Capodanno! In questa circostanza, qualcuno butta in strada dalle finestre piatti scheggiati e altri oggetti usati come per dire:

mi sto disfacendo delle cose vecchie. Voglio rompere definitivamente col passato, occupare simbolicamente il loro spazio con oggetti nuovi e andare incontro a un futuro migliore, come per simboleggiare di liberarmi di cose inutili e sostituirle con le nuove.  

     Un mio ex collega, bolognese di lavoro, mi raccontò che dalle sue parti si bruciava un fantoccio costruito con materiale infiammabile – detto Il vecchione – per tagliare i ponti col passato e celebrare contenti l’Anno Nuovo. La tradizione voleva che con quel simbolo il Capodanno festeggiato fosse certo di aver visto la fine dell’anno vecchio, come fecero i suoi predecessori.

     E’ così che gira il mondo! Tutto ha un inizio e una fine: fa parte della fugacità del tempo. Ecco il consiglio di nonna Rosina – una vecchietta scaramantica del mio rione, considerata la nonna di tutti per la sua saggezza -: a Capodanno consigliava di mettere una foglia di alloro nel portafoglio o in una tasca dei vestiti perché allontanava le vibrazioni negative e le sostituiva con quelle positive. In fondo, tuttora quest’operazione costa poco tempo e denaro e per chi ci crede è un rito scaramantico. Vanno bene anche lenticchie, melagrana … e uva, lasciando libera scelta per altri prodotti o articoli.

    L’uso dei botti – oggi proibito in molte città – rappresenta per gli amanti di questa consuetudine l’allontanamento degli spiriti maligni: il rumore li spaventa e li spinge lontano.

    Comunque, ognuno faccia come meglio creda e usi tutti i metodi propiziatori che voglia per augurarsi un Buon Anno: è un modo come un altro per scacciare via la negatività e portare serenità e prosperità. Ah, ricordiamoci che quest’anno abbiamo un giorno in più da vivere!

 Buona vita e Buon Anno e che si realizzino i vostri desideri dal vostro amico autore Carmine Scavello

15 Settembre  2023: un nuovo libro”Francesco , l’uomo che dava del tu alla vita” 

E’ in uscita il nuovo libro, il nono, del nostro socio e scrittore Carmine Scavello, dal titolo “FRANCESCO, l’uomo che dava del tu alla vita”. Di seguito una breve presentazione a cura dell’autore.

Lettera agli amici per reclamizzare il mio nuovo romanzo e per invitarli all’acquisto, prima che il libro vada fuori edizione. A voi pochi Euro non vi mandano in malora, ma, in compenso, vi danno l’opportunità di conoscere mondi e ambienti diversi, che nessun altro libro ve ne parlerà. Se avete letto altri libri, questo si aggiungerà a quelli di vostro gradimento; se finora ne avete letto pochissimi e nel caso non ne aveste letto nessuno, questo libro sarà il vostro battesimo di fare amicizia con la lettura.

Vi comunico che ho pubblicato il mio nono libro dal titolo “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita”. Per scrivere questo romanzo mi sono ispirato alla vita e alla storia di un uomo buono, sereno, solare, lungimirante … una bella persona. Francesco, nome inventato, è un nostro collega che ha lavorato in GTE/Siemens per circa un ventennio nel periodo anni Settanta/Ottanta. 

Il mio nono libro “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita” manda il messaggio che: “si impara a dare un senso alla vita, vivendo il presente”. Domani, oggi sarà ieri e il tempo non aspetta nessuno. E’ un raccomanzo di circa 250 pagine che è ambientato a Terravecchia, in Germania, in Lombardia.

     A Terravecchia il testo parla di radici, usi, costumi, tradizioni, feste popolari e vita quotidiana, fuga da quel treno maledetto che lo stava conducendo ai campi di concentramento. Fu salvato per miracolo dal suo Angelo Custode.

      In Germania tratta la vita degli emigranti per ragioni di lavoro: lontananza, nostalgia, sacrifici, umiliazioni, mancanza della famiglia, il difficile inserimento, l’ignoranza della lingua, la diffidenza della gente del luogo, la dura vita nelle baracche a contatto con persone di regioni ed etnie diverse e spazi comuni sottodimensionati e carenti del minimo necessario, con turni massacranti per cucinare, per fare il bucato o semplicemente per la pulizia personale quotidiana. 

     In Lombardia racconta il trasferimento della famiglia nella nuova realtà: la ricerca difficoltosa di una casa in affitto, del lavoro e l’inserimento nella nuova comunità, che diffidava dei nuovi arrivati. Per colpa di pochi individui scorretti e irrispettosi delle regole di buona convivenza, ne pagano le conseguenze le tante persone corrette e oneste! Sul luogo del nuovo lavoro Francesco è testimone oculare di tante storie buffe e comiche che sembrano fantastiche e invece sono vere, come se fosse stato sul set di un film di commedie all’italiana. Provare per credere e il divertimento è assicurato! Tanti comici e cabarettisti si sono ispirati alla vita reale: Francesco avrebbe avuto tanto materiale divertente da proporre al pubblico su un palcoscenico.

     Poi, quel buon uomo è alla ricerca di una nuova compagna dopo la vedovanza e parla di alcune donne presentate da un’agenzia matrimoniale. Si meraviglia delle loro stranezze e di come possano esserci al mondo persone difficili e siffatte alla ricerca del pollo da spennare!   

      Francesco lo definisco un eroe moderno per come ha affrontato e superato le difficoltà della vita, senza perdere mai la calma, la razionalità, l’autostima e la forza di volontà, non maledicendo la sorte, non imprecando e non invidiando gli altri. Il suo punto di forza è stato quello di essere un rubamestiere, ma non per copiare come un pappagallo, bensì quello di migliorare l’idea.

     Ogni pagina del libro riserva delle belle sorprese e si vorrebbe che la sua lettura non terminasse mai. Come autore non ho mai illuso o deluso i miei lettori. Alla fine resterà un retrogusto di bontà e il messaggio di Francesco che bisogna rispettare due regole fondamentali: la prima è non arrendersi mai; la seconda è ricordarsi della prima. Nel libro c’è una lunga lettera inviata all’Angelo Custode sotto forma di preghiera e di protezione. La sola lettura di questa lettera vale il costo del libro!

     Chi non ne approfitta oggi, domani se ne pentirebbe perché, poi, va fuori edizione. Leggendo il libro si imparano tante cose nuove e inedite.

Buona vita

 

15 Agosto 2023: Auguri di Buon Ferragosto a modo mio!

Vi consiglio di leggere tutta la lettera: ne vale la pena. Una giornata è formata da 1440 minuti; per voi riservarne circa 3 per la sua lettura non è poi un così grande sacrificio; gli altri possono aspettare. Ritagliatevi questo piccolo spazio in ossequio alla vostra libertà. Prevedo che vi farò cantare e vi terrò legati alla sua lettura fino alla fine della lettera.

1.“Comincio con Buon Ferragosto a modo suo!”

L’amministratore delegato di una grande azienda di automobili durante un’intervista rilasciata nella giornata di un 15 agosto così disse: Auguro a tutti Buon Ferragosto, la buona salute e di stare bene economicamente. Aggiunse anche: un emiro che mi compri un’auto di lusso lo troverò sempre, ma se il popolo stringe la cinghia e non arriva a fine mese, chi mi comprerà un’utilitaria? Lascio libertà di commento.

2.“Continuo con Buon Ferragosto a modo mio!”

Do simbolicamente a tutti i lettori 14 matite diversamente colorate per scrivere a caratteri cubitali le lettere che compongono le due parole BUON FERRAGOSTO e colorarle allegramente con i colori della fantasia e della speranza. Poi, costoro affideranno il messaggio augurale al proprio Angelo Custode perché lo consegnasse ai Suoi Simili per recapitarlo ognuno ai propri protetti. Un augurio così bello e originale avrebbe una diffusione più capillare e, nel contempo, la protezione divina, data la vicinanza degli Angeli Custodi alle Figure Celestiali di più alto rango.

Francesco, il mio personaggio letterale, che alcuni lettori hanno già conosciuto e altri, spero, conosceranno – se avranno il piacere e la curiosità di leggere la vita e la sua storia romanzate -, nel giorno di Ferragosto lui dedicava alle persone care e amiche il suo augurio di pace, di serenità, di prosperità, di buona salute e di lunga vita. Viveva questa giornata nell’allegria per contagiare chi gli stava intorno col suo buonumore e col suo ottimismo, mentre mandava un pensiero anche a coloro che non erano in grado di festeggiare perché impediti da disaggi e problemi. Alzava al cielo un calice di vino per brindare alla loro salute nell’attesa di giorni  migliori.

Nel suo vocabolario non sono mai esistite le parole odio, guerra e ingiustizia. Quell’uomo giusto e umano voleva il bene di tutti: asseriva che essere felice tra persone felici era il modo più grande di assaporare la felicità. Faceva diventare speciale il giorno di Ferragosto che per alcuni era solo un giorno comune, mentre per lui aveva valenza religiosa per festeggiare l’Assunzione della Madonna in Cielo e quella pagana di riunirsi per meglio condividerne la gioia dell’amicizia e dei legami affettivi.

Mi viene in mente la canzone “Girotondo intorno al mondo” di Sergio Endrigo. E’ meravigliosa e piena di speranza la strofa: E se tutta la gente si desse una mano, se il mondo veramente si desse una mano, allora si farebbe un girotondo intorno al mondo, intorno al mondo! Solo così facendo si sconfiggerebbe la cortina di odio tesa da tanti irresponsabili e assetati di potere e si darebbe un calcio poderoso alla guerra, che crea solo morte e rovine e vincitori e vinti che si leccano le ferite. Ah, al maestro Sergio Endrigo ho dedicato un intero capitolo nel mio settimo libro “Canti Canzoni Cantanti” come pure a tanti cantanti famosi saliti in cielo come lui.

Non servono grandi preparativi a fare un grande Ferragosto: basta che ci sia la buona armonia per renderlo speciale e consegnarlo alla propria storia come un giorno vissuto in allegria, meglio dei precedenti. Ci sono pure persone, purtroppo, che non festeggiano la festività e non possono andare in vacanza: anche a loro va l’augurio di BUON FERRAGOSTO.

Auguri di Buona, lunga e serena vita e di nuovo Buon Ferragosto dallo scrittore Carmine Scavello

09 Agosto 2023: la Pazienza !

 La pazienza!

Siamo in tanti a volere e a pretendere tutto e subito senza avere la pazienza di aspettare, dimenticando che per nascere abbiamo dovuto attendere ben nove mesi, sacrificati nell’angusto spazio della placenta. Basterebbe andare dal contadino e chiedergli chi gli dà la pazienza di aspettare il giusto tempo per raccogliere i frutti del suo paziente lavoro.

Dobbiamo impegnarci pazientemente con tutte le forze per risolvere i problemi con i propri mezzi e le con le proprie capacità. Dio interviene solo in pochi casi se siamo in difficoltà, ma a patto di esserci impegnati al massimo. Non ci regala il Suo aiuto, senza la nostra collaborazione: ama le persone tolleranti e di buona volontà e sopporta i parassiti – in fondo son sempre figli Suoi – che si aspettano l’aiuto dal Cielo senza muovere un dito, come se tutto fosse dovuto. Però, a volte anche i Santi perdono la calma, quando si tira troppo la corda.

Nel malaugurato caso che si perdesse la pazienza, Francesco, il protagonista del mio nono libro dal titolo “Francesco, l’uomo che dava del tu alla vita”, nel corso della sua esistenza, avrebbe consigliato di:

1. lasciar perdere e di non arrabbiarsi per futili motivi e senza senso;

2. prendere tempo e contare almeno fino a dieci prima di reagire e agire;

3. cercare di non essere troppo pignoli e far finta talvolta di essere ciechi e

sordi, ma entro i limiti della decenza per non passare per fessi;

4. rilassarsi e pensare ad altro;

5. pensare alle conseguenze che potrebbero scaturire dagli scatti di ira;

6. capire i motivi della perdita della pazienza e valutare se ne è valsa la pena

di aver reagito in quel modo;

7. inculcare il concetto che ogni azione richiede il suo tempo;

8. affidarsi a San Camillo De Lellis che è il protettore della pazienza;

9. convincersi che il mondo non è stato creato in un solo giorno;

10. bisogna non augurarsi che la pazienza, messa troppo volte in gioco,

diventi rabbia. Le parsone buone e pazienti, quando perdono la pazienza,

diventano peggio dei peggiori cattivi.

Chiudo con una battuta del grande Totò di una scena di un suo film. Totò ne panni di medico gira tra i reparti dei ricoverati. Un paziente va in incandescenza, così Totò si rivolge a lui e gli dice:

Ma signor paziente, abbi pazienza perché se lei non ha pazienza che paziente è? Abbi pazienza!!!

Buona vita

Ah, sebbene gli esempi di soggetti pazienti siano tanti, ne cito qualcuno come il pescatore con la canna, il ragno … la mamma che ascolta i figli. Lascio a voi il compito di allungare la lista.

25 Novembre 2022: Giornata mondiale contro la violenza sulle donne

La violenza sulle donne è, purtroppo, un problema annoso e delicato e mai risolto finora alla radice. Non è di facile soluzione immediata, in quanto i casi sono infiniti e tutti diversi l’uno dall’altro e quasi sempre cominciano in ambienti familiari. I casi denunciati sono molto pochi per pudore e per cattiva reputazione verso l’opinione pubblica.

Le leggi finora emanate hanno ridimensionato il problema, ma, se non si cambia la mentalità delle persone coinvolte, non si arriverà mai alla definitiva conclusione del fenomeno. Puoi legiferare come e quanto vuoi, però, se non cambi la testa dei violenti, si è sempre punto e daccapo. Pensare di riuscire a capire il pensiero umano equivale a dire che il mare finisca all’orizzonte.

Comunque, non bisogna mai girare la testa dall’altra parte e ignorare per non far finta di non voler vedere. Il semplice fatto che si festeggi questa giornata e se ne parli ogni anno è positivo per sperare in un cambiamento radicale, ammesso che possa esserci, ma è sempre bello pensare in positivo.

I casi sono talmente tanti e diversificati tra di loro che talvolta qualcuno di noi diventa spettatore involontario di situazioni critiche, che, prima o poi, potrebbero sfociare in violenza, se non si intervenisse in tempo reale e in modo categorico per dare l’esempio e la sicurezza che lo Stato c’è e funziona.

Tante avvisaglie premonitrici fanno capire che una coppia è scoppiata. Ma come si fa a mettere il becco nella loro relazione per non essere accusati di ingerenza in fatti che non ci appartengono? Solitamente ognuno si fa i fatti propri a meno di casi molto gravi ed eclatanti! Però, i fatti della pentola li conosce solamente il mestolo!

Io non mi reputo una persona esperta e documentata sulla psiche e sui comportamenti umani, però, ne ho capito qualcosa in merito attraverso l’osservazione acuta degli atteggiamenti degli animali.

In natura – allo stato libero – si formano tante coppie di animali che durano tutta la vita per il bene loro e della specie. Li definisco monogami nei fatti; ne cito qualche nome: il pappagallo, il cigno, il castoro, il gufo … l’elenco continua. Conoscendoli e osservandoli bene, ci danno tante lezioni di vita sul loro rapporto di convivenza, vivendo semplicemente la loro normalità.

Io vi ho trovato il segreto della durevolezza della loro unione. Fate come me a osservarli e capirete che non è poi così difficile stare al mondo. Se gli animali sanno stare bene insieme, vivendo in amore e in accordo, perché non dovrebbero farlo anche gli umani? Gli esseri umani hanno il dono dell’intelligenza e tanti non l’usano o lo fanno in modo sbagliato: copiare gli animali una volta tanto non è regressivo o offensivo.

Buona vita dal vostro amico scrittore Carmine Scavello


1 Novembre 2022:  Impressioni di NOVEMBRE

Per tanti novembre, in generale, è un mese mesto: le giornate sono più corte, più piovose, più umide e più uggiose; la natura si prepara ad affrontare il lungo letargo invernale. In compenso regala a tutti degli eventi che ci interessano più da vicino. Eccone due!

La festa di Ognissanti dà a coloro che non hanno il proprio nome stampigliato sul calendario di festeggiare l’onomastico. Ci ricorda che tutti sulla carta abbiamo la possibilità di essere santi; nasciamo liberi e innocenti, ma col peccato originale che il battesimo cancella. I santi nascono come persone comuni: sono il loro percorso di vita esemplare e la fede profonda che li rendono beati e meritevoli di essere citati giusti e puri davanti Dio e gli uomini. Solo la comunione col Signore consente loro di fare i miracoli, come premio alla loro condotta immacolata.

Non è facile essere santi per chi vive nel quotidiano – qualche volta peccando – e non si priva dei piaceri terreni. Per tutti gli altri comuni mortali, invece, è un dovere morale essere buoni e ubbidire alle leggi della buona coscienza, compiendo opere di bene e rispettare e amare il prossimo come se stessi.

L’altro evento è la ricorrenza dei defunti. Per chi non va spesso al cimitero, almeno questo è il giorno buono di fare una visita ai propri cari passati a miglior vita. La commemorazione ci ricorda che le persone che amiamo, e che ci hanno lasciato, non sono sole – come si crede – e solo nel luogo di sepoltura, ma continuano a vivere dentro di noi, ovunque noi andiamo.

I saggi ammoniscono che non dobbiamo essere tristi perché i nostri cari ci hanno lasciato per passare a miglior vita – come si dice in gergo – ma, dobbiamo essere lieti perché con loro abbiamo condiviso un pezzo, più o meno lungo, della nostra vita in comune. Aggiungono a riprova del loro ammonimento che: Nessuno muore mai del tutto; c’è sempre qualcosa di lui che rimane nel cuore di coloro che ha amato, e da cui è stato riamato, e che non esiste separazione definitiva, fin quando dura il ricordo.

Questa giornata celebrativa che ci rende tutti uguali alla fine dei nostri giorni ci rammenta che: La morte è un’ombra che segue sempre il corpo. E’ ciò che evoca un famoso proverbio inglese. I benpensanti ammoniscono che: la vita è così breve e che il mestiere di vivere è così difficile che, finalmente quando si comincia a imparare, purtroppo, è tempo di lasciare questo mondo. Mi viene in mente la poesia del grande Totò “La livella”. Ciò mi fa pensare che quando si varca, senza ritorno, quel cancello diventiamo orizzontali e tutti uguali ed entriamo nel mondo dei più.

Compare Gennaro diceva a proposito: Non è più grande chi occupa grandi spazi quando è vivo, bensì colui che lascia grandi vuoti quando non c’è più. Intendeva dire che ognuno ha il dovere di fare della sua vita un capolavoro e lasciare una traccia indelebile del suo passaggio terreno per essere ricordato come una brava persona amante del bene e rispettoso del prossimo. Aggiunse, in parole povere, che: alcuni individui accumulano tante ricchezze nel corso della loro vita come se dovessero portarsele con loro nell’aldilà e dimenticano che non sono eterni e tutto ciò che costruiscono sulla Terra rimane agli eredi che faranno festa con le sue ricchezze. Quindi consigliava che: è meglio vivere ricco che morire ricco! Infine, ripeteva spesso: morto io, morto il mondo! Do una mia interpretazione: Con questo motto si augurava di essere ricordato, giacché il mondo non può morire.

 BUONA vita dall’autore Carmine Scavello

25 Ottobre 2022:  Guerra e pace – “Occhio per occhio rende il mondo cieco” (Gandhi)

Carissimi/e,

se tutte le parole, che si scrivono e che sono state scritte e pronunciate a favore della pace e della concordia tra i popoli fossero lette e ascoltate dai belligeranti sul campo, questi ultimi si farebbero un esame di coscienza e capirebbero che le guerre non sono eterne. Comprenderebbero che i morti e le rovine resterebbero a testimonianza della loro scelleratezza e cocciutaggine. Alla fine, si ristabilirà l’equilibrio rotto, ma tanti si leccherebbero le ferite. Poi, ci vorranno anni e anni per dimenticare le offese e ritornare amici come un tempo, ammesso che si metta una pietra sopra e si sotterri l’ascia di guerra per sempre.

E’ chiaro a tutti che ci sono aggressori e aggrediti, però, se viene messo di mezzo l’orgoglio, ogni tentativo di pace finisce prima di cominciare gli incontri pacificatori. I mediatori avrebbero pane per i loro denti se le loro parole spese a favore della riappacificazione rimbalzassero indietro come una palla di gomma lanciata contro un muro di cemento. Solo la saggezza può far cambiare idea, la testardaggine – intesa come negazione – mai.

Se i belligeranti facessero finta che non sia successo nulla, la loro tesi non starebbe in piedi: ormai l’odio è entrato nei cuori di chi ha perso qualcuno in guerra. A quest’ultimo è crollato il mondo addosso: una morte innocente piange sempre vendetta e l’odio coverà sotto la cenere. Dire all’oppresso porgi l’altra guancia, non se parlerebbe nemmeno; semmai ti risponderebbe occhio per occhio e dente per dente. E’ così che cominciano le faide tra i popoli e ci saranno sempre più orbi e sdentati.

Fin quando il torto e la ragione si fronteggiano, nessuno fa un passo indietro. Chi dei due capi andrebbe dal suo popolo e direbbe: mettiamoci una pietra sopra! Le rovine e i massacri non si possono cancellare con una spugna. L’offeso vuole giustizia; l’offensore dice che è stato indotto a dichiarare la guerra per riavere quello che prima era suo. Abramo Lincoln affermava: “Ogni volta che c’è un conflitto tra diritti umani e di proprietà, i diritti umani devono prevalere”.

Come uomo di strada dico la mia: contendenti fermatevi subito prima che le condizioni precipitino e cadiamo in un vortice senza ritorno! Continuare a combattere una guerra insensata vuol dire aumentare l’agonia di un popolo e nel contempo far pagare le conseguenze della guerra anche a coloro che le subiscono indirettamente, diventando sempre più poveri con le sanzioni, le restrizioni, gli aumenti dei prezzi delle materie prime e la chiusura delle aziende.

Comunque, è giusto non girare la testa dall’altra e non dire che non è un problema nostro. Se un pazzo premesse il bottone sbagliato, tutta l’umanità sarebbe in serio pericolo. Viviamo su una polveriera atomica e ciò dovrebbe far ragionare i belligeranti a cercare un punto d’incontro, prima che sia troppo tardi. Al momento, abbiamo solamente questo unico pianeta su cui vivere: perché si dovrebbe distruggere solo per il volere di pochi, assetati di potere?

Buona vita, Carmine Scavello

 

8 Ottobre 2022:  Convegno annuale dell’ALA a Pavia
Cari amici,
di solito i ringraziamenti si fanno alla fine della lettera, ma io stravolgo la regola e dico subito: grazie ALA per la perfetta organizzazione! Nulla è stato lasciato al caso e, come sempre, tutto è filato liscio come l’olio, grazie all’amore e alla passione che ci mettono i tuoi organizzatori del consiglio.
Finalmente siete riusciti a organizzare il convegno annuale in presenza: non vedevamo l’ora di salutare i vecchi amici e di trascorrere con loro, serenamente, una bella giornata come ai vecchi tempi. Il periodo di pandemia è stato duro per tutti e, ora che si è aperto questo spiraglio, sarebbe stato un vero peccato non potervi partecipare in massa.
Il presidente Daniele Roderi ha comunicato che eravamo in 120 e ha dato anche la bella notizia che il numero degli iscritti è aumentato: supera di una buona spanna la quota di 300 soci.
Nei giorni precedenti l’evento, ho chiesto a degli ex colleghi – normalmente presenti – se fossero venuti al convegno e sono rimasto deluso dalla risposta che ho avuto da qualcuno. Mi è stato detto: che ci vengo a fare! Ho già visitato Pavia e la Certosa in programma, perciò preferisco fare altre cose più interessanti. Gli ho risposto: tu non hai capito lo spirito della partecipazione; si va al convegno per ritrovare l’atmosfera di un tempo e per rievocare i bei momenti vissuti insieme.
Ecco il mio pensiero. I luoghi da visitare passano in secondo ordine rispetto alla gioia che si prova nel riabbracciare simbolicamente e salutare calorosamente i vecchi compagni di lavoro con cui abbiamo condiviso un pezzo della nostra storia. Non ho parlato nella lettera volutamente dei luoghi visitati, in quanto sui motori di ricerca si trovano notizie più dettagliate della mia eventuale descrizione. Ora che ci ritroviamo accomunati dalla stessa giornata di festa è bene salutare tutti e presentarsi a coloro con cui abbiamo avuto in comune pochi o nessun rapporto di lavoro: L’azione di chiedere come si chiamano e in quali reparti hanno lavorato è la chiave per rompere il ghiaccio e presentarsi con semplicità e in pena libertà a sua volta a costoro, che abbiamo conosciuto solo di vista e che non abbiamo mai salutato e solo per una forma di riservatezza e di distacco; eravamo circa tremila dipendenti all’inizio, per poi calare piano piano di numero.

    Posso affermare che, col passare del tempo, la memoria non aiuta a ricordare di alcuni i nomi e l’occupazione svolta in azienda, quindi rivolgere loro un cordiale saluto è il mezzo che ci consente di riallacciare i rapporti vecchi e di crearne dei nuovi. È in questi contatti umani e amichevoli che bisogna ricercare lo spirito che ci accumuna nell’associazione e che ci fa sentire membri di un unico gruppo solidale senza scopi di lucro.
Apro una piccola parentesi. Quando eravamo in attività per lo stesso logo, si creavano, purtroppo, momenti di astio, di incomprensioni, di gelosie e di antipatie; ora che il tempo ci ha messo un velo sopra, sarebbe l’occasione giusta di porre fine a quei rancori e stringersi la mano da buoni amici e dare un calcio a quel passato. Dico ciò – sottovoce per una forma di riservatezza – perché più di una volta, durante precedenti convegni, ho assistito a scene antipatiche di persone che si evitavano volutamente e io sapevo – personalmente o da fonti sicure – che erano in rotta da tempo per liti e questioni mai chiarite. Hanno lasciato l’azienda portandosi dietro il rancore: il convegno annuale è il momento giusto di usare l’intelligenza per vincere i risentimenti, metterci una pietra sopra e far prevalere l’amore sull’odio. Siamo quasi tutti pensionati e la vita ci ha livellati!
Quando mi sono iscritto al convegno, mi sono tornati in mente alcuni vecchi amici, che sono saliti in cielo prematuramente durante la pandemia. Così, ho pregato per la loro anima e me ne sono fatta una ragione per non poterli più incontrare durante il convegno. Più di un tavolo, precostituito per consuetudine da anni, d’ora in poi, avrà un posto vuoto simbolicamente.
Torno alla visita guidata. Rivedere i luoghi proposti per la visita guidata non è mai la stessa cosa: essi non cambiano mai, siamo noi che col tempo cambiamo le nostre emozioni, i nostri sentimenti e il modo di pensare, di agire e di comportarci. Basta una guida nuova o la compagnia diversa per creare nuove situazioni e vedere i luoghi artistici sotto un altro aspetto. I giorni non sono tutti uguali per sentire le stesse sensazioni. Raccomando ai soci di intervenire numerosi ai prossimi convegni annuali, qualunque siano i luoghi che l’ALA ci proporrà: l’importante è partecipare; il resto è tutto cornice alla giornata di festa collettiva.

Buona vita e un caro saluto dall’autore Carmine Scavello.

 Ah, se volete leggere altri commenti di convegni precedenti, basta scrivere su Google “Carmine Scavello le sue storie “e fate scorrere. Vi si aprirà davanti gli occhi, come per magia, un mare di parole; navigate dolcemente su questo mare e fermatevi in un porto qualunque a leggere una sua storia. In qualunque momento ci saranno altri porti in cui fermarvi e altre storie interessanti di vario argomento da leggere e rileggere: c’è solo l’imbarazzo della scelta! Provare per credere. Non ho mai illuso e deluso nessuno; chi mi ha conosciuto come autore non mi ha più abbandonato e non lo dico per superbia, ma per realtà dei fatti.

 Nella stessa pagina di Google mi conoscerete sotto la veste di autore di otto libri già pubblicati e vi anticipo che altri libri sono già pronti per vedere la luce nei prossimi anni. Se volete avere in mano qualcosa di più sostanzioso, leggete uno dei miei libri e non vi pentirete della scelta. Potrebbero essere un’ottima idea regalo che farà felici voi che donate e il fortunato ricevente.

Contatti: mail carminescavello@yahoo.it ; Facebook

2 Ottobre 2022:  Festa dei Nonni
I nonni, figure straordinarie, impagabili e insuperabili.
Ho chiesto a dei bambini come giudicano i nonni dal loro punto di vista e mi hanno risposto che sono le persone più buone del mondo. Poi. uno di loro mi disse: pensi anche tu la stessa cosa sul loro conto? E io quale risposta avrei potuto dargli? Naturalmente risposi che ero d’accordo con lui e ci aggiunsi pure che sono individui meravigliosi, insostituibili e ineguagliabili.
D’altronde l’unico nonno che ho conosciuto – quello paterno – mi ha suggerito tale risposta, pensando al suo comportamento esemplare. L’altro nonno e le due nonne sono saliti in cielo prematuramente, senza aver avuto il piacere di godermeli.
Un tempo l’età media era più bassa di quella di oggi, in quanto le condizioni ambientali e la qualità della vita erano carenti dal punto di vista medico e sanitario e dei sacrifici immani a cui erano sottoposti dalla vita.
Quei bambini mi dissero pure che la cucina dei loro nonni era sempre aperta e che li viziavano con cibi sfiziosi; li lasciavano liberi di toccare tutte le cose della casa e non ne erano gelosi. E pensare che ai loro figli non permisero di fare le stesse cose. Anzi, i nonni giocavano con loro e ritornavano anch’essi bambini. In generale, i nonni sono più elastici dei genitori e, quando è l’ora della nanna, non fanno troppe discussioni come i loro figli e li fanno stare con loro a guardare insieme la televisione o ad ascoltare le storie per incantarli.
Vien da pensare, con cognizione di causa, che non esistano complici migliori e disponibili dei nonni, che amano immensamente i nipoti; rappresentano la continuazione del casato e su di loro hanno affidato le loro speranze per continuare il lavoro da loro iniziato.
Solitamente tutto ciò che viene proibito dai genitori viene tollerato dai nonni. Se il genitore proibisse o punisse i figli costoro non lo rinnegherebbe e rispetterebbero il suo ruolo di insegnare le regole e di prendersi cura di lui. Se lo facesse il nonno verrebbe visto come l’orco cattivo che ha tradito la loro fiducia.
Quindi alla luce dei fatti, sono pochi i nonni che sgridano o puniscono i nipoti, né li picchiano per non essere giudicati cattivi. Il loro rapporto, in fondo, è solo di secondo grado. Più che parenti, i nonni vengono visti come amici con i quali giocare e relazionare.
La complicità consiste nel fatto che i nipoti vengono viziati e coperti di regali e di coccole per farseli amici. Per giustificare l’amore concentrato dei nonni lo devo al fatto che il tempo non gioca a loro favore: i nipoti diventano ben presto adulti e i nonni invecchiano velocemente.

Buona vita dall’autore del testo. Un caro saluto Carmine Scavello

Ah, nel mio quarto libro pubblicato ho dedicato un capitolo intero ai nonni.

2 Giugno 2022:  Festa della Repubblica

Per sentirci veramente Italiani sotto un’unica Repubblica occorrerebbero più giustizia, più legalità, più senso civico, più patriottismo, più rispetto della cosa pubblica, … più senso del dovere.

Sto chiedendo troppo? Non direi. Basterebbe che ogni cittadino si sentisse fiero di far parte del nostro popolo e contribuisca al benessere collettivo come richiama la nostra Costituzione, secondo le proprie possibilità e il rispetto dei ruoli.

Chi ha in mano le leve del potere agisca come un buon padre di famiglia per far quadrare i conti e gestire al meglio le risorse disponibili e abbia una visione più lungimirante del futuro.

Mi ha colpito una frase ascoltata, casualmente, e proferita da un uomo seduto a conversare con gli amici a un tavolino di un bar, che diceva testualmente:

. gli Italiani sono al verde;

. passano le notti in bianco per le preoccupazioni;

. hanno il conto rosso in banca.

Cosa si può rispondere a quell’uomo? La Repubblica si potrà risollevare se tutti remassimo nella stessa direzione; se tutti dessimo a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare; se ognuno facesse mea culpa dei danni arrecati alla collettività; dicesse di voltar pagina; e promettesse di essere un cittadino modello, rispettando le regole del vivere civile.

Facendo cose straordinarie? No, vivendo la propria normalità e restando nei propri confini, che gli garantisce la Repubblica, senza invadere quelli degli altri. Lo so, è solo utopia. Ci vorrebbe il miracolo che la Stella, rappresentata nello stemma, illumini le menti di tutti gli Italiani per farli sentire fieri dell’appartenenza e concorrere al suo prestigio.

La Stella è circondata dall’ulivo, che è messaggero di pace, e dalla quercia, che rappresenta l’emblema della forza e della dignità del popolo intero, per il quale tanti suoi figli hanno versato fiumi di sangue per portare la Nazione allo stato attuale.

I nomi di quei cittadini sono incisi su targhe di marmo collocate sui monumenti ai caduti di ogni borgo, paese e città. Ogni comunità ricorda i suoi eroi che hanno sacrificato la propria vita per la Patria. Il Presidente della Repubblica li ricorda tutti ponendo una corona di fiori davanti il monumento del Milite Ignoto.

Buona festa della Repubblica e buona vita dal vostro amico scrittore Carmine Scavello

8 maggio 2022:     Festa della mamma 
di colei che è mamma; di coloro che hanno ancora una mamma; di coloro che hanno una mamma perennemente nel cuore; di chi sta per diventare mamma – per tutti i figli del mondo.

Comincio con una frase significativa che mi è rimasta immortalata nella memoria. L’ho sentita la prima volta proferire da una saggia vecchietta del mio rione, considerata la nonna di tutti, in quanto faceva da balia ai figli di quelle mamme che di giorno andavano a lavorare in campagna. Ecco cosa asseriva: Un padre può rinnegare e scacciare un figlio scapestrato per il disonore; fratelli e sorelle diventare nemici e odiarsi per beghe familiari o per la proprietà; un marito o una moglie possono rompere il loro rapporto matrimoniale e affettivo; una mamma, invece, non abbandonerà mai un figlio e non farà mai calare il sipario sulla loro relazione di sangue. Questa mamma ossequia il detto che: ella viene al mondo per perdonare! Dispensa amore al posto di Dio, che l’ha nominata Sua vice,in quanto non poteva fare da solo tutto Lui.

Quella signora, diversamente giovane, conosceva il mestiere di mamma e di nonna: aveva messo al mondo tanti figli e si era fatta le ossa, insegnando il rispetto, l’educazione e le buone maniere, dando prima di tutto l’esempio; predicava bene e non razzolava male per essere credibile. Nei panni di mamma era stata sempre in grado di affermare che un sì e un no, detti in maniera decisa, educativa e persuasiva, non devono lasciare ombra di dubbio per non creare confusione tra il lecito e l’illecito.

Mi sono chiesto come facciano due mamme di Paesi e lingue diverse a parlare tra di loro dei propri figli e farsi capire senza perdere il filo del discorso; sicuramente è un sesto senso che le guida e che gli altri esseri umani non posseggono, se non sono mamme anche loro.

Tutte le mamme sono orgogliose quando i figli fanno carriera e migliorano il loro benessere e lo stato sociale; contrariamente, soffrono se un figlio rimane indietro nella società e per lui darebbero la vita pur di far migliorare le sue condizioni e di far cambiare la direzione del vento della fortuna in suo favore. Giusto o sbagliato che sia, non sta facendo differenze; sta solo aiutando umanamente chi è rimasto più indietro nella scala sociale; costui può sperarlo solamente che lo facesse la sua mamma e non qualcun altro!

Quando ero ragazzo e mi sentivo triste, mia madre capiva al volo il mio stato di malessere momentaneo e mi diceva: chiudi gli occhi e pensa alle cose più belle che ti sono capitate o ai sogni che vorresti siano realizzati; il giochetto funzionava a meraviglia come per magia, in quanto lei sapeva trasmettere sicurezza e colorare i pensieri negativi. Riusciva a spandere ottimismo e a portare un raggio di luce nel buio della vita.

Ora che sono adulto e lei non c’è più da un pezzo è come se non fosse mai andata via dalla mia vita e da questo mondo, che ella ha cercato di migliorare col suo esempio positivo e lungimirante. Pensare a lei, in certi momenti di difficoltà, dà quella carica energetica di reagire e avere la sensazione di non essere solo; è come se fosse ancora al mio fianco a consigliarmi e a coccolarmi. Sono le stesse parole di tanti di noi che nel momento del pericolo non facciamo altro che dire: mamma mia aiutami tu!

Come è strana la vita! Forse lo sembra, ma non lo è; se ci riflettiamo bene mamma è la prima parola che pronunciamo quando impariamo a parlare e in certi momenti di pericolo. Non c’è modo di ringraziare la mamma e ripagarla di tutte le premure; quello che fa per un figlio è impagabile; può mantenerne un numero imprecisato e un numero imprecisato di figli non riesce a mantenere una mamma; lei lo sa e non se ne fa un problema o un dramma; accetta la situazione e non impreca contro nessuno, sarebbe come imprecare contro se stessa, in quanto quei figli sono una parte di lei.

Un ringraziamento a tutte le mamme di sempre e buona vita dall’amico scrittore Carmine Scavello

“25 Aprile: Festa della Liberazione”

Mi limito nella narrazione per non annoiarvi troppo con la sua lettura: l’argomento è talmente vasto e richiederebbe troppi fogli per parlarne più dettagliatamente.

Non vorrei dire un’eresia se dicessi che noi Italiani non abbiamo una Festa Nazionale che sia festeggiata da tutti con orgoglio e passione, senza remore e rancori tuttora non dimenticati da parte dei vinti e dei vincitori. Guardo con un po’ di invidia i Francesi che festeggiano il 14 luglio – Bastille Day, presa della Bastiglia nell’anno 1789 – e gli Americani che inneggiano al 4 Luglio – Independence Day, che commemora la Dichiarazione dell’Indipendenza che avvenne nel 1776. Volendo, noi saremmo come loro o migliori di loro, se ci sentissimo un popolo unito sempre e non solo in caso di calamità o di vittorie sportive.

Mio zio Mosè, fratello di mio padre, è morto in un campo di prigionia in Germania. Il suo nome, insieme a tanti altri sventurati come lui, è inciso in una lastra di marmo in bella mostra sul Monumento ai Caduti delle guerre mondiali. In tanti anni ho visto solo pochissimi giovani che si siano fermati a leggere quei nomi, come se non fossero appartenuti alla loro comunità, né chiedersi perché fossero ricordati in quell’elenco. Aggiungo che la libertà non è un bene acquisito per sempre; viaggia in modo precario sulla lama di un rasoio e potrebbe perdere l’equilibrio e cadere da una parte o dall’altra a seconda del periodo storico, favorevole o sfavorevole.

Il 25 Aprile per alcuni è una semplice data del calendario; per la stragrande maggioranza della popolazione italiana, invece, è una parte essenziale della nostra storia moderna: è da quel giorno del 1945 che possiamo sentirci più liberi. Il saggio direbbe che: è meglio la peggiore delle democrazie che la migliore di tutte le dittature; essere liberi, mentre altri non lo sono è solamente una concessione che fa aumentare le distanze e creare differenze. La libertà è come l’aria che respiriamo: ci accorgiamo della sua mancanza quando qualcuno dovesse soffocarla.

La libertà è un concetto astratto che diventa materiale quando ci consente di muoverci liberamente ed esprimere il nostro pensiero: non vuol dire fare ciò che si vuole, perché ha dei confini stretti da non superare per non interferire con quella degli altri. Anche l’uomo più ricco del mondo con tutti i suoi soldi non può fare quello che vuole: le regole di buona convivenza esistono anche per lui e deve capire che l’importante è essere e non apparire. Barattare la dignità non è da tutti; così pure la libertà! Spesso l’incubo del bisogno limita la libertà.

Una persona si sente veramente libera quando si svincola dai pregiudizi, dalle apparenze, dai giudizi altrui, dai sensi di colpa e dalla paura di sbagliare e di parlare.

Buona vita dal vostro amico scrittore Carmine Scavello

11 marzo 2022: gita in Liguria

11-12-13 marzo 2022: “Alla scoperta delle inedite meraviglie della Liguria”. Luoghi visitati: Finalborgo, Castelvecchio di Rocca Barbena, Principato di Seborga, Bordighera, Dolceacqua; Cervo, Sanremo, Savona .

Non descrivo volutamente questi luoghi caratteristici e ameni, citati nel titolo, in quanto la rete li spiega meglio di me e ci aggiunge pure interessanti notizie storiche e vicende umane. E poi, farei l’errore di dedicare più spazio ad alcune località e meno ad altre; così, lascio ai lettori la libertà individuale della lettura sui siti riservati ai suddetti luoghi.

Le località sono tutte meritevoli di essere menzionate per il loro aspetto culturale del nostro patrimonio artistico nazionale. Sono tutte presentate con l’appellativo di Borghi più belli d’Italia; io convengo che la scelta sia giusta e rispondente alla verità. Quello che io ho visto con gli occhi viene illustrato con le immagini e arricchito di didascalie pertinenti nei loro siti.

Senza fare un torto ad altri territori, altrettanto belli, del nostro patrimonio artistico, paesaggistico, storico e naturale, dico che non visitare i luoghi, citati nel titolo, si farebbe un torto al creato e all’ingegno umano. È vero che l’uomo li ha valorizzati, però, sono stati la loro bellezza e la posizione geografica e strategica a farne la sua dimora e a trasformarli in museo a cielo aperto. Colli e colline anonime sono diventati mete turistiche grazie al lavoro dell’uomo, che nel tempo li ha popolati e valorizzati.

I borghi dell’entroterra un tempo erano molto popolati per merito delle famiglie numerose, che vi dimoravano stabilmente; oggi, si vedono molti usci chiusi, pochi bambini rincorrersi per le vie e cartelli in vendita come case di villeggiatura. Adesso, mettere su un’attività commerciale o artigianale proprio in quei posti, lontani dalla costa, non è il caso: ci sono pochi abitanti stabili e i pochi negozi rimasti aperti lo sono per la fermezza dei proprietari di restare radicati al proprio paese e che non vogliono emigrare per un fatto puramente affettivo.

È stato un onore e un piacere visitare questa regione – ricca di storia, di tradizioni popolari, di arte, di cultura e di orgoglio – che si estende in lungo tra il Mar Ligure e la linea che delimita le cime delle montagne. Ovunque si vedono panorami mozzafiato, che si perdono nell’infinito, dove il cielo si abbraccia col mare e con la Terra. Ogni fazzoletto di spiaggia è stato sfruttato dall’uomo per trarne benefici economici, offrendo, in cambio, un servizio ai bagnanti e agli amanti del mare.

Alle spalle della Statale Aurelia – che l’attraversa per tutta la lunghezza – abbellita di alberghi, ville, monumenti e da attività umane si estende il territorio dei piccoli allevatori e dei contadini, che lottano contro l’asprezza del territorio, che non offre vasti terreni coltivabili e non trattiene la poca acqua piovana che scivola a valle.

Ma ahimè, di acqua in certi periodi dell’anno ne scende dal cielo talmente tanta che i torrenti si gonfiano a dismisura e allagano i centri abitati, situati a valle. Non do la colpa ai corsi di acqua, bensì agli uomini che nel tempo hanno ridotto ai minimi termini il letto degli innocenti torrenti. Chi è causa dei suoi mali pianga se stesso! Purtroppo, il bisogno non fa prevedere, ma provvedere. Ho visto su un muro a Finalborgo una riga che segnava l’altezza dell’acqua raggiunta durante un’alluvione.

Data la poca terra coltivabile, sono nati, perciò, i terrazzamenti – chiamati localmente fasce -, una bella soluzione per rendere coltivabili in orizzontale terreni scoscesi. L’abilità sta nel costruire muri di sostegno, incastrando le pietre una nell’altra senza bisogno di malta o di cemento e creare delle terrazze con l’aggiunta di terriccio. L’acqua piovana filtra attraverso i sassi e non arreca danni alle strutture murarie.

La nostra guida – Silvana Minuto, originaria di quella regione -, che ci ha fatto compagnia per tre giorni interi, ci ha descritto in modo impeccabile le bellezze artistiche e naturali; noi le vedevamo con gli occhi e le apprezzavamo col cuore, mentre lei le spiegava con tanto orgoglio. Avrebbe voluto darci tante altre notizie: parlava come un’enciclopedia vivente e non era avara di parole nell’erudirci. Solo il tempo era una limitazione alla diffusione del suo sapere. Per tutto il periodo ha organizzato le visite nei modi e nei tempi stabiliti dal programma.

E’ giusto parlare anche dell’autista Fernando della ditta di autotrasporti Origgi di Carugate. Si è messo a nostra disposizione puntualmente agli orari convenuti senza mai protestare o dare segni di nervosismo. La sua è stata una guida pacata su quelle strade collinari; nessuno ha sofferto il mal d’auto e ce ne sarebbe stato motivo.

Mi hanno sempre parlato finora dei Liguri come avari; invece, ho capito che tutto il mondo è paese: li considero, invece, parsimoniosi, in quanto si sono dovuti adattare alla scarsità di risorse, che offriva il territorio e fare di necessità virtù; è brutto, però, avere la nomea di spilorci. Hanno pensato che fosse più importante l’uomo oggi che la gallina domani. In Italia di comunità col braccino corto ce ne sono tante.

L’ulivo, la vite e qualche albero da frutta la fanno da padroni, senza dimenticare gli ortaggi e in particolare il basilico usato per fare il pesto. La coltivazione dei fiori si presta per l’ottimo clima; per questo la Liguria è chiamata anche “Riviera dei fiori”. Non mancano le palme, che qui hanno trovato il loro ambiente naturale; e pensare che vi maturano anche le banane. Se Sanremo è la città dei fiori; Bordighera è la città delle palme.

Grandi artisti, regnanti, magnati e gente dell’alta borghesia hanno scelto questa regione come luogo ideale per viverci stabilmente o venirci in vacanza. Gli abitanti del Nord vengono qui a svernare. Un richiamo lo fanno anche il Festival di Sanremo e una corsa ciclistica famosa che parte da Milano e che apre la stagione competitiva di questo sport.

La presenza di molte chiese nei centri abitati mi ha suggerito di pensare che il popolo fosse religioso e timorato di dio. La ricchezza di tanti quadri, di statue e di altari finemente addobbati e rifiniti mi fa pensare che i Liguri non fossero tirchi come si dice. Un confratello di un oratorio ci ha fatto notare una frase scritta all’uscita della chiesa, a proposito dei lavori di restauro: I ricchi hanno le idee, i poveri sono quelli che ci mettono i soldi!

Avrei voluto scrivere ancora parecchio in quanto l’argomento trattato è molto vasto e meritevole di arricchimento, ma mi devo fermare. Già c’è chi mi accusa di essere troppo prolisso.

Buona vita e buona lettura dal vostro amico e socio scrittore Carmine Scavello

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello:

18 Dicembre 2021 : Natale 2021

<< Aspettando il Santo Natale >> << Natale in allegria >>.
Introduco l’argomento festaiolo con una frase che condivido: Se volessimo rallegrarci una strada la troveremmo; se, invece, volessimo rattristarci mille scuse troveremmo in quanto siamo incontentabili e ce la prendiamo per un nonnulla. Non c’è spazio per la tristezza a Natale; questo giorno è dedicato alla nuova vita che nasce simbolicamente; ecco perché si chiama anche festa della Natività. Natale capita una volta all’anno, ma sarebbe bello se lo sentissimo tutti i giorni e rispettassimo il suo messaggio di amore e di bontà.

Se imparassimo a sorridere in automatico e senza sforzare la mente – come ci suggerisce il Santo Natale – un sorriso allegro donato con gioia, e non di circostanza, servirebbe a mettere in contatto ognuno di noi con le altre persone riceventi, perché parlerebbe la stessa lingua universale; trasmetterebbe il nostro buonumore, la nostra affabile personalità e il nostro dolce carattere senza ricorrere per forza alle parole.

È difficile rimanere impassibili e non ridere guardando una persona che ci regala un sorriso. Davanti una buona, sincera e sanguigna risata è quasi impossibile restare seri; così, quel sorriso regalato contagia positivamente il nostro umore; migliora enormemente l’euforia e fa aumentare di colpo il buonumore e la fiducia negli altri. Rompe il ghiaccio e crea empatia.

Incontrare per strada alcune persone tristi e vedere visi cupi e pensierosi – specialmente a Natale – ci fa capire che viviamo in un periodo storico con poca speranza nel futuro; ci aggiungo, pure, che la tristezza toglie la voglia di lottare e induce a pensare in negativo. In queste condizioni ci vorrebbe una cascata di allegria al giorno per rasserenare gli animi e far vedere il sole oltre le nuvole; basta un poco di zucchero e la pillola va giù. Perciò, chiediamo al Natale il miracolo di dipingere i pensieri negativi con i colori allegri dell’arcobaleno e con quelli figurati dell’ottimismo.

Ed ecco arrivare la festa giusta che apre il cuore all’allegria, in quanto questa attitudine ci insegna a stringere i denti nei momenti cruciali con la prospettiva di tempi migliori; rende la vita più sopportabile; fa vivere in pace col prossimo; fa gustare momenti di benessere fisico e mentale e gioire dei meriti legati all’attività professionale. Vengono in suo aiuto i detti popolari che enunciano: “Cuor contento Iddio l’aiuta; L’allegria scaccia il demonio perché ha paura della gente allegra”.

Se dovessi definire l’allegria, con poche parole, direi che è un impulso di gioia e di euforia insieme che si gusta attraverso il raggiungimento di un desiderio, della speranza di ottenere un bene o semplicemente di essere contenti di stare al mondo. Le persone di ogni tempo e di ogni luogo – allegre per natura o diventate tali come scelta di vita – dicono che se ridi il mondo riderà con te, ma se piangi piangerai da solo. Quindi, è meglio commiserare che essere commiserati!

Un giorno compare Gennaro alla vigilia di un Natale disse: Amici miei, se tutti gli uomini della Terra regalassero un sorriso almeno una volta al giorno, un contagio di allegria si espanderebbe a macchia d’olio sul nostro pianeta. Convincetevi che se risparmiate un sorriso ce ne sarà almeno uno che vi perderete per sempre: è il vostro che non sarà ricambiato! Aggiunse che una buona risata fa buon sangue e che un sorriso allunga la vita di un giorno.

È triste, però, vedere più maschere a Natale che a carnevale: si fanno auguri di circostanza e di facciata; per l’appunto, il saggio Ometto vestito di rosso e con la barba bianca insegna che donarsi agli altri, per elargire una parentesi di speranza e di voglia di vivere, dà la forza interiore di combattere le proprie battaglie con serenità, in quanto si ha la pace nel cuore. Non c’è un limite a donare, sapendo che si può dare di più, comunque e sempre.

Per fare un bell’albero di Natale occorrono pochi ingredienti: gli addobbi, un abete e la fede nel futuro. Quell’albero può essere anche simbolico e custodito nel proprio animo, purché gli si dia l’importanza che merita. È solo un simbolo materiale, però è legato al Natale per non far sentire le case spoglie e senza la calda atmosfera che produce la sua luce. Inoltre, ci comunica che se non sentiamo il Natale nel cuore non potremmo trovarlo sotto di lui nel cesto dei regali.

I benpensanti affermano che: Chi è arrabbiato con se stesso, con tutti e col mondo intero non sa essere allegro; la sua mente è piena di odio e ne trabocca da ogni poro. Quell’individuo è schiavo dei suoi stessi cattivi pensieri; vede intorno tutto nero e non crede nel messaggio del Natale; ha bisogno di un’iniezione di entusiasmo e di pensare che con la rabbia non si risolvono i problemi, ma solo con la mente lucida e la razionalità. Agli altri poco importa se egli è arrabbiato; tanto dicono: è un problema suo! Se invece, con animo sereno, cercasse un punto di incontro tante situazioni si potrebbero appianare e si ridurrebbero le distanze, a patto che si sotterrasse l’ascia di guerra.

L’allegria è l’ingrediente principale che compone la salute; infatti, si può affermare che chi vuol vivere e star bene, accetti il mondo così come viene. Cercare di cambiare gli altri è tanto difficile, però è più facile adattarsi agli altri e trovare un punto di equilibrio equidistante.

Per finire ricordo che il Santo Natale ci manda un messaggio prezioso: è meglio rallegrarsi per quello che si ha e che si è, piuttosto che rattristarsi per quello che non si ha e che non si è.

Buon Natale da vostro amico scrittore Carmine Scavello

Novembre 2021 : Gita a Bobbio e castello di Rivalta

Cari amici, vi invito a sedervi comodamente davanti una tazzina di caffè o una tazza di tè o a sorseggiare un bicchiere di Gutturnio o Ortrugo – vini tipici della zona geografia – con un piattino di salatini e patatine. Vi terrò compagnia per qualche minuto a leggere questa mia narrazione molto pacata, distensiva e ricca di tante curiosità sui luoghi turistici del titolo.

Con questa mia narrazione non parlo volutamente della storia, di arte pittorica e sculturale e delle opere architettoniche, in quanto non mi reputo uno storico e un critico d’arte. Sono uno scrittore osservatore della vita con la passione per l’etnografia e l’antropologia culturale e con l’amore per scrittura. Perciò, vi parlo delle curiosità e delle notizie particolari che ruotano intorno alla vita e alle attività del genere umano. Se qualcuno vorrà conoscermi come autore, ho già pubblicato sette libri dal 2013 e l’ottavo è in pubblicazione, mentre altri aspettano il loro turno. Sarò felice di autografarne le copie.

Veniamo alla gita. Sentii parlare la prima volta di Bobbio come luogo di ambientamento del film “I pugni in tasca” del 1965 di Marco Bellocchio, nativo del posto. Poi, a seguire come una delle prime città partigiane durante la guerra di Liberazione liberata dai nazifascisti; però, la libertà durò poco. In ultimo con la proclamazione come “Il borgo più bello d’Italia” nel 2019. La cittadina di Bobbio è famosa per il ponte sul fiume Trebbia, detto del diavolo. La leggenda dice che San Colombano ebbe l’esigenza di attraversare il fiume Trebbia, però fu impedito dal crollo del ponte di legno romano. Il diavolo, sentendo le sue parole, prese la palla al balzo e si offrì di costruire un ponte in muratura di undici arcate e lungo 280 metri in una sola notte. San Colombano era diffidente sulla sua celerità così accettò la scommessa con la promessa di riservare a satana l’anima del primo essere che l’avesse attraversato. Il diavolo in persona mantenne la parola data sebbene il ponte avesse delle gobbe, giustificate dall’altezza variabile dei suoi scagnozzi. Altra versione è quella che il ponte fosse gobbo e sghembo a causa di un calcio possente del diavolo per essere stato ingannato.

San Colombano ebbe un’idea geniale: quella di farlo attraversare dall’orso che gli mangiò il bue con cui trasportava il materiale per costruire il monastero. Ci sono più versioni su questo punto della leggenda: qualcuno dice che fu un cane, qualche altro una pecora; in pratica il diavolo deluso non si tenne nessun animale in quanto non provvisto di anima.

Alcune curiosità di Bobbio. Si racconta che a Bobbio vivesse un’anziana donna veggente di nome Vigena, che leggeva le carte e prevedeva il futuro delle persone: indovinava i numeri vincenti del lotto, se una donna fosse incinta prima di saperlo l’interessata e addirittura il giorno della morte del malcapitato. Dopo la sua morte le due figlie morirono di disgrazie e gli abitanti di Bobbio evitavano di camminare vicino la casa dove abitavano.

A Bobbio si usa citare molto un noto proverbio: Un pero non fa una mela; si intende che i discendenti diretti si assomiglino negativamente nei difetti dei genitori.

Anni fa circolava una leggenda metropolitana sui fantasmi di Bobbio. Sembra che una villa, sede di un orfanotrofio, fosse stata bombardata e vi perirono molti bambini orfani. I curiosi affermano che le automobili giunte in un punto in prossimità fermino i motori; che i vetri si appannino lasciando sui vetri impronte di mani di bambini; che si sentano voci di pianto come per chiedere aiuto.

In agosto dal 13 al 27 agosto si organizza a Bobbio il Film Festival; in questo periodo Bobbio si anima di attori, registi, critici cinematografici, addetti ai lavori, che è facile incontrare nelle vie del borgo e conversare con loro.

Se chiedeste a un bobbiese quali sono i piatti tipici vi risponderebbe: i pisarei e fasò – gnocchetti farina, pane raffermo e fagioli -; i maccheroni alla bobbiese – pasta ottenuta con ferro da calza e carne al sugo -; le ciambelle salate e le lumache in umido.

A Bobbio nei secoli scorsi il problema dei rifiuti alimentari – quelli solidi erano inesistenti per mancanza di carta e di plastica e degli imballaggi in genere in quanto i prodotti venivano venduti sfusi nel proprio contenitore – veniva risolto facendo circolare liberamente i maiali per le strade del borgo; divoravano tutto ciò che trovavano e si ingrassavano. Poi, venivano uccisi e la loro carne veniva distribuita ai poveri essendo carne pubblica.

Bobbio era famosa per la produzione del sale alimentare. Chiesi se c’erano miniere di salgemma e mi fu risposto di no. Ecco la vera ragione di questa fortuna. Un tempo la Pianura Padana era occupata dal mare Adriatico; in prossimità di Bobbio si formavano delle polle d’acqua molto ricche di sale marino. Bastava riscaldare l’acqua e farla evaporare; si ricavava circa un etto di sale per litro di acqua.

Un’altra curiosità sono le Maldive bobbiesi: nei pressi di Bobbio c’è una spiaggia – detta la Chiesetta – ricavata in un’ansa del fiume Trebbia con sabbia bianchissima e con l’acqua cristallina. Ma ahimè, a Bobbio sono preoccupati i cittadini, i canoisti e i pescatori in quanto il fiume Trebbia d’estate è quasi in secca per colpa delle dighe già costruite a monte e in costruzione.

Volto pagina per parlare anche del Castello di Rivalta non dal punto storico e architettonico, bensì delle curiosità a esso legate. Anche questo maniero come gli altri è legato al suo fantasma, anzi due: quello del cuoco Giuseppe pugnalato e strozzato e poi fatto trovare nel pozzo e quello di Pietro Zanardi Landi assassinato per l’eredità, sparito per un certo periodo e, poi, ritornato nel castello.

Si racconta che nel castello gli elettrodomestici impazziscono e si mettono in funzione da soli senza corrente elettrica, come le luci che si spengono improvvisamente e fanno i capricci; oltre alle porte che cigolano o rumori di camminata nei corridoi di notte.

Questo castello è abitato da un ramo della famiglia dei conti Zanardi Landi, che ospita membri delle famiglie reali d’Inghilterra e di Olanda; si presta per cerimonie, banchetti, matrimoni e meeting in un ambiente raffinato ed elegante.

Si ricorda il castello per il museo delle divise militari e per la conservazione di tre vessilli e undici bandiere risalenti alla battaglia di Lepanto issate sulle galere degli Scotti, avi della famiglia Zanardi Landi. Un bel ricordo lo lascia la sala delle 104 vedute ottiche originali di città europee e italiane del 1700 che al buio si accendono e creano un’atmosfera bellissima. La collezione è chiamata “Viaggio in Europa”; rappresenta la storia del figliolo prodigo che lascia la famiglia per raccontare un viaggio fatto tra l’Italia e le maggiori città d’Europa.

01-2-3 ottobre 2021 : Tour delle Marche 

Questa gita di tre giorni è stata vista come una liberazione dopo il fermo delle attività turistiche bloccate dalla pandemia Covid-19. Naturalmente, con tutte le precauzioni del caso e il green pass, è stato possibile portare a termine l’intero tour senza intoppi nei controlli burocratici. Il tempo ci è stato clemente per tutti e tre i giorni di permanenza in terra marchigiana.

Abbiamo visitato i centri storici di Fermo, di Grottammare, di Ripatransone, di Offida e di Osimo. Considero questi luoghi dei musei a cielo aperto per la ricchezza dei tesori archeologici e storici. Non mi soffermo volutamente, come in passato, a descrivere o a elencare tutte le bellezze turistiche e a fare un elenco dettagliato delle opere d’arte. Ogni lettore li potrà trovare sul Web ben mostrati, illustrati e documentati meglio di qualunque guida turistica, con tutto il rispetto che ho per queste figure professionali. Pertanto, ringrazio le due guide, Maria Brunori e Maria Stefania Conti, per l’ottimo servizio informativo offerto e l’autista Fernando della ditta Origgi Sas di Carugate.

Nella mia lettera mi limito a narrare le curiosità, le leggende e le dicerie sui luoghi e sugli abitanti delle cittadine visitate. Sono rimasto colpito dalla bellezza del territorio ondulato che si estende dal mare fino ai monti Sibillini. Tutte le campagne sono abitate e coltivate e non c’è un fazzoletto di terra incolto: i colori marroni chiari e scuri dei campi – perfettamente squadrati – arati e il verde degli uliveti e dei vigneti sembrano caselle di un gioco con un’alternanza di posizione che non stanca mai la vista.

A Fermo circolano due leggende. Quella della principessa Mirhimah figlia del sultano ottomano Solimano, rapita dal condottiero fermano Saporoso Matteucci. Costui si innamorò di Mirhimah, che ricambiò il suo amore, ma la storia sentimentale non ebbe un lieto fine perché il sultano offrì a Matteucci, come riscatto, la restituzione di cento soldati cristiani fatti prigionieri. E l’altra è quella dell’amore tra la regina Cristina di Svezia e il cardinale Decio Azzolino: i due amanti si incontravano in una villa di Grottammare. Anche qui si racconta la stessa leggenda. Altra curiosità. Tra Grottammare e la strada che conduce ai piedi di Offida e Ripatransone c’è una distesa unica senza interruzione di piante e vivai.

Il paese di Ripatransone è definito il belvedere del Piceno in quanto da qui si vedono: il Gran Sasso, il Conero e il Gargano. Il borgo è famoso per il vicolo più stretto d’Italia largo 43 cm, che abbiamo attraversato. A metà agosto qui si svolgono: la Festa del Grano e il Puzzle Gastronomico.

Grottammare alta è chiamata vecchio incasato. Qui, la chiesa di Sant’Agostino presenta una torre con la testa mozzata; si racconta che Martin Lutero mentre era diretto a Roma, prima della scomunica, fu accolto nel convento annesso alla chiesa e questo fu il motivo del suo abbassamento per punizione dell’ospitalità accordatagli.

A Offida una legenda narra che un serpente d’oro attraversò il borgo in senso longitudinale lungo la strada principale; quella via oggi viene chiamata Corso Serpente Aureo. Un’antica tradizione che fa fatica a scomparire è il merletto a tombolo; lungo il corso principale si vedono donne all’opera mentre ricamano sul tombolo con una velocità impressionante. Altre attrattive di Offida sono: lu bov fint, un bue che viene inseguito per le strade del borgo, e quella del Vlurd, un gruppo di giovani mascherati che sfilano con sulle spalle fiaccole accese che, poi, butteranno in un grande falò per suggellare la fine del Carnevale e per lasciare il posto alla Quaresima.

Di Osimo mi hanno colpito due curiosità: gli Osimani vengono chiamati senza testa. Non è un’offesa – a meno di dolo – perché nel palazzo comunale ci sono alcune statue romane con la testa mozzata. Ci sono più versioni sul caso, ma la più pratica è che gli autori del gesto credevano che all’interno dei corpi delle statue ci fossero conservati oro o oggetti di valore. L’altra curiosità è la finestra sempre aperta del Palazzo Alduini-Baldeschi al cui interno è stato trovato il corpo di una ragazza murata. Per permettere alla sua anima di raggiungere agevolmente il cielo, una finestra del palazzo che si affaccia sulla piazza sottostante rimane perennemente aperta.

Buona vita dal socio scrittore Carmine Scavello, autore del libro “Canti Canzoni Cantanti” da leggere assolutamente per i messaggi sulla vita che manda ai lettori.


20 Giugno 2021: Fai gli anni? Ascolta “Vivere” di Vasco Rossi

In occasione della festa di compleanno consiglio con discrezione ai festeggiati di ascoltare il brano musicale “Vivere” di Vasco Rossi – insieme ad altri dello stesso tenore – E’ un dolce e amichevole invito a ricordarsi che vivere è un comandamento, proprio in questo frangente festaiolo che ci si accorge dello scorrere imperterrito del tempo.

 Invio, così, dei frammenti letterali di commento personale; li ho estrapolati dal capitolo canzone “Vivere” tratto dal mio settimo libro “Canti Canzoni Cantanti”, appena pubblicato.

Vasco Rossi con questa canzone dal titolo “Vivere” manda il messaggio che la vita è troppo breve per crearsi dei problemi e rovinarsi l’esistenza. Perciò, insegna a vivere con felicità senza scoraggiarsi mai e senza perdere la speranza; invita a essere padroni della situazione in ogni momento e a non cedere allo sconforto; cercare di non fare un dramma se qualcosa non dovesse girare nel verso giusto che ci è prefissato.

 È una canzone piena di speranza che invita a desiderare sempre di più dalla vita. Il testo è molto ottimistico; è un appello a continuare a vivere, nonostante tutto senza perdersi d’animo con la forza di lottare contro ogni difficoltà; che non bisogna mai mollare, anche se sembra che il mondo ti cada addosso; così, se sei stanco di lottare e senti che ti mancano le forze accetta il consiglio che il segreto, in definitiva, è quello di vivere.

 Le note musicali e il testo invitano ad andare avanti, sebbene ci siano dei problemi; il messaggio positivo consiglia di riderci su e pensare che domani sia un giorno miglioreSorridere dei guai ci fa dire che mi piego, ma non mi spezzo, come fa la canna al vento. La vita è troppo breve per crearsi o spaventarsi dei problemi; bisogna vivere con felicità senza perdere il coraggio di affrontare l’esistenza e cercare di ridere dei guai, sapendo che noi viviamo come possiamo e non come vorremmo vivere.

 Vasco insegna che la chiave per vivere una vita nella pienezza delle forze è il sorriso; davanti la noia e gli ostacoli della vita bisogna reagire sorridendo e con molta leggerezza; con la mente serena si possono controllare gli impulsi e prendere le dovute precauzioni. Mettere la testa sotto la sabbia, vuol dire arrendersi e non pensare a nulla per non occuparsene.

In questo susseguirsi continuo tra gioia e tristezza, tra noia ed entusiasmo, tra leggerezza e gravità sta proprio la vita! Trovare il giusto equilibrio è il compito di coloro che vogliono vivere e non sopravvivere; in fondo la vita è un gioco, quindi giochiamo, anche se a volte il gioco può essere pericoloso. Noi conosciamo in parte le regole di questo gioco e la nostra influenza su di esse è minima; pensiamo di avere il controllo sulla nostra vita, però è solo un’illusione, in quanto ci riserva delle sorprese brutte e belle.

Non bisogna mai perdersi d’animo; abbiamo dalla nostra parte il modo di reagire, se con la tristezza di buttare la spugna oppure con l’energia di continuare a lottare, nonostante tutto e guardare in faccia la vita, magari sorridendole.

La depressione toglie la voglia di vivere, avvilisce lo spirito e fa subentrare la pigrizia; in questo stato sconfortante non può nascere alcunché di positivo. Invece vivere è un comandamento che invita a sperare di stare meglio di prima, anche se vedi tutto nero… La lettura del capitolo continua …

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello


09 Maggio 2021: La mamma è unica, insostituibile e impagabile!

Già, questo rigo la qualifica. Prima della stesura di questa narrazione, ho rivolto un dolce pensiero a mia madre, non più tra noi. Pur essendo stata una donna straordinaria nel suo ruolo materno, il suo comportamento era in linea con quello di tutte le mamme buone, attente e premurose che vivevano la loro contemporaneità. Ora, fatelo anche voi, prima di continuare a leggere, pensando alla vostra mamma.

Anche se l’evento festivo cade la seconda domenica di maggio, facciamo in modo, invece, di ricordarci di lei ogni giorno dell’annoÈ fortunato chi una mamma ce l’ha ancora; gli altri la conservino nel cuore, finché vivranno, come il più bel regalo avuto dal cielo. È ormai entrato nel pensiero collettivo il detto che Dio non poteva essere dappertuttocosì ha creato la figura della mamma perché facesse le Sue veci a distribuire amore.

Chi maledice una mamma, maledice Dio. Ogni torto fatto a lei è come se fosse fatto direttamente a Lui in prima persona! Lei incarna un amore senza limiti; è la confidente più fidata e mantiene i segreti fino alla morte. È l’unica lavoratrice instancabile che non va mai in vacanza. Se ci pensiamo bene, una buona mamma è in servizio 24 ore su 24, ogni giorno della settimana e dell’anno; non si lamenta mai per il superlavoro che l’attende il giorno successivo.

Da che mondo è mondo, il lavoro del padre è sempre stato svolto, per consuetudine, dall’alba al tramonto per portare il pane a casa; mentre quello della madre non ha mai avuto un orario giornaliero stabilito: è sempre stata a disposizione di tutti i familiari e non ha detto mai di no; né di essersi mai lamentata di essere stata stanca per non rispondere a un bisogno.

Le persone sagge che ho incontrato nella vita mi han detto di tenere a mente che: Potrai incontrare qualche uomo che somiglierà a tuo padre, in tutto o in parte, ma non troverai giammai nessuna donna che assomiglierà a tua madre. Potrai dire: mamma se tu non ci fossi, proverei a inventarti. Poi, ti fermerai a pensare e dirai: ma come faccio a farti bene così come sei? Sei unica e lo stampo è stato distrutto alla tua nascita, perché non nascesse un’altra donna uguale a te! Costoro a completamento del discorso, testé detto, hanno aggiunto un’altra verità, che io condivido: l’amore di tuo padre devi conquistartelo, seguendo il suo esempio e i suoi ammonimenti e non andargli contro; quello della mamma, invece, è a senso unico e non devi far nulla per meritartelo; non ti chiede nessuna contropartita in cambio e ti lascia la libertà di corrispondere il suo amore. Qualunque torto subisca dal figlio, la mamma è disposta a perdonarlo; lo fa spontaneamente e senza rancore, perché questo è il suo ruolo: distribuire amore e perdono.

Per una mamma, il figlio è sempre un bambino, anche se è diventato adultolo considera una parte di sé. Lo conduce per mano fino a quando diventa autosufficiente, ma, poi, l’accompagna per tutta la vita: si comporta come il luogo ideale dove depositare preoccupazioni e i problemi del figlio. Guai se qualcuno gli facesse del male! È disposta a difenderlo a costo della sua vita; e, anche se lei dovesse aver dei problemi personali, li accantona per risolvere quelli del figlio. A pensarci bene, anche nel mondo animale esistono casi di eroismo di mamme che immolano la loro vita a difesa dei figli. È la stessa spontaneità istintiva che guida le mamme umane, dotate di grande altruismo.

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

23 Aprile 2021: Oggi è la Giornata Mondiale del libro.

Quante persone oggi leggono libri? Si stima che siano molto pochi, in quanto preferiscono l’immagine alla parola. L’immagine è più immediata per essere elaborata dal cervello e immagazzinata; la parola va letta, capita o interpretata. Comunque, secondo studi universitari approfonditi ad opera di ricercatori scientifici si è stabilito che chi legge vive più a lungo rispetto ad un individuo che non legge mai. Tra i due estremi sono collocati coloro che leggono poco o non abbastanza per essere considerati lettori assidui.

Un lettore capisce di aver letto un buon libro quando arriva alla fine e lo deve porre tra quelli già letti. Ma non è detta ancora l’ultima parola. Un mio amico di gioventù di nome Gianni dopo aver letto un mio libro mi ha detto testuali parole:
“Carmine, i tuoi libri vanno letti tre volte; la prima per curiosità; la seconda per interesse, la terza per gustarlo.”
La tal cosa mi ha riempito di orgoglio, in quanto avevo capito che quel libro conteneva un messaggio che l’aveva colpito oppure si era ritrovato nei personaggi citati o negli argomenti scritti. Sicuramente di quei lettori come Gianni spero che ce siano tanti, perché i libri abbiano un futuro. Un altro giorno restai stupito che tre miei colleghi comperarono ciascuno due copie del libro ambientato sul nostro mondo del lavoro. Lì per lì pensai che avessero fatto un regalo con la seconda copia; invece, non era questa la verità. Mi dissero che una copia era riservata per uso strettamente personale e l’altra l’avrebbero prestata, come capita talvolta quando è difficile dire di no. Allora feci mente locale al detto popolare che dice testualmente: Chi presta un libro è uno stupido; chi non lo restituisce è stupido due volte! Il mio vecchio maestro di scuola elementare fece passare il messaggio che un bambino che legge sarà un adulto che penserà un domani.
Ricordo pure che un mio vicino di casa detto compare Domenico ogni tanto chiamava un bambino, che sapeva già leggere, e gli diceva: fammi la magia di far parlare quel mucchio di fogli che hai nella cartella di cartone e raccontami una storia che qualcuno vi ha nascosto. Si commuoveva perché aveva capito che durante la sua vita aveva perduto l’occasione di non essere andato a scuola. Essere rimasto analfabeta e non possedere l’uso della lettura lo faceva sentire un uomo vuoto che viveva e vegetava.
Un tempo si credeva che la ricchezza di un uomo si misurasse in base ai libri che aveva nella sua libreria e non per il numero di bovini ed equini che aveva nella stalla. Mio padre diceva – per provocare una reazione – che il vizio di leggere fa meno male del vizio di fumare, in quanto la lettura passiva non è dannosa per la mente; anzi fa benissimo a chi ascolta. Come è strana la vita: nella Giornata Mondiale dedicata al libro, le persone si dividono in due gruppi: c’è chi aspetta l’uscita di un libro nuovo e chi invece aspetta il film che è ispirato dal quel libro. Vedere sul comodino la copertina di un libro che piace concilia li sonno: provare per credere!

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

19 marzo 2021: Festa del papa’

Pensiero dedicato al proprio papà con grande affetto e riconoscenza.

Auguri a tutti i Papà: a quelli che sono felicemente tra noi e a quelli che ci guardano da lassù! Tutti ne abbiamo Uno nel cuore. Da piccoli Lo vedevamo come un eroe, un Uomo col cuore grande come il mare e con una bontà immensa; eravamo orgogliosi di Lui, perché oltre, a volerci bene, ci proteggeva e ci forniva l’occorrente per vivere con dignità, rispetto e coraggio.

Tante ragazze passano la vita a cercare l’Uomo perfetto; poi, si accorgono che vive intorno a loro: è il loro Papà che non le abbandonerà per nessun motivo al mondo, né tradirà la loro fiducia. È come un Angelo Custode che si prende cura dei figli e per loro si butterebbe nel fuoco senza indugio.

È sempre attuale il detto che un Padre mantiene dieci figli e dieci figli non mantengono un Padre. Per quanto un figlio voglia bene al proprio Papà, sappia che non eguaglierà mai il Suo bene in qualità e quantità. Se c’è qualcuno che ti dicesse di volerti più bene del tuo Papà, io direi a costui che ti sta tradendo o ingannando.

Il Papà è sempre un punto di riferimento e una guida; anche se non è un angelo o un re è pur sempre l’Uomo più importante della propria vita. È pur vero che ogni uomo può diventare Papà, però, per essere un vero Papà occorre che quell’Uomo sia una Persona unica e speciale.

Un figlio capirà il ruolo del Papà quando anch’egli diventerà Papà a sua volta e ne vestirà i panni. Ogni buon Padre desidera che suo figlio sia migliore di Lui e non la Sua fotocopia per permettere che lo fossero anche i nipoti in confronto ai pronipoti.

Ho sempre saputo che fanno più male i rimproveri del Papà che le sculacciate col battipanni della mamma. Se la mamma è l’angelo della casa, non posso smentire che il Papà ne sia l’anima. Per una buona educazione, mio nonno diceva che se il Padre vede, il figlio non fa. Non occorrono lunghi discorsi per educare i figli, ma buoni esempi, quelli sempre. In una casa dove regna l’ordine, il Padre è l’ultimo ad andare a letto e il primo a svegliarsi; insegna che il pane non scende come manna dal cielo.

Ho imparato nella vita che è più facile che i figli chiedono al Padre che il Padre ai figli. Il Padre è felice quando dona ai figli; fa parte della Sua indole naturale! Un buon Padre non fa carnevale per far fare quaresima ai figli! Lo dimostra quando torna a casa con le mani sporche dal lavoro per non far mancare il necessario ai figli.

Ognuno dovrebbe dirgli: viva il mio Papà! Per quando io ti ringrazi, non ti ringrazio abbastanza! Per quanto ti dica ti voglio bene, non eguaglio mai il Tuo.

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

3 febbraio 2021: Festa di San Valentino

Sono anni che si festeggia questa ricorrenza e convengo che resiste alle mode e ai tempi; l’amore è sempre esistito ed esisterà sempre come antidoto contro il male e l’odio. Potrebbe sembrare strano se affermassi che l’odio, in un certo senso, è figlio di un amore perduto.

Quell’unione rotta, sicuramente non basata sull’amore vero, somigliava ad una casa costruita sulla sabbia, che alla prima intemperia di una certa consistenza crollò come un castello di carta o di sabbia. L’amore tra due persone non dev’essere un mezzo di unione, bensì il fine primario, usato come collante. Perciò, quando non si ama troppo, la logica ci dice che non si ama abbastanza. Solitamente, quando una storia d’amore finisce si verifica che potrebbe essere uno solo a soffrire in quanto, se nessuno soffre, sta a significare che l’amore non è mai iniziato; se, invece, soffrono tutte e due è indice che la storia non è mai finita.

Una vecchietta saggia ripeteva spesso ai corteggiatori del suo rione che l’amore non è un gioco. Poi, faceva un giro di parole per fare un discorso basato tra amore e gioco per esprimere un concetto condiviso e che quando si scherza troppo col fuoco si rischia di bruciarsi le mani. Ecco quanto diceva: Se vuoi giocare gioca, però se vuoi amare ama. Ricordatevi di non giocare ad amare e di non amare per gioco per non pagarne, poi, le conseguenze. Io dico che se ci fosse stato un segreto generale a rendere qualunque amore durevole, l’avrebbero già scoperto e diffuso per consentire agli amori di durare in eterno.

La gente è alla ricerca del buon lavoro, del denaro, delle buone relazioni e del successo. In effetti, sono cose importanti e gratificanti perché aiutano a vivere meglio, ma se ci si pensasse un attimo si direbbe che, se mancasse l’amore ad allietare la vita, tutte quelle gratificazioni non avrebbero molto senso. Non condividere la felicità con una dolce metà, non completa la vita.

Si pensa che l’amore eterno sia una chimera, però, tante realtà ci dimostrano il contrario. È così difficile andare d’accordo? Dipende se si dona veramente tutto se stesso senza chiedere nulla in cambioQuando due persone si mettono insieme ognuna delle due dona un po’ di sé e prende un po’ dell’altra, in un libero scambio per completarsi a vicenda. Ci sono parole che non bisogna mai dimenticarsi di farne buon uso quali comprensione, altruismo, pazienza, libertà, allegria, gentilezza, condivisione; a questi bisogna far seguire di mettere al primo posto i sentimenti, i valori e gli ideali e, poi, le cose materiali.

Le coppie di una certa età si sono sposate in tempi di vacche magre, quando mancava anche il necessario. Gli sposi si dicevano l’un l’altra: non abbiamo niente, ma saremo capaci di avere tutto; mettiamo insieme le forze e tiriamo insieme il carrettoBastava uno sguardo per capire cosa volesse intendere l’altro: avevano la pazienza di aspettare tempi migliori e la speranza di non arrendersi mai. Avevano buoni esempi da imitare e la forza di rialzarsi dopo ogni caduta!

Buona Vita dallo scrittore Carmine Scavello

3 febbraio 2021: Festa di San Biagio.

Scrivere su questo santo, molto venerato in tutta Italia, ci vorrebbero fiumi di inchiostro. Molte feste popolari, tradizioni, detti e proverbi sono legati al Suo nome. Mi limito a dire l’essenziale per ricordare queste Figura Celestiale, che ha conquistato nel tempo la venerazione di tanti fedeli.

Ecco una mia breve narrazione.

Oggi è San Biagio protettore della gola e dei raffreddori. L’invito è di mangiare in questo giorno una fetta di panettone rigorosamente avanzato a Natale per questo scopo. È un rito scaramantico per chi ci crede; per gli altri è un modo carino di addolcire il palato.

Questa tradizione è nata nella zona del milanese, però nessuno vieta di rispettarla in tutto il Paese. È un segno di auspicio di Buon Anno, cominciato da poco. I vecchi milanesi dicevano: “San Bias el benedis la gola e il nas”; credevano alla tradizione in quanto male non portava e nel contempo dedicavano una preghiera al Santo perché li proteggesse dai malanni dell’inverno.

Naturalmente questo rito si riferisce ad una leggenda popolare nata a Milano. Una donna prima di Natale portò a benedire il panettone da un certo frate di nome Desiderio, ma lui, non avendo tempo in quel momento, disse alla donna di lasciarlo in canonica; l’avrebbe benedetto quando si fosse liberato dall’impegno. Poi, il tempo passò. Il frate pensò che la donna si fosse dimenticata, così un po’ alla volta mangiò tutto il panettone e ne rimase solo l’involucro. Quando la donna se ne ricordò e tornò a riprenderlo sia lei che il frate ebbero la grande sorpresa di trovare per miracolo un panettone fragrante nell’involucro. Quel miracolo fu attribuito a San Biagio, perché cadente nel giorno a Lui consacrato!

A testimonianza della Sua fede, una statua di marmo bianco alta due metri e pesante dodici quintali è posta in Suo onore su una guglia del Duomo di Milano. Alla figura del santo è collegato un pettine di cardatore di ferro della lana con cui fu torturato; per questo è diventato il protettore dei cardatori di lana. Ho saputo che prima di San Valentino era stato Lui il protettore degli innamorati.

Chi era San Biagio? Era un medico vescovo armeno che salvò un bambino da soffocamento, a causa di una lisca di pesce conficcata nella gola, con una mollica di pane, che prima benedisse.

Col tempo si è scoperto che San Biagio non è venerato solo nel milanese, ma in altre parti d’Italia, tipo Campania e Abruzzo. I Campani festeggiano il Santo mangiando “Le polpette di San Biagio”, mentre gli Abruzzesi consumano piccole pagnotte dette “Panicelle” – piccoli pani fatti con acqua e farina a forma di mano benedicente – per benedire “I taralli di San Biagio”, ottenuti aggiungendo alla pasta lo zucchero e i semi di anice, da offrire ad amici e parenti per augurare la buona salute e la felicità. Le Panicelle venivano mangiate alla stessa stregua del panettone per difendere la gola dai malanni.

Esistono dei proverbi e dei detti popolari per ricordare la festività. Eccone alcuni: “Per San Biagio, il freddo è andato”; Il giorno della festa di San Biagio chi ha la legna fuori la tira dentro; Il giorno della festa di San Biagio la gatta si lecca il naso; Il giorno della festa di San Biaggio ogni pollastra fa l’uovo;

Il giorno della festa di San Biagio se c’è il gelo si scoglie, se non c’è si forma; Il giorno della festa di San Biaggio da ogni buco entra il sole; A San Biagio il sole nelle case.

La cultura popolare delle campagne napolitane riporta un divertente intermezzo tra la Candelora e San Biagio e una vecchia saggia. La Candelora disse: “Dell’inverno siamo fuori”. Le rispose San Biagio: “Ma va, l’inverno comincia ora”. Intervenne la vecchia saggia per ribadire: “Dall’inverno saremo fuori quando la foglia del fico sarà grande quanto lo zoccolo del bue”!

Una storiella racconta che una contadina molto povera aveva un maialino. Un lupo lo catturò per mangiarselo, così la contadina pregò San Biagio di farselo restituire sano e salvo; San Biagio costrinse il lupo a restituire il maltolto e ottenne dalla contadina la promessa di accendere ogni anno una candela in segno di gratificazione.

In alcune chiese i fedeli si recano in chiesa per farsi benedire la gola; il rito consiste nell’appoggiare due candele incrociate e legate insieme da un nastro rosso per ricordare il sangue del martirio di San Biagio. Chi va oggi nei supermercati trova i panettoni a prezzi molto scontati; c’è chi li riduce del 50%. Un tempo i negozianti li vendevano tre per uno per andare incontro ai poveri; i malpensanti dicevano che lo facevano per smaltire i fondi di magazzino.
 
Buona vita e che San Biagio ci protegga!

28 01 2021: I giorni della Merla

Si parla tanto di questo periodo, così ho deciso di attingere dal mio bagaglio culturale, accumulato negli anni, per scrivere questo breve saggio, senza la pretesa del saputello, che non mi appartiene. Voglio solo richiamare l’attenzione affinché ognuno arricchisca l’argomento con le proprie conoscenze.

Questi giorni dell’anno si riferiscono agli ultimi tre del mese di gennaio – 29, 30, 31 – secondo una vecchia tradizione popolare milanese e non solo; sono considerati i più freddi dell’inverno. A questo detto ne è etichettato un altro: Se la Merla è fredda, la primavera sarà bella; se è calda, rispetto alla media stagionale, la primavera arriverà in ritardo.

Il nome Merla è legato ad una leggenda secondo la quale, una mamma merla con tre piccoli – in origine questi volatili avevano un piumaggio bianco – per ripararsi dal freddo pungente si riparò con la prole per tre giorni consecutivi dentro un comignolo, da cui uscirono il 1° febbraio. A causa della fuliggine, prodotta dal camino sottostante, diventarono tutti neri, tranne il becco – giallo nei maschi e marrone nelle femmine.

Esiste un’altra versione più elaborata che non smentisce, però, la prima. Secondo quest’ultima, una merla, sapendo che gennaio era troppo freddo, aveva fatto una scorta di cibo, che conservò nel suo tiepido nascondiglio; nelle sue intenzioni, il cibo accumulato sarebbe dovuto durare tutto il mese di gennaio – allora di 28 giorni secondo il calendario romano istituito da Romolo -. Al 29° giorno, coincidendo col 1° febbraio, la merla uscì allo scoperto e si mise a cantare allegramente per prendere in giro gennaio.

Ma sapete come girano le cose del mondo! Gennaio non poteva sopportare la grave, offesa, così andò dall’amico febbraio, gli chiese tre giorni in prestito e li ottenne. In quei tre giorni scatenò una tremenda bufera con gelo, neve e freddo polare. La merla, per riparare dal freddo pungente se stessa e i suoi piccoli, si nascose in un comignolo; così nacque la prima leggenda.

Altre fonti – che non sto qui a dimostrare se sono vere o fantastiche – dicono, invece, che i giorni della Merla sono il 31 gennaio e il 1° e il 2° giorno di febbraio. Lo scopo era quello di far coincidere la fine di questo periodo con la Candelora, giorno in cui era usanza benedire le candele per celebrare la luce. Quest’ultimo è un altro detto popolare che afferma testualmente: Quando vien la Candelora dall’inverno semo fora; ma se piove o tira vento, nell’inverno semo dentro!

Un mio collega brianzolo, anziano di lavoro e cultore delle tradizioni popolari, mi disse che il 31 gennaio in Brianza veniva bruciata la vecchia – detta in dialetto Giubiana -; veniva condotta in piazza, sottoposta a processo e poi condannata al rogo; così, con questo gesto veniva incenerito simbolicamente anche l’inverno.

Non si finisce mai di imparare; così viene alla luce un’altra leggenda legata al territorio della bassa Pianura Padana e che ha per protagonisti un merlo e una merla, abitanti uno a destra del fiume Po e l’altra a sinistra. Per consuetudini il matrimonio avviene nel paese della sposa, per cui il merlo andò là per celebrare il sacramento il 28 gennaio. Per le cattive condizioni del tempo, dovettero attendere l’ultimo giorno di gennaio per attraversare il fiume a piedi. Avvenne una sciagura; il leggero strato di ghiaccio si ruppe sotto il peso e il povero merlo finì per annegare nelle acque del Po. La povera merla vedova pianse a dirotto.

Secondo la leggenda l’ultimo giorno di gennaio si sentono ancora i lamenti di quella sconsolata merla. Si narra anche le giovani da marito locali si recavano gli ultimi tre giorni di gennaio a cantare e a ballare sulle rive del Po per scacciare il male sui loro futuri sposalizi.

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

05 01 2021: Festa dell’Epifania e come si dice: Buona Pasqua!

Carissimi, e …

Godiamoci questa vigilia e una bella festa di Epifania!
Ci sono tante storielle sulla Festività. Quando ero bambino i genitori della mia generazione facevano credere che di notte i muri diventavano di marzapane e i mobili di cioccolato e che gli animali parlassero tra di loro e commentassero il comportamento dei loro padroni. Però, bisognava solamente sognarli; in caso di risveglio l’incantesimo sarebbe cessato. Perciò, si andava a letto col pensiero fisso e in molti casi la magia aveva effetto. Beata innocenza! Desiderare tanto un dolcetto stuzzicava la fantasia. Ci stava pure in quanto c’era molto dialogo senza televisione o altri mezzi di comunicazione. Raccontare le storielle con una morale finale era la normalità per mandare dei messaggi positivi che restassero per tutta la vita; venivano tirate in ballo al momento opportuno per essere più incisive dal punto di vista educativo.

E, poi, c’era l’attesa della Befana che veniva di notte ed era dipinta con le scarpe tutte rotte e il vestito stropicciato; lasciava ai piedi del letto la calza con dentro qualche mandarino, le arachidi tostate, le castagne cotte al forno e, quando andava bene, qualche caramella. Qualche genitore birichino, in un primo momento, non faceva trovare la calza ai piedi del letto, asserendo che il bambino si era comportato male e che la Befana l’aveva saltato: La mancanza della calza equivaleva al carbone!

La sceneggiata e la delusione, però, duravano poco in quanto il genitore, dietro promessa di un buon comportamento, dava loro la calza al posto della Befana.

Nel giorno dell’Epifania, la gente si salutava augurandosi la Buona Pasqua, essendo una delle quattro feste più importanti dell’anno insieme al Natale, alla Pasqua e alla Pentecoste: tutte e quattro avevano la stessa importanza e come tali venivano rispettate e festeggiate. Durante la messa, il prete annunciava il giorno del calendario dedicato alla Pasqua. Si ricorda in tale giorno l’incontro di Gesù con i Re Magi che portano il dono della saggezza, della sapienza e del potere dell’anima. In tante città vengono organizzate processioni in costume d’epoca per simboleggiare la venuta dei Re Magi. Il 6 gennaio a Milano, il corteo parte da piazza Duomo e termina alla basilica paleocristiana di Sant’Eustorgio, sede di un sarcofago di pietra contenente le reliquie dei Re Magi.

Di contro, l’Epifania porta un po’ di tristezza; è noto il dettoL’Epifania, tutte le feste porta via! Infatti, il giorno seguente si smonta l’albero di Natale e il presepe e si tolgono tutti i simboli che durante le festività hanno abbellito le nostre case e l’aspetto delle città.

Si ritorna alla vita di tutti giorni con qualche chilo in più e un arrivederci all’anno nuovo.

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

27 dicembre 2020:  “Addio all’anno vecchio e benvenuto all’Anno Nuovo”

Il 2020 si confessa e dice: cosa c’entro io per tutte le negatività che mi hanno investito? Io avuto solo il compito di scorrere e di arrivare al 31 dicembre; poi, cederò il posto al 2021. Sono un’entità neutra; ho cercato di accontentare tutti, ma non di ubbidire a nessuno. Ho dovuto far nascere il sole al mattino e farlo tramontare la sera; quel che è successo, poi, non è dipeso da me; anche perché non ho nessun potere sul tempo di farlo correre o rallentare o fermarsi. È vero, ho avuto la fortuna di essere stato festeggiato il primo gennaio con fiumi di spumante, fuochi di artificio, baci, abbracci, lenticchie e cotechini e melograni; ho ascoltato tanti desideri e auguri di Buon Anno. E’ vero, ho fatto sognare più di qualcuno!

Mi ero promesso di essere un anno buono, se non il migliore e tanti hanno creduto in me. Sono incappato, mio malgrado, in un anno bisestile e tanti hanno esitato che non avrei portato fortuna. In molti, poi, mi hanno maledetto; mi sono tappate le orecchie per non sentire le maledizioni e ho fatto il finto tondo come le tre scimmiette, tirando a campare fino al 31 dicembre. Poi, vi saluterò con la coda tra le gambe e mi rifugerò nel passato; passerò alla storia come un anno da dimenticare.

Tra tanti delusi, ci sarà stato pure qualcuno che è stato contento di me e mi ricorderà positivamente per qualche favore che gli è arrivato! Già, nei primi mesi dell’anno molti pregavano che levassi le tende al più presto. Io mi dicevo: lo farò a testa alta perché non mi sento in colpa: faccio solo il mio dovere di far vivere alla gente 365 giorni della loro vita. Non porto rancore, anzi passerò il testimone al Nuovo Anno e gli augurerò che fosse molto più fortunato di me. Farò parlare per lungo tempo, ma credetemi: non mi sento in colpa; avrei voluto portarvi tanta gioia, ma, poi, il destino, la casualità o errori umani mi hanno fatto passare come un anno da cancellare. Non posso dirvi arrivederci perché non potrò mai più ritornare indietro, perciò vi dico addio, amici miei, ammesso che trovi tra di voi un amico che mi assolva.

A questo punto, il 2021 sta bussando alla porta. Nel mondo lo stanno aspettando con gioia perché porti più fortuna di me: io glielo auguro di cuore perché la gente ha diritto di stare bene e di voltare pagina. Mi auguro che il vaccino faccia il suo effetto sperato e che la pandemia resti solamente un cattivo ricordo. Ci saranno molti miliardi da spendere e c’è l’ombra che facciano gola a tanti furfanti che hanno a cuore il loro tornaconto e non il benessere collettivo. La storia insegna!

Caro 2021, ti lascio il testimone, con la mia benedizione, di essere un anno migliore di me. La gente ha diritto alla salute, alla felicità e al benessere economico; io auguro a tutti di ritornare almeno alla normalità, meglio di superarla e tu di essere un anno da incorniciare. Ti stanno aspettando con tanta trepidazione, ma anche con tanta fiducia e speranza ed è giusto che sia così; sì proprio con quella speranza che è stata disattesa e non per mancanza mia. Avanti Anno Nuovo! Ti auguro che tu possa essere l’anno della rinascita e della ripartita!

Buona vita e tanta serenità e fortuna dallo scrittore Carmine Scavello

 

22 Dicembre 2020: Libera divagazione in preparazione del Santo Natale

“LA FESTA DI NATALE E IL PERDONO”

Il Natale che è l’emblema della festa della bontà ci raccomanda di perdonare chi ci ha offeso, tradito o denigrato per vivere in pace con noi stessi e col mondo. A volte, si dicono frasi o si compiono dei gesti inopportuni senza la volontà di offendere. Ci dice, altresì, che avere sempre in mente un torto subito, come un chiodo fisso, è come portare un peso sullo stomaco, che ci annebbia la vista per la rabbia.

Il Natale offre anche l’occasione di fare pace con la scusa dello scambio di auguri e di doni; non si può rimanere indifferenti davanti un atto di remissione di colui che offre una ciambella di salvataggio morale per uscire dalle sabie mobili del rancore. L’amicizia vera è destinata a durare nel tempo solo se gli amici sono disposti a perdonarsi reciprocamente i propri errori e le malefatte non volontarie.

Ho memorizzato un detto popolare che è di una grande efficacia; recita così: lo stolto perdona e dimentica; l’ignorante non perdona e non dimentica; il saggio perdona, ma non dimentica. Però, se non si toglie quel “non” rimane la cicatrice.

In fondo, il Natale ci ricorda che il perdono è uno dei doni più grandi che abbiamo ricevuto con la nascita. Vuole rammentarci, anche, che perdonare ci consente di liberarci dell’odio, della sofferenza e della tristezza; se non lo facciamo rischiamo di perdere per sempre delle amicizie che si potrebbero recuperare con un gesto di buona volontà. Se si facesse di ogni erba un fascio, potrebbero finirci anche le persone care e innocenti. Quindi la festività natalizia consiglia di mettere da parte l’orgoglio e di valutare se ci sono i presupposti per dare un’altra possibilità.

Coloro che non vogliono perdonare non riescono a vivere il presente serenamente. La loro mente è saldamente legata al passato e rimugina sentimenti di rancore e di vendetta per un torto subito e mai chiarito. Se vogliono essere felici solamente un istante, basterebbe vendicarsi e sbollire così la rabbia repressa ed accumulata nel tempo; però, se volessero essere contenti per sempre ci sarebbe solo un modo: perdonare gli offensori! Se rispondessero unicamente all’invito occhio per occhio e dente per dente, il mondo sarebbe pieno di uomini ciechi e sdentati.

Il Natale ci manda il messaggio esplicito che il perdono è un’arma molto potente in quanto libera l’anima dall’odio e scaccia la paura di ricadere nell’errore. Nella più grande preghiera di ogni tempo, il Padrenostro, c’è un richiamo molto importante rivolto al Signore nel verso che dice: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori! Si potrebbe aggiungere: Errare è umano, perdonare è divino! L’intelligenza è amica del perdono.

A titolo di cronaca dico che è stata istituita la Giornata Internazionale del Perdono, che cade il 24 ottobre di ogni anno, per richiamare l’attenzione sui benefici e sugli effetti positivi che l’indulgenza produce nell’animo umano; tante divergenze si potrebbero sanare sul nascere prima che si trasformino in odio e azioni di vendetta; nel mondo ci sarebbero meno tristezza, dovuta alla rabbia covata dentro, meno litigi e soprattutto più amore per trascorrere un Natale nel segno della serenità.

Che magnifico Natale sarebbe se ci fosse nel mondo più miele che fiele! Ognuno apra il proprio cuore all’amore per ascoltare una voce soave che inviti alla pace e debelli la guerra, che costruisce muri, distrugge ponti e sparge odio e morte.

Buon Natale e buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

07 Dicembre 2020 , “Ogni giorno e’ un’avventura se abbiamo lo spirito giusto …

<< Ogni giorno è un’avventura, se abbiamo lo spirito giusto di saper scoprire, osservare, ascoltare e analizzare. Cominciare bene la giornata e finirla meglio è il desiderio che accomuna gli uomini e le donne di buona volontà >>.

Ogni giorno apriamo gli occhi su una finestra sul mondo. Vediamo quello che ci circonda secondo il nostro stato d’animo e le sorprese che ci riserva la sorte. Che sia una giornata fortunata o no dipende da tanti fattori interiori ed esteriori. Se vogliamo litigare col mondo motivi ne troviamo tanti; a trovare scuse siamo dei veri maestri. Se vogliamo vivere in pace, occorre una buona razione di pazienza, di razionalità e di ottimismo.

Ogni giorno un lupo sogna di incontrare un agnello per divorarlo e un agnello spera di non incontrare quel lupo che vorrà sbranarlo. Se ci svegliamo col pensiero fisso che qualcosa di negativo ci possa accadere, molte volte è facile che accade: ci trasformiamo in parafulmini e un fulmine potrà darsi che vi si scarichi. Partiamo invece col piede giusto col morale su e, poi, quel che accade, accade; una soluzione la troveremo in quanto ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

Tutti ricordano la storiella del lupo e dell’agnello; il lupo vuole mangiare l’agnello e, per una forma di pudore, cerca una scusa plausibile per non passare da prepotente. Allora si ingegna per farsi passare da offeso, così si sente a posto con la sua coscienza per essere stato provocato.

Lui è in riva a un ruscello, a monte, che si sta accingendo a bere, mentre a pochi metri a valle anche un agnello è in procinto di fare la stessa cosa. Il lupo subito sfrutta l’occasione ed accusa l’agnello di sporcargli l’acqua che sta bevendo, così lo potrà sbranare per la grave offesa subita. L’agnello lo guarda stupito e gli dice: ma signor lupo, come faccio a sporcarti l’acqua se tu sei sopra ed io sono sotto? Mannaggia, pensa il lupo tra sé e sé! Mi ha fregato, ma non mi arrendo; devo trovare altre scuse plausibili. Si rivolge di nuovo all’agnello e gli dice: però, agnello ieri tuo padre mi ha sporcato l’acqua, perciò devi pagare tu la sua offesa nei miei riguardi! Ma signor lupo, replica l’agnello: risolvi tu la situazione con lui; cosa c’entro io con questa storia; non sono problemi miei. Il lupo ancora pensa: caspita, questo birichino mi ha fregato ancora una volta; ma non mi arrendo facilmente. Di nuovo torna alla carica e l’accusa per qualcos’altro che non ha commesso. Punta ancora l’indice verso l’agnello e gli replica: ascoltami bene. Pochi giorni fa, tuo nonno mi ha sporcato l’acqua anche lui ed è scappato via. Io son rimasto con un palmo di naso a subire l’oltraggio e sono ancora arrabbiato con lui per la provocazione, perciò adesso pagherai tu al suo posto. L’agnello educatamente gli rispose: ma signor lupo fai i conti con lui; è più grosso di me e, se vuoi sbranarlo, hai più convenienza che divorare un piccolo agnello come me.

Oggi non è proprio la giornata giusta! Sto facendo la figura del pisquano, dice il prepotente. Il lupo non sa più che scusa trovare e così butta la maschera di falso perbenismo e gli dice papale papale: caro agnello, mi dispiace per te; io sono lupo e tu sei agnello e il lupo mangia l’agnello. C’è stato un lungo giro di parole, ma alla fine il lupo fa quello che vuole fare; ossia mangiare l’agnello senza tanti preamboli.

In generale, se vogliamo che sia una buona giornata, mettiamo da parte senza scuse la rabbia e il pessimismo e pensiamo che se viviamo male questo giorno lo sarà per sempre, in quanto domani non si chiamerà più oggi, bensì ieri. E così via; dopodomani, il domani si chiamerà anch’esso ieri. Dare al tempo l’importanza che merita è un monito valido a tutte le età!

Paperone de paperoni un giorno pensieroso per l’età che stava avanzando disse a Paperino: caro nipote, cosa ne pensi se mi cedessi un po’ dei tuoi anni in cambio di una fetta consistente del mio tesoro?  Tu sei povero e un po’ dei miei soldi ti farebbero comodo in cambio di un po’ del tuo tempo che ti resta da vivere. Caro zio, tieniti pure i tuoi soldi: primo perché con i soldi non si compra nemmeno un’ora di tempo e, poi, perché la mia ricchezza è la gioventù.

Noi umani viviamo come possiamo e non come vorremmo vivere. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare; potremmo fare pure castelli in aria, ma se non abbiamo i mezzi i nostri progetti rimangono sulla carta. Perciò, iniziamo la giornata col pensiero di fare bene normalmente le cose facili che sappiamo fare, compiendo il nostro dovere. Per quelle difficili aspettiamo che con la conoscenza diventino facili e poi farle normalmente.

 Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

29 Novembre 2020 , anticipo sul Natale

Cari amici,
questo breve componimento letterale – sotto riportato – mi dà la possibilità di anticipare l’annuncio della lettera dedicata al Natale 2020, che invierò in prossimità del 25 dicembre.
Con la prima domenica dell’Avvento, per la Chiesa, comincia ufficialmente il periodo prenatalizio, così ognuno l’aspetti secondo i suoi desideri e i suoi precetti.

L’Avvento annuncia il Santo Natale: prepararsi mentalmente al Suo arrivo è cosa buona e giusta. Per chi non crede è solo questione di tempo; c’è sempre un momento nella vita che il sentimento sovrasta la ragione.

Pur rispettando il pensiero del singolo, quello collettivo è orientato nella direzione indicata dalla Stella Cometa. Il messaggio che arriva è sempre carico di amore e di bontà. La libertà del singolo non è messa in discussione perché alla nascita gli è stata data la possibilità di farne buon uso. Fare della propria vita un capolavoro o un obbrobrio fa parte di quel principio di libertà.

Nessuno è così forte e autosufficiente di vivere senza l’aiuto degli altri. Se manca la condivisione di certi valori comuni, si vive allo stato brado e l’unica legge è la sua, ma è solo anarchia.

Cosa chiederà il Natale? Dipende da quello che vede nella coscienza di ognuno! Capisce se è gradito dal modo come viene accolto; non insiste di entrare in quanto ognuno ha la libertà di scelta: fare il bene o il male o essere indifferente. Ricordarsi, comunque, che per ricevere bisogna prima dare è un consiglio, sebbene sia un comandamento, spesso ignorato!

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

25 Novembre : Giornata Internazionale per l’eliminazione delle violenza contro le donne
(giorno in cui  le 3 sorelle Mirabal sono state  uccise nel 1960 dal dittatore Trjillo, in Repubblica Dominicana)

Non si deve mai abbassare la guardia verso la violenza e pensare che il messaggio virtuoso sia arrivato in tutte le coscienze; le menti malate di protagonismo e di soggiogazione non vanno mai in vacanza!

Gli appelli continui alla buona e pacifica convivenza vanno rinnovati puntualmente e annualmente per ricordare – e non stancarsi giammai di farlo – che la violenza sulle donne – e in genere su ogni essere vivente – è considerata, umanamente e legalmente, un’offesa gravissima alla dignità del genere umano.

Certi uomini cattivi ed insensibili che si macchiano di aggressività sulle donne – e, nel peggiore dei casi, di femminicidio – non dovrebbero ritenersi uomini d’onore, ma indegni di vivere a stretto contatto con le persone galanti e perbene, che formano la società sana dell’intera umanità.

Questi esseri indesiderati vanno considerati alla stregua dell’orrida feccia, ossia lo scarto più umiliante che possa esistere in natura. E pensare che prima di macchiarsi di questa orribile nomea quegli uomini violenti erano persone affabili che avevano conquistato la fiducia e l’affetto delle compagne, delle mogli, delle amiche … delle fidanzate.

Durante il lockdown le cose son peggiorate a causa del ridotto spazio d’azione in cui uomini e donne sono stati costretti a vivere gomito a gomito una convivenza forzata entro quattro mura. Le vittime delle violenze hanno subito umiliazioni senza la possibilità di denunciare o di allontanare gli uomini violenti che vivevano accanto a loro. Il messaggio di speranza diffuso in quel periodo “Andrà tutto bene” esisteva per gli uomini di buona volontà e solo sulla carta per taluni, ma non è servito a nulla per rinsavire quelle menti malate colme di odio e fuori dal mondo di ogni razionalità.

Le cronache nere dicono, a ragione, che l’appello non è servito minimamente a risolvere un così annoso e grave problema esistenziale, radicato in alcuni cervelli bacati. Bisogna, perciò, sperare che è necessario continuare ad avere la fede e la speranza in tempi migliori, in cui convivano l’armonia tra le persone e il rispetto alla dignità della donna, come l’altra metà del cielo. Ma non si può dimenticare e far finta di vedere che le cose non vanno secondo la normalità dei buoni rapporti umani.

Bisogna prendere, invece, coscienza che non va tutto bene adesso e nemmeno, purtroppo, andrà bene domani, se il problema della violenza sulle donne non verrà affrontato di petto e risolto in modo definitivo per sempre. Le leggi ci sono; è l’applicabilità che manca, in alcuni casi. Le prospettive non sono delle migliori in quanto la crisi economica non gioca a favore delle donne: dovrebbe rappresentare un’opportunità per modificare il modo di vivere e non costringere le donne ad essere più sottomesse di prima.  Ci vorrebbe un miracolo!

È auspicio di tutti che un aiuto divino rinsavisca le coscienze dei violenti e li inviti a immedesimarsi nelle vittime per capire cosa si prova ad essere donne umiliate, violentate o uccise. Provare per credere cosa sono il dolore e l’umiliazione!
Lo scrittore Carmine Scavello augura buona vita a tutte le donne ed è vicino moralmente e spiritualmente a quelle che subiscono violenza fisica e morale.

A ricordo del collega dott. Giovanni Farina 

Cari familiari, amici e conoscenti,

la cattiva notizia che Giovanni è passato, come sul dirsi a miglior vita, ci ha rattristati enormemente per tutto il bene che ha prodotto per la comunità cernuschese, di cui si sentiva fiero dell’appartenenza. Lo conosco da una vita, nei panni di ex sindaco e come collega di lavoro, avendo lavorato nella stessa Azienda GTE/Siemens. In ogni attività umana, in cui si è cimentato, ha sempre dato il meglio di se stesso, applicandosi con amore e passione in quello che stava facendo.

Tutti i compiti che gli sono stati affidati li ha portati a termine con onore e orgoglio personale, non solo per dimostrare agli altri il suo sapere, quanto per dare valore al proprio ruolo di utilità nella società. Ha cominciato la sua esperienza di politica locale, coprendo il ruolo di assessore al Bilancio presso il comune di Cernusco Sul Naviglio. Il passo successivo è stato quello di sindaco, coprendo la carica di primo cittadino con senso di responsabilità e rispetto della cosa pubblica, vestendo i panni del buon padre di famiglia.

La porta del suo ufficio era aperta a chiunque, in quanto voleva essere il sindaco di tutti, dei suoi elettori e non. Chi non condivideva le sue idee era visto solamente come rivale politico e mai come un nemico da combattere; riusciva, poi, col suo carisma e il buonsenso della mediazione a convincere chi non la pensava come lui a condividerle. I sindaci che gli si sono succeduti hanno imparato tanto dalla sua condotta esemplare al servizio della cittadinanza.

Ha dedicato buona parte della sua vita aiutando i più deboli, non solo con parole di conforto, ma soprattutto con i fatti; per tutti aveva una buona parola di sollievo ed era un esempio di correttezza e di altruismo. Ne sanno qualcosa l’Associazione Anffas della Martesana e la struttura residenziale Parolina per l’impegno proficuo e costante verso le persone del territorio con disabilità.

Quando camminava per strada gran parte dei passanti lo salutava e lo rispettava come cittadino modello; per chiunque aveva un sorriso sincero e non di circostanza. Sebbene fosse un uomo molto colto ed intelligente, non faceva pesare la sua cultura e non si dava aria di saputello; per la sua umiltà e la bontà d’animo chiunque avrebbe voluto averlo come fratello o almeno come vicino di casa; sarebbe stato il valore aggiunto a una vita di relazione basata sulla concordia e sulla solidarietà.

Credo fermamente che Giovanni sia in credito con la vita: ha dato più di quello che gli è tornato indietro; il suo bene era a senso unico; e se aiutava qualcuno non lo faceva per averne un tornaconto individuale. Il mio rapporto personale con lui è stato sempre basato sulla cordialità e sull’amicizia sincera e discreta: il nostro incontro è stato sempre gioviale. Leggeva sempre ogni mio scritto; mi ringraziava e si congratulava con me. Poco tempo fa mi ha comunicato che aveva cambiato la sua mail perché ci teneva ancora a ricevere i miei elaborati letterali.

Mi manca un amico come lui che trovava sempre parole gentili per me. Non cancellerò giammai il suo nome dalla lista dei miei contatti, in quanto ogni volta che scriverò il nome Giovanni mi ricorderò di lui e gli dedicherò un dolce pensiero. Riposa in pace Giovanni. Io mi ricorderò di lui quando mi salutava: ciao amico scrittore!

L’autore Carmine Scavello

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 22 Ottobre 2020

Libera divagazione su Ognissanti: Buon Onomastico ai lettori!

Il 1° novembre è il giorno dedicato alla festa di tutti i Santi; così, si spiega la denominazione di Ognissanti. Tutti i comuni mortali avranno l’occasione di festeggiare il proprio onomastico al pari degli altri simili e di essere messi sullo stesso piano d’importanza, perché non ci sono santi di serie A e di serie B. Credo che in paradiso non ci siano caste, per cui tutti i beati, che ne fanno parte, godano degli stessi privilegi e degli stessi diritti e siano tenuti in considerazione allo stesso modo dal Padre Eterno. I fedeli, sbagliando, stilano una classifica dei santi più importanti e meno importanti nella Chiesa. In pratica, il pensiero celeste non è allineato con quello terreno; usa lo stesso metro di valutazione per tutti per non creare differenze e gelosie – ammesso e non concesso che possano esistere. Le condizioni per diventare santi sono – o non sono – uguali per tutti: contano le situazioni comportamentali, ambientali, temporali e spaziali. La storia fa il resto.

Il calendario solare è limitato, per cui è insufficiente per poter dedicare un giorno specifico per ogni santo; cosicché, moltissimi di loro vengono raggruppati e venerati nella festività di Ognissanti. È stata una scelta giusta e ponderata, che ha fatto la Chiesa, per sopperire a questo problema e per non dimenticare nessuno.

Quando ero ragazzino, abbiamo chiesto in classe, alle scuole elementari, al nostro sacerdote Don Agostino, insegnante di religione, chi fossero in realtà i santi e cosa avessero fatto, in pratica, per diventare tali. Egli così ci rispose: “i santi, prima di diventare tali, erano persone come noi, ma con una marcia in più; hanno professato la loro fede con la gioia di compiere il bene al servizio degli altri e vivendo una vita esemplare, combattendo il peccato e sacrificando la propria, nel caso dei martiri ufficiali. Essi non rimandavano al domani il bene che potevano fare l’oggi, perché domani le cose avrebbero potuto essere cambiate o non avere avuto più il tempo. Costoro non sono nati santi, ma lo sono diventati; probabilmente, era stato scritto nel cielo che lo sarebbero diventati, ma non ho la sfera di cristallo per poterlo confermare. Posso riferirvi, al di là di tutto, che la santità non è un privilegio riservato ad alcuni, ma è una possibilità che hanno tutte le persone virtuose che vivono in grazia di Dio e lontani dal peccato. Se sono in numero limitato, significa che non è facile essere santi e rinunciare ai privilegi che offre la vita terrena. Dare un calcio alla ricchezza, al successo e al potere ci vogliono tanto coraggio, determinazione e, soprattutto, coscienza della scelta. Concluse che non si può essere santi a metà solo per alcuni aspetti; o lo si è completamente o non lo si è affatto. Il miglior modo di onorarli è uno solo: cercare di imitarli!”

Io, nei panni di autore, posso affermare che ho conosciuto persone pie che hanno sfiorato la santità per aver vissuto una vita virtuosa al servizio dei più deboli e dedicato tutto il loro tempo e il loro amore per gli altri. Se andranno in paradiso, lo sarà solo in veste di brave persone e non come santi: non hanno fatto miracoli, ma solo opere di bene. Le considero degne di appartenere al genere umano e di essere vissute, compiendo il bene come normalità e non come eccezionalità.

Buon Onomastico e buona vita

dal collega e scrittore Carmine Scavello

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 30 marzo 2020

Il tempo di leggere c’è: siamo chiusi in casa!

< Dove sono? Che giorno è? I giorni sembrano tutti uguali; ma non lo sono, in quanto ognuno di essi passa alla storia come unico ed irripetibile! Domani è un altro giorno e sarà diverso dal precedente, perché anche il sole, che ci dà luce e calore, è più vecchio di un giorno. Ogni alba è un segno di speranza >.

I giorni passano in un silenzio surreale: si sentono solo gli uccellini che cantano sui rami degli alberi del giardino condominiale; la sforsizia è già in fiore ed annuncia che la primavera è arrivata. Allungo lo sguardo più in là nel parco pubblico confinante col nostro e vedo l’altalena immobile; gli scivoli e il castello con la casetta vuota che si meravigliano che non c’è nessun bambino a fare la coda per salirci sopra. Le panchine aspettano invano che qualcuno le occupi e prenda il sole come tante lucertole, ancora assonnate in questo periodo primaverile. Ogni tanto sento in lontananza il suono cupo di una sirena che man mano diventa sempre più forte; chissà chi sta trasportando? E’ una strana sensazione come se fossi in un’altra realtà lontana molti chilometri o in un altro periodo storico. Sposto lo sguardo verso la strada deserta e non vedo automobili circolare; i marciapiedi dicono: Qualcuno ha sbagliato a chiamarci così; dove sono i piedi che dovrebbero marciarvi? Il campanello di casa o del cancello esterno non suona da giorni: non c’è nessuno che porta volantini; non c’è più il postino che consegna la posta; non c’è nessun amico che viene a trovarci. Il pulsante del campanello di casa si meraviglia del suo nome: sono giorni che nessuno lo pigia; poverino non sa cosa pensare. Meno male che ad orari stabiliti si odono le campane della chiesa a portarci con i loro rintocchi rassicuranti una presenza umana e a ricordarci che lassù che c’è Qualcuno che ci pensa e non ci abbandona mai. Quelle campane inconfondibili della nostra chiesa non sono tristi: hanno il suono allegro di sempre; forse sono io a non sentirne il richiamo e il messaggio di speranza che diffondono. Scrollo le spalle e dico a me stesso: Ma oggi che giorno è? Dove sono? Perché questo silenzio irrazionale? Mah, forse sto vedendo immagini e sentendo suoni chissà di quale paese e di quale epoca storica! Somigliano tanto al mio ambiente familiare; mi sento rapito da un sogno; allora mi sveglio perché non mi va di continuare ad essere immerso in questo sogno che non mi appartiene. Apro gli occhi e mi rendo conto che siamo in un giorno della terza decade di marzo 2020. Vedo le cose di tutti i giorni, così mi rendo conto che non stavo sognando, ma vivere la realtà che vedo da giorni entro le quattro mura di casa. Tutto ciò che ho visto e sentito in quel sogno è l’effetto del decreto che ci obbliga a restare a casa per il bene proprio e quello degli altri. Allora la quasi totalità della gente lo rispetta per dovere e per amor proprio! Ora mi aspetta di fare un altro sogno più bello del precedente: vedere quel parco pieno di bambini; le panchine con le persone sedute; le strade riempite di automobili; i marciapiedi degni di tale nome; il citofono finalmente annunciare qualcuno; il campanello di casa emettere il suo suono familiare; le campane della chiesa felici di annunciare che è l’ora della messa. Il nuovo sogno è dietro l’angolo: devo solo essere paziente ed aspettare quel miracolo da tutti atteso, desiderato, sperato: una liberazione da questo incubo che sta affliggendo la nostra esistenza. La vita è là fuori che ci aspetta, però ci dice che qualcosa da adesso è cambiato. Potremo dire che i giorni di isolamento ci hanno dato la lezione che un mondo migliore potrà esistere, se ci daremo la mano da buoni amici; se mettiamo da parte la superbia; se usiamo l’arma del perdono; se ci convinciamo che gli altri siamo noi; che il nemico si combatte tutti insieme e non in ordine sparso; che dobbiamo dare il giusto valore al tempo come la cosa più preziosa che abbiamo dopo la salute; che dobbiamo condurre una vita sana per il nostro benessere; che dobbiamo fortificarci nello spirito per affrontare con razionalità ogni evento; che siamo buoni a nulla e capaci di tutto; che tutti i nodi vengono al pettine; che è sempre l’ora di fare qualcosa di buono; che se vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo cominciare a cambiare noi stessi; che per raccogliere dobbiamo prima seminare; che per avere bisogna prima dare; che non è tutto oro quello che luccica; che dietro un viso d’angelo c’è un demonio e viceversa; che l’amore apre tutte le porte come il sorriso; che la verità trionfa sempre sulla menzogna; che si vivrebbe meglio se ognuno facesse il proprio dovere; che quando c’è una meta anche una giungla diventa una strada; che una vita senza musica è come un corpo inanimato; che se cadi dieci volte, hai il dovere di rialzarti undici volte; che se riesci a parlare, puoi riuscire anche a cantare; che la vita è come uno specchio, se gli sorridi ti renderà il sorriso; Chi spreca il suo tempo per cose inutili è come rubare a se stesso; si comincia ad invecchiare quando si smette di imparare; che se vuoi imparare a cavalcare, devi imparare anche a cadere da cavallo; che i guai della pentola, li conosce solo il coperchio; che…  Lancio la palla nel vostro campo; continuate!

Buona vita dall’autore Carmine Scavello

(contatti: facebook; mail carminescavello@yahoo.it; tel. 349 2980359)

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 6 Gennaio  2020

<< Arriva l’Epifania e tutte le feste porta via! >>

Oggi si chiude un ciclo di lunghi festeggiamenti durato parecchi giorni a cavallo tra i due anni solari 2019 e 2020. Ognuno ha avuto il modo e il tempo di riflettere su come girano le cose del mondo e su cosa egli fa e potrebbe fare per cambiarlo in meglio, cominciando da se stesso. Quel singolo individuo direbbe che rappresenta una piccola e insignificante goccia nell’umanità; ma, quella preziosa gocciolina insieme a tante altre a lei simili formerebbero un mare immenso di gocce, unendo le forze, le idee e gli aiuti. In questo gioioso periodo dedicato alle cosiddette feste natalizie sono stati ricordati buoni sentimenti, quali la bontà, la solidarietà e la condivisione: si spera che anche il messaggio di queste sante parole l’Epifania non se le porti via, altrimenti i buoni propositi cadrebbero nel vuoto, sebbene sia sempre tempo di amare gli altri e di rispettare i buoni precetti. Si dice: Chi vuole una strada la trova; chi non vuole mille scuse le trova. Alla festa della Befana si suole appendere – in concreto o nell’immaginario – una calza alla spalliera del letto o sul caminetto e sperare che non vi trovi il carbone; quante persone si sentono meritevoli di meritarlo o di non meritarlo? Lascio la risposta alla loro coscienza. Una cosa rimane di queste feste: avere acquisito la consapevolezza – attraverso i mezzi di comunicazione – che ci sono poche persone, ma buone rispetto alla gran massa, e disponibili ad aiutare il prossimo; lo sperpero e una diffidenza strisciante sono sotto gli occhi di tutti. C’è chi naviga nell’oro e chi fa fatica a tirare a fine mese; si parla tanto di povertà che alla fine non fa più notizia. Occorrono più fatti e meno parole e che gli aiuti siano mirati e non a pioggia; potrebbero cadere in un campo che non avesse bisogno di essere irrigato di acqua piovana oppure che piovesse sempre sul bagnato. Quante leggende ci sono sull’Epifania nessuno lo sa! Un tempo venivano trasmesse oralmente per cui tante si sono perse per strada. Una, in particolar modo, mi ha colpito per esperienza diretta; ce la raccontava mia madre e noi figli l’ascoltavamo a bocca aperta. Raccontarla è lunga per cui soprassiedo; chi volesse la troverà in un mio prossimo libro dal titolo provvisorio “Storiucce Maestre” con una o più morali finali – nel capitolo la “Leggenda dell’Epifania”. A proposito, ho già pubblicato il mio quinto libro di storielle con una o più morali finali dal titolo “Storie Storiucce Storielle”, di cui ne ho ancora delle copie per eventuali richiedenti. Per dovere di cronaca, ricordo che da ragazzo in questa giornata festiva si augurava agli amici Buona Pasqua. Il motivo che ci veniva detto era che l’Epifania era ed è la prima delle quattro feste religiose – senza ordine di importanza – più solenni dell’anno insieme a Natale, Pasqua, Pentecoste. In tale data, durante la Santa Messa la Chiesa annunciava le date delle Ceneri, della Pasqua e delle altre feste ad essa collegate; cosicché è considerata la prima Pasqua dell’anno!.

Perciò, Buona Pasqua e buona, lunga e serena Vita   dal vostro amico scrittore Carmine Scavello

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 31 dicembre  2019

Cari destinatari, e …             (Felice e Buon Anno 2020)

Vi abbraccio caramente uno per uno e vi auguro una pioggia simbolica e copiosa di auguri, i più grandi che vorreste ricevere. L’Anno 2019 ci lascia per sempre e va negli archivi storici; si porta con sé tanti ricordi di ogni genere ed altrettanti momenti particolari da incorniciare o da dimenticare; affidiamo alla storia l’Anno appena trascorso come monito per fare del 2020 un Anno eccellente per gettare solide basi su cui costruire le fondamenta di quello in arrivo e degli altri che seguiranno a ruota. Impariamo dagli errori del passato che possiamo e dobbiamo migliorarci con la convinzione che abbiamo le capacità di farcela con le nostre forze. Usiamo normalmente una piccolissima parte del nostro intelletto; facciamo in modo di attingere l’energia necessaria dalla gran parte restante e inutilizzata. Si può? Certo che si può! Basta spremere le meningi nel verso giusto e fare le scelte oculate di non sprecarle per cose inutili, di scarso valore e dannose per noi e per gli altri. C’è un segreto? Certo che c’è! Trovatelo! Volere è/e potere sono due azioni che non si smentiscono mai! In ogni cosa che facciamo esistono un senso ed una morale: troviamoli e facciamone buon uso e consumo! Cominciamo col piede giusto a migliorare noi stessi nell’ottimismo, nel morale, nella volontà, nella sapienza, nella voglia di vivere e nella speranza che un mondo migliore esiste se ognuno di noi facesse la propria parte con coscienza, buonsenso, amor proprio e senso del dovere. Chi devia da questo percorso virtuoso è un nemico del genere umano e se ne assuma le proprie responsabilità! Verrà il giorno che capirà che tutti i nodi verranno al pettine e dirà a se stesso che ha sbagliato tutto nella vita, se avrà il coraggio di ammetterlo e di non mentire a se stesso. Ci sarà “Qualcuno” che gli tirerà le orecchie e gli renderà pane per focaccia! E’ buona norma augurare Buon Anno anche a lui come a tutti i fratelli del nostro cammino terreno. L’Anno che verrà avrà tante prospettive ed altrettante promesse da mantenere; però, poverino da solo non ce la farà mai se non gli daremo una mano! E’ nel nostro interesse far sì che fosse ricordato negli annali storici come un Anno meraviglioso al pari degli altri che hanno segnato la nostra vita. Ognuno sa cosa vuole dall’Anno Nuovo; io auguro a tutti che i loro desideri si avverino! Sarebbe una cosa stupenda se il Capodanno diventasse d’incanto un Capogiorno e che ogni Anno desse una svolta alla propria vita. Se abitaste in prossimità della linea dell’equatore festeggereste due Capodanni; ma, a che pro? Se per raddoppiare i buoni propositi, sarebbe il massimo, purché sia una promessa sincera e non un doppio inganno!

Felice e Buon Anno 2020 e Buona Vita a tutti gli abitanti della terra dallo scrittore Carmine Scavello, che saluta calorosamente ed auspica tanta gioia nel cuore e nell’anima e la benedizione divina sulle nostre teste.

(contatti: mail carminescavello@yahoo.it; tel. 349 2980359; facebook)

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 25 dicembre  2019

Natale: la letterina al mio mio papà

Passano i tempi, cambiano le mode, ma la letterina di Natale resiste imperterrita a durare nel pensiero collettivo della fanciullezza di allora e di  sempre. E’ un rito a cui non sfugge la maggior parte dei bambini in rispetto della tradizione popolare. E’ un gesto di affetto finalizzato da tempo memorabile per avere dal babbo una mancetta straordinaria, oltre al regalo di Natale – o di Santa Lucia. C’è tutta una preparazione accurata per rendere l’evento una felice sorpresa nel pensiero del bambino. Deve sembrare un segreto che il genitore non deve sapere per non togliere l’atmosfera calorosa che ruota intorno a quella tradizione radicata. Apparecchiata la tavola, i bambini pongono con cura la letterina tra il piatto del primo e quello del secondo del papà; in quella posizione non potrà non attirare la sua attenzione. Infatti, egli si accorge che c’è qualcosa che non quadra e guarda sotto il piatto del primo per togliere l’ostacolo, motivo di dubbia instabilità. Grande sorpresa! Scopre che c’è una lettera indirizzata “Al mio papà”. Dimostrando stupore, egli apre la busta e tira fuori la letterina; non la legge, facendo finta di essere stanco, così prega il figlioletto di leggerla lui al suo posto. Il bambino non si aspetta questa mossa imprevista in quanto è grande l’emozione a leggere quando gli occhi di tutti gli sono puntati addosso; però, non può tirarsi indietro; è in ballo e deve ballare, anche perché non c’è una persona volenterosa che legga al suo posto per non rovinare l’effetto psicologico. Vinto l’impatto emotivo e rischiarata la voce lo scrivente si appresta a leggere la letterina e si merita, quindi, il doveroso applauso finale. Sembra poco, ma è tanto per un bambino che si affaccia a relazionarsi col mondo degli adulti ed esprime il suo primo pensiero augurale scritto. E’ un augurio di benessere e di buona salute indirizzato al papà, compresa naturalmente tutta la famiglia, in quanto egli rappresenta un punto fermo, senza togliere nulla alla figura della mamma, che è un po’ complice di questa sorpresa sceneggiata. La letterina è piena di buoni propositi e di promesse: essere bravo; impegnarsi a scuola; aiutare in casa; conclude con: Vi voglio tanto bene! Quelle promesse ricordano Pulcinella; però, in teoria sono fatte col cuore, anche se la pratica è di tutt’altra natura. Si arriva alla conclusione che tempi erano, tempi sono e tempi saranno fin quando ci saranno una famiglia e una maestra che ricorderanno ai bambini di fare questa bellissima esperienza di vita, che gli adulti hanno fatto prima di loro.

Buon Natale e Buona Vita, nonché Buone Feste dallo scrittore Carmine Scavello – Per chi non lo sapesse, sono autore di sei libri pubblicati; il sesto di intitola “ti racconto il mare … Brevi saggi, aneddoti, riflessioni

(contatti: mail carminescavello@yahoo.it; tel. 349 2980359; facebook)

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 25 dicembre  2019

Natale: la letterina al papà  

Cambiano le mode, ma la letterina rimane;

il tempo non può nulla sulle tradizioni umane.

Gli adulti ricordano con gioia quell’evento;

non ostacolano questo particolare momento.

Scrivere la letterina è un bell’impegno;

si dimostra al papà che ci vuole ingegno.

Anche questa fa parte della magia natalizia;

si redige con tanto amore e nessuna malizia.

Alla base del componimento c’è tenerezza;

il premio più ambito è una dolce carezza.

Si fanno buoni propositi e delle promesse;

sebbene in palio ci fosse un piccolo interesse.

Le dolci parole fortificano il legame affettivo;

         ogni papà smorza ogni atteggiamento emotivo;

         dà al figlio premuroso tutto lo spazio che merita;

         gli concede il tempo e l’opportunità per la recita.

E’ Natale: la famiglia è attorno a una ricca tavola;

l’ambiente è arredato come una scena da favola.

Le luci dell’albero infondono un clima di euforia,

negli occhi dei commensali si legge la loro allegria.

Il papà conserva la letterina nel suo cassetto,

         chiusa gelosamente in un personale cofanetto.

         Al momento opportuno, se serve, la tira fuori;

         la mostrerebbe come insegnamento ai mentitori.

Il bambino euforico vuole gratificare il papà;

la lettera è un riconoscimento alla sua bontà.

Potrebbe sembrare un gesto mirato e venale,

la componente umana supera quella materiale.

Ci sono simboli natalizi più grandi e importanti;

         il presepio e l’albero ne sono esempi interessanti.

         La letterina rimane nel suo piccolo un messaggio,

         non tramonta fin quando c’è un bambino saggio.

Buon Natale e Buona Vita, nonché Buone Feste

dallo scrittore Carmine Scavello

(Contatti: mail carminescavello@yahoo,it; tel. 3492980359; facebook)

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 25 novembre  2019

Preambolo.

Se avete tempo, voglia, piacere, interesse e amor proprio, leggete la libera divagazione seguente; non spaventatevi della lunghezza della lettera; vedrete che ne varrà la pena leggerla fino in fondo. Allargherete i vostri orizzonti su un problema vecchio e attuale e mai risolto alla radice. Esistono i violenti perché esistono i violentati. Il mio messaggio è far prendere coscienza che non dovrebbero esistere né gli uni e né gli altri. Partite dal presupposto che ognuno si metta nei panni dell’altro; solo così si potrà capire la sofferenza che si arreca quando si è schiavi dell’odio, del malessere fisico e morale e della prevaricazione del più forte sul più debole.

25 Novembre 2019 – Libera divagazione sulla violenza.

Ometto volutamente di parlare di crimini, violenze, soprusi, danni e offese arrecati all’ambiente, alla Natura e agli animali, non perché non sono meritevoli di riguardo, quanto per restringere il raggio di azione al campo umano.

La violenza e la mancanza di rispetto verso un nostro simile sono azioni ignobili, riprovevoli e ingiustificabili, che non fanno onore di appartenere al genere umano.

Uomini e Donne sono stati creati per convivere pacificamene il loro passaggio terreno e vivere liberamente la propria esistenza. Le Sacre Scritture dicono: Crescete e moltiplicatevi! La vita è stata donata agli umani per farne un capolavoro; nessuno è padrone della propria vita; non è ammesso neppure il suicidio, figuriamoci l’omicidio. Sappiamo solo quando siamo nati, ma non quando chiuderemo gli occhi per sempre; non siamo padroni di farlo in autonomia. Almeno, speriamo ed evitiamo che ci sia qualcun altro che disponga della nostra vita in senso negativo, disumano, possessivo e discriminatorio!

Chiunque fa azione di violenza su un proprio simile è come se facesse un torto al proprio Dio (chiamateLo come volete, purché Gli usiate rispetto in qualità di Creatore del creato e della vita stessa). Ridurre in schiavitù e subordinazione materiale e morale un essere umano non è contemplato in nessun codice civile e penale; coloro che arrecano un danno volontario ad un proprio simile ne risponderanno davanti la propria coscienza e Dio il giorno del Giudizio Universale. E’ tollerata un’azione involontaria, purché ci siano il pentimento, le scuse e la promessa di non ripeterla in futuro. Errare è umano, perseverare è diabolico e inumano!

I congiunti ci vengono donati per nascita su un piatto d’argento e come tali dovrebbero essere amati, accettati e rispettati per amore di Dio. I coniugi, gli amici, i compagni, i fidanzati, i conviventi, i colleghi, ….. i vicini li scegliamo noi: è per questo che dobbiamo rispettarli e amarli e rendere i rapporti umani buoni, felici e sereni. Qualcuno parla di destino (Era scritto nel cielo che noi ci amiamo dice una famosa canzone); sarà pure così, però, noi gli diamo una mano con la nostra omertà e la tacita sottomissione, in caso di rapporto burrascoso e dipendente!

In caso di contrasti, sappiate che sulla Terra c’è posto per tutti per cui bandiamo l’odio e trasformiamolo in tolleranza, così ognuno se ne vada per la propria strada e se ne faccia una ragione. L’etica della reciprocità recita: “Non fare agli altri ciò che non vorresti che gli altri facessero a te!”. Basterebbe rispettare fino in fondo questa regola universale, fondamentale e condivisa per bandire la violenza: non occorrono proclami, avvertimenti, consigli, annunci, tavole rotonde e leggi ad hoc.

Gli uomini di buona volontà, facenti parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948, approvarono e proclamarono la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Ognuno ne potrà leggere autonomamente il testo completo sui motori di ricerca. Sono 30 articoli scritti in modo scorrevole, capibile e leggibile; il lettore capirà quanto sono importanti la dignità, il rispetto della Persona, della Cosa e del Bene Comune, la convivenza pacifica e i valori, senza tempo e senza spazio, su cui si fondano e progrediscono le società umane. Ne consiglio vivamente la lettura con molta attenzione e partecipazione. Chi lo farà vi troverà tanti spunti interessanti come vivere in armonia la propria vita in comunione col Creato e con quella degli altri fratelli, religiosamente parlando. Dopo aver letto il suddetto proclama, costui capirà come si sta al mondo in pace con se stesso e nella grazia di Dio e degli Uomini.

Il 25 novembre di ogni anno, “GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE”, potrebbe essere un giorno qualunque e non una ricorrenza nefasta, se tutti gli uomini della Terra si attenessero al monito dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 10 dicembre del 1948 sui Diritti Civili e Umani.

Gelosia, ripicca, invidia, odio, indifferenza, violenza, … maltrattamento, se pur esistenti nei comportamenti umani riprovevoli, non dovrebbero far parte del nostro vocabolario. Gli Uomini e le Donne di buona volontà sono stati creati per essere Individui portatori di pace, di amore e di armonia.

Mi ripeto volutamente nel finale della libera divagazione. Ricordate sempre che per avere rispetto, dovete dare sempre e comunque rispetto; che siano uomini, donne e bambini, a ognuno devono essere riconosciuti e tutelati i Diritti Universali del genere umano!

Buona vita, armonia e tanta serenità dallo scrittore Carmine Scavello
( contatti: mail carminescavello@yahoo.it; tel.349 2980359; facebook)

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 1 novembre  2019

Auguri per la festa di Ognissanti!

I giorni del calendario sono limitati per menzionarli tutti, cosicché si è scelto questo giorno particolare dell’anno solare per raggrupparli in un’unica giornata per dedicare loro una preghiera e i doverosi festeggiamenti. Già chi festeggia l’onomastico durante l’anno del proprio santo protettore non è esonerato a festeggiare in questa giornata; il suo Santo entra di diritto in quest’elenco per fare compagnia agli altri Beati. Bisogna rendere onore al nome che possediamo non solo oggi, ma tutti i giorni dell’anno con la nostra bontà, la rettitudine e una buona condotta di vita, cercando di essere Grandi anche nelle piccole cose. Non si pretende di essere Santi, ma almeno buoni nello svolgere dignitosamente e con coscienza i nostri compiti assegnati nella società; nessuno ci chiede miracoli, di cui non siamo capaci; però, una condotta esemplare è il minimo che possiamo mostrare agli occhi della comunità per amor proprio e per far piacere a Dio. Chiediamo ai Santi di illuminare il nostro cammino di vita, specialmente quando smarriamo la via che conduce al bene, all’amore e alla pace. Sarebbe bello percorrere le orme dei Santi che ci hanno preceduto, però ci vuole tanto coraggio a dare un calcio alla nostra vita e vestire i panni dei Beati. Mi hanno insegnato che se il Signore usasse solo la bilancia, il Regno dei Cieli sarebbe vuoto; però, usa il perdono e quella porta rimane aperta per chi ne sarà degno. Un mio conoscente che leggeva di continuo la Bibbia e la rileggeva daccapo ogni qualvolta terminava di leggerla ripeteva spesso alla gente: Io dovrei essere un Santo! Ma c’è la gente che mi fa arrabbiare, perciò sono solo buono; così, rasento la santità. Almeno sono tranquillo in quanto i buoni entreranno in Paradiso dalla porta di servizio. Ripeteva: Fate come me! Non è così che si diventa santi e si vive da buoni, se poi quell’uomo peccava di continuo, razzolava male e ogni sera chiedeva perdono del peccato commesso. L’indomani era come il giorno precedente. Al di là di ogni considerazione o punti di vista, oggi 1° novembre sarebbe auspicabile che tutti insieme pregassimo per tutte le persone che soffrono e che la pace nel mondo sia un diritto e non una conquista. Viviamo sotto lo stesso cielo, allora mi chiedo: Perché ci debbano essere persone fortunate e altre sfortunate? Santi tutti coalizzatevi e portate in Terra i doni della vostra santità, affinché ognuno ne faccia incetta per rendere il mondo più giusto. E’ un’utopia? Forse! Però, sperare e pregare non costa nulla, purché ognuno si facesse un esame di coscienza e decidesse da che parte stare.

 
Buona vita e auguri a tutti dallo scrittore Carmine Scavello
(Contatti: mail carminescavello@yahoo.it; tel. 349 2980359; facebook)
 

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 18-20 ottobre 2019
18-20 ottobre 2019 – gita dell’ALA a Carrara, Lucca e Pisa

Ringrazio doverosamente innanzitutto l’associazione ALA  per l’ottima scelta di questo itinerario di tre giorni. Non parlo volutamente di monumenti, palazzi, piazze, chiese e personaggi storici ed artistici in quanto la loro descrizione può essere recepita su qualunque opuscolo turistico, dedicato alle tre località turistiche. Non affronto nemmeno qualsiasi discorso sulle origini storiche e politiche perché diventerebbe noioso e contraddittorio, quando ci sono più fonti da citare. Le guide turistiche – che ci hanno accompagnato – sono state molto brave e all’altezza del loro compito. Io, dal mio modesto punto di vista, tratto della gita basandomi sulle mie osservazioni personali e faccio riferimento alle curiosità che le singole guide ci hanno impartito durante le loro descrizioni minuziose. Anche loro – dato lo scarso tempo a disposizione – si sono limitate a condurci nei luoghi più importanti delle città visitate e a darci un’infarinatura sulle notizie più importanti. Un gruppo di 44 persone è eccessivo per una sola guida: la distrazione, la concentrazione e la presenza effettiva e contemporanea non era gestibile per un massimo ascolto e partecipazione collettiva. Carrara è conosciuta nel mondo come la capitale mondiale del marmo fin dall’antichità; viene definita dagli storici città anarchica e libera: qui tutto è marmo! I suoi abitanti rappresentano tutto e il contrario di tutto; da fuori sono visti arcigni e arrabbiati; da dentro sono persone dal cuore grande e generoso e sono pronti a sacrificarsi per chi è in difficoltà. Mi ha rattristato il suo centro storico con le saracinesche di negozi abbassate e i cartelli vendesi; però, si udivano i battiti della Fortitude. Alzando lo sguardo in alto, si vede il bianco delle Alpi Apuane come se fosse neve, invece è il candore del suo marmo. Lucca è denominata la città delle 100 chiese; un tempo delle 250 torri. Sarebbe ora che l’UNESCO si sbrigasse a definirla Patrimonio dell’Umanità! Un tempo era chiamata Repubblica Nana – per via del suo esiguo territorio – e di Pidocchi – nel senso della tirchieria; i mercanti un po’ lo sono; non sperperano facilmente i denari, se non c’è un tornaconto personale. I Lucchesi, invece, si definiscono attenti a mettere le mani in tasca. Quando un’opera non finisce nei tempi stabiliti si dice: è costata quanto il Serchio ai Lucchesi. Solo Dio sa quanti danni ha provocato quel fiume maledetto e benedetto nello stesso tempo! L’orgoglio della cinta muraria mi dà la certezza di quanto il popolo lucchese fosse stato legato alla sua città: ognuno partecipò alla costruzione; chi poteva in denaro e i meno abbienti con giornate lavorative. Ecco il senso dell’appartenenza! Avevano una propria zecca per non restare senza denaro. Di Pisa, conosciuta e straconosciuta turisticamente, dico solo che si rinnova sempre il miracolo di calpestare l’erba della sua famosa piazza, di visitare gli altri luoghi meno conosciuti e nascosti e di portare l’augurio che la famosa Torre guardi il cielo e ci saluti col suono delle sue campane, in quanto è un campanile e non un torrione. Udire una voce femminile che si alza nella volta del Battistero, si amplifica e ritorna in basso sotto forma di eco modificata ci dice quanto è grande l’intelligenza umana quando si adopera per creare capolavori che ne esaltano l’ingegno. Nella Piazza dei Miracoli, c’è tutta l’essenza della vita umana che si evolve attraverso i quattro capolavori: il Battistero; la Cattedrale, il Campo Santo e la Torre. Si manda il messaggio che è sordo chi non vuole sentire la voce che viene dal Cielo!
Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 23 09 2019 Gennaio 2019

Cari amici e colleghi,

comunico – a quanti non lo sapessero – che ho pubblicato il mio sesto libro dal titolo “ti racconto il mare … Brevi saggi, aneddoti, riflessioni”. E’ composto da tanti capitoli indipendenti dedicati al nostro amico Mare attraverso storie, storielle, racconti, saggi, aneddoti, cronaca, curiosità …. Chi ama il mare l’amerà ancora di più; chi l’ama poco o per nulla comincerà ad amarlo! Il libro è interessante, coinvolgente, rilassante ed unico nel suo genere letterale per l’originalità del testo e per il messaggio positivo che manda in ogni capitolo. E’ un’ottima idea irripetibile farsene o farne un regalo; farete felici voi stessi e i fortunati riceventi; col vostro aiuto mi darete la possibilità di programmare le prossime pubblicazioni. La sola vista della copertina del libro sul comodino del vostro letto, al mattino, vi ispirerà pensieri positivi e vi augurerà una buona giornata da vivere momento per momento, prima che essi appartengano al passato. Sarò al convegno annuale dell’ALA a Brescia e Sirmione del 28 settembre 2019; in tale occasione ne porterò con me delle copie; chi fosse interessato ad averne una mi troverà nel ristorante al mio tavolo assegnato.

Grazie dell’attenzione e buona vita Carmine Scavello

(contatti; mail carminescavello@yahoo.it; telefono 349 2980359; facebook)

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 03 03 2019 Gennaio 2019

Gita (organizzata dall’Associazione ALA; sito ALAS – Cassina De’ Pecchi –MI) a Borgosesia del 3-3-19 con mete: il carnevale e il santuario di Sant’Anna.

E’ stato unito il sacro e il profano: sono stati presi due piccioni con una fava.
Il santuario di Sant’Anna ha occupato l’intera mattinata. Il luogo di culto è situato su un piccolo colle da cui si domina la valle, la città di Borgosesia e il territorio collinare e montagnoso circostante. Prima di arrivare al luogo sacro, si passa accanto a delle piccole cappelle che rappresentano scene della Via Crucis; sono un po’ malandate a causa dell’incuria dovuta agli agenti atmosferici; però, faccio appello alle Belle Arti e al Ministero dei Beni culturali per venire da queste parti per prendere visione del problema e provvedere, prima che la fugacità del tempo arrechi danni maggiori. Il santuario non è grandissimo, ma merita di essere visitato perché ospita al suo interno sei magnifiche cappelle con delle statue ad altezza umana che rappresentano la vita della Madonna fin dalla nascita; sono recintate da grate metalliche perché la stupidità umana non ha tempi e confini. Merita di essere ammirata la pala della Collegiata dei Santi Pietro e Paolo raffigurante la Madonna col Bambino e i Santi Giovanni Battista, Gaudenzio, Marco, Paolo, Caterina e Apollonia.
Il ristorante “Taverna toma e vino” ci ha ristorato con un lauto pranzo.
Il secondo momento della visita culturale è stata la sfilata dei carri allegorici e dei gruppi mascherati. Ne è valsa veramente la pena in quanto per originalità, ricchezza di costumi e partecipazione non è secondo a nessuno. La classifica dei carnevali più belli d’Italia è difficile stirarla perché ognuno è unico nel suo genere ed ha una storia propria legata al territorio, alle vicende storiche e agli usi e costumi del luogo. Sono rimasto affascinato dalla partecipazione collettiva della cittadina: le centinaia di comparse in maschera hanno dedicato tempo, preparazione, passione e amore alla riuscita della manifestazione.
Il carnevale di Borgosesia è uno dei più antichi della Valsesia; ha origine nel 1854. La città durante il carnevale assume il nome di Magunopoli e i capi spirituali sono le maschere Peru Magunella e Gin Fiammàa. Ha una prerogativa: non termina col Martedì grasso, ma il giorno dopo, mercoledì delle ceneri detto Mercu Scurot. In questa giornata si celebra la fine del carnevale con la lettura del testamento di Peru Magunella e il rogo della maschera. Per dovere di cronaca dico che l’altro carnevale che dura di più è quello di Milano e zone limitrofe con rito Ambrosiano; finisce il sabato successivo prima della domenica della 1^ Quaresima. I partecipanti al Mercu Scurot sono vestiti elegantemente con frac, farfallino bianco, cilindro, mantella e portano in una mano l’immancabile cassù (mestolo di legno utilizzato per bere il vino). I cilindrati, così sono chiamati i mascherati, iniziano il giro della città e mangiano e bevono vino presso le postazioni adibite a tale scopo con pranzo a base degli immancabili fagioli. Quest’anno si è aggiudicato il palio il carro allegorico del rione di Montrigone dal titolo Terra ferma. Il messaggio del problema dei rifiuti è stato molto forte nelle coscienze dei visitatori. Borgosesia si ricorda per la Manifatture Lane e negli annali storici per aver finanziato l’acquisto di due piroscafi su cui si imbarcarono i Mille per la conquista delle Due Sicilie. Un grazie di cuore ad Ala per la perfetta organizzazione e alla professionalità della ditta Trasporti Origgi di Carugate per il servizio autobus. Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello, autore di sei libri

(contatti: mail carminescavello@yahoo.it; tel. 3492980359)

 
 
Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 1 Gennaio 2019
Cari destinatari, e …….
Auguri di Felice e Buon Anno a tutti a pioggia, che quando scende dal cielo bagna tutti senza distinzione. Auspico che l’anno 2019 in arrivo sia migliore del precedente e più buono del seguente. Il 2018 ci lascia per sempre e si porta con sé tanti ricordi e altrettanti momenti da incorniciare o da dimenticare; lasciamolo alla storia come monito per fare del 2019 un anno eccellente per gettare solide basi su cui costruire le fondamenta di quelli che arriveranno a ruota. Impariamo dagli errori che possiamo e dobbiamo migliorarci con la convinzione che abbiamo le capacità di farcela con le nostre forze. Usiamo normalmente una piccolissima parte del nostro cervello; facciamo in modo di attingere l’energia occorrente dalla gran parte restante e inutilizzata. Si può? Certo che si può! Basta spremere le meningi nel verso giusto e fare la scelta oculata di non sprecarle per cose inutili, di scarso valore e dannose per noi e per gli altri. C’è un segreto? Certo che c’è! Trovatelo! Volere è (e) potere sono due azioni che non si smentiscono mai! In ogni cosa che facciamo esiste una morale: troviamola e facciamone buon uso! Cominciamo col piede giusto a migliorare noi stessi nell’ottimismo, nel morale, nella volontà, nella sapienza, nella voglia di vivere e nella speranza che un mondo migliore esiste se ognuno facesse la propria parte con coscienza, buonsenso e amor proprio. Chi devia da questo percorso virtuoso è un nemico del genere umano e se ne assuma le sue responsabilità. Verrà il giorno che capirà che tutti i nodi verranno al pettine e dirà a se stesso che ha sbagliato tutto nella vita, se avrà il coraggio di non mentire a se stesso. Ci sarà Qualcuno che gli tirerà le orecchie e gli renderà pan per focaccia! E’ buona norma augurare Buon Anno anche a lui come a tutti i fratelli del nostro cammino terreno. L’anno che verrà avrà tante prospettive e altrettante promesse da mantenere; però, poverino da solo non ce la farà se non gli daremo una mano! E’ nel nostro interesse far sì che fosse ricordato negli annali storici come un anno meraviglioso al pari degli altri che hanno segnato la nostra vita. Ognuno sa cosa vuole dall’Anno Nuovo; io auguro a tutti che i loro desideri si avverino!
Felice e Buon Anno a tutti gli abitanti della terra dallo scrittore Carmine Scavello

Felice e Buon Anno 2019 – Libera divagazione sul Capodanno.

Racconto un piccolo e piacevole aneddoto dei festeggiamenti del questo Capodanno. Un mio amico, presente alla festa, mi ha chiesto di esprimere un solo augurio da dedicare a tre soggetti diversi: gli Italiani, i cittadini del mondo, le persone comuni. Io spontaneamente e istintivamente così ho risposto: Per gli Italiani chiederei al Cielo che la nostra Costituzione venisse applicata e considerata integralmente in tutte le sue parti con amore, senso civico, lealtà e passione. Questa risposta l’ha lasciato di sasso in quanto l’ha considerata molto impegnativa e forse difficile da mettere in atto. Troppe lacune e negligenze fanno sì che venga ignorata da chi gli fa troppo comodo non rispettarla per non scontrarsi con i propri principi, i propri sentimenti, il valore patriottico e civile e il buon comportamento civico, etico e umano. Mi ha detto: Non ti sembra di aver chiesto una cosa esagerata? No, gli ho risposto: Se tutti noi fossimo cittadini modello di dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare ci sarebbe più giustizia sociale e più benessere per tutti! Troppe mani lunghe rovistano nelle tasche dei cittadini onesti e indifesi; chi dovrebbe vedere e sentire diventa cieco e sordo. Purtroppo è vero; ci sono delle regole da onorare; ma queste regole diventano elastiche, nel senso che ciascuno se le modella a proprio uso e consumo, contando sul fatto che le leggi, nella pratica, non sono uguali per tutti. Rotto il ghiaccio, poi ha aggiunto: Cosa chiederesti ai cittadini del mondo? Potrei chiedere una lunga lista di auguri, ma poiché la risposta è univoca, io chiederei che la pace si insediasse come un tarlo in ogni cuore e in ogni testa degli abitanti della Terra. Ogni volta che c’è una guerra ne subiscono le conseguenze il genere umano, l’ambiente e la Natura. Si rompe un equilibrio costituito con compromessi e promesse da marinai – chiedo scusa ai marinai per il modo di dire – e si ricade nell’errore ricorrente perché gli uomini, non più di buona volontà, perdono la memoria dei moniti, degli armistizi e fanno parlare di nuovo le armi. L’uomo è come il lupo: Perde il pelo, ma non il vizio; specie chi ha interesse che le guerre continuino per lucrare sulla morte di innocenti. Il mio amico mi ha posto ancora una domanda retorica e mi ha domandato chi ne traesse i vantaggi in caso di guerra. Ecco la mia risposta: Non ci sono né vincitori, né vinti; vince solo la mestizia; ci perdono l’orgoglio e la dignità, e di conseguenza le ferite inferte al genere umano. Cosa chiederesti per le persone comuni? Chiederei la prima cosa in assoluto: Ossia la buona salute! Io sono un fan di Nino Manfredi e ho citato la sua canzone: “Tanto pè canta”. Gli ho ripetuto quattro righe del testo: Quanno c’è ‘a salute c’è tutto/basta ‘a salute e un par de scarpe nove/poi girà tutto’ er monno/e m’accompagno da me! Per chiudere l’argomento, che cominciava a diventare troppo impegnativo, mi ha chiesto: Oltre la salute cosa mi avesse colpito delle parole del testo della canzone; rifletti bene, ha aggiunto! Una sola scelta. Gli ho risposto: la libertà; e così mi abbracciò dicendomi: Buon Anno! Torno al presente e con questo aneddoto vi lascio i miei migliori auguri per un Felice e Buon Anno Nuovo, nonché la lunga, buona e serena vita.

Lo scrittore Carmine Scavello vi saluta calorosamente e vi auspica tanta gioia nel cuore e nell’anima e la benedizione divina sulle nostre teste.

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 16 Dicembre 2018
Cari destinatari/e ….,

col vostro permesso, vi invio i miei più cari, sinceri e sentiti auguri di Buon Natale e di Buone Feste espressi con amore, libertà, piacere e a senso unico, ossia senza la pretesa del contraccambio. Spero che gli auspici siano di vostro gradimento o almeno considerati il mezzo che mi permettano di mettermi in contatto con voi. Penso che conti molto il pensiero al di là dell’accoglienza dei medesimi; mi hanno sempre insegnato che gli auguri spontanei e senza secondi fini siano i più graditi e condivisi.  
In allegato trovate la bella sorpresa di due miei nuovi quadretti letterali sul Natale, uno in rima e l’altro in prosa. Leggeteli entrambi solamente se avete voglia, tempo, pazienza, piacere e interesse a leggerli; non pretendo minimamente che lo facciate.
Di nuovo vi auguro: Buon Natale, Buone Feste e buona, lunga e serena Vita.
Carmine  Scavello

Natale in allegria

  • Il Natale dev’essere una festa di gioia,
  • perciò cancelliamo dalla mente la noia.
  • Per tanti è un momento di nostalgia;
  • dico loro di viverlo invece con frenesia.
  • E’ una ricorrenza che si vive in compagnia;
  • da soli il Natale è una grande malinconia!
  • E’ vero e condiviso il detto :Natale con i tuoi;
  • così ognuno lo viva intensamente con i suoi.
  • Per i credenti è una giornata religiosa;
  • così si trasforma in solare da uggiosa.
  • Il Natale porta grande gioia nel cuore;
  • depenna dalla nostra mente il malumore.
  • Come dice la parola, è una festa di vita;
  • la Natività ci porta un’euforia infinita.
  • Il tema principale è quello della bontà:
  • troppe mani cercano segnali di carità.
  • Bisogna stare attenti ai tanti impostori;
  • abusano della generosità dei benefattori.
  • Meglio restare nel dubbio che dare niente;
  • si rischia così di ignorare il vero indigente.
  • Una vigilia di Natale sognai un angelo biondo;
  • venne in Terra con amore per cambiare il mondo.
  • Seminò chicchi di buonumore e di concordia;
  • nacquero le piante che soffocarono la discordia.  
  • L’angelo mutò l’allegria in morbo contagioso;
  • alcuni ne furono colpiti in modo portentoso.
  • Nessuno dei colpiti guarì da quella malattia;
  • da allora il mondo visse momenti di euforia.
  • Mi svegliai e mi resi conto che non era così;
  • tutto era come prima e quel sogno svanì.
  • Allora pregai che l’’allegria lasciasse una scia;
  • così che tutti respirassimo l’odore dell’armonia.  
  • Speriamo che il clima del Natale non cambi mai;
  • la bandiera della tristezza non sventoli giammai.
  • Si spera che il suo fascino viva per l’eternità;
  • l’armonia e la pace vivano giorni di prosperità.
  • Fatevi convinti nello specchio un bel sorriso;
  • vedrete che l’allegria ritornerà sul vostro viso.
  • Pensate perciò e fermamente alle cose belle;
  • accettate il prossimo come fratelli e sorelle.  

NATALE IN ALLEGRIA

 Natale è ogni giorno dell’anno, se avessimo la pace nel cuore e se sotterrassimo per sempre l’ascia di guerra. Allora potremmo dire che il mondo respira un clima migliore nel segno della fratellanza. Chi è arrabbiato con se stesso, con tutti e col mondo intero non sa essere allegro; la sua mente, colma di arrabbiatura, è piena di odio e trabocca livore da ogni poro. Quell’individuo è schiavo dei suoi cattivi pensieri; vede intorno tutto nero. Quell’angelo, del quadretto in rima, del mio sogno a Natale dovrebbe andare a trovarlo più spesso e portargli in dono un capiente canestro di serenità; forse, la vita gli sorriderà e gli darà lo smalto dei tempi migliori. Gli esseri umani alla nascita sono nudi e tutti uguali; sono l’ambiente e le circostanze che, poi, cambiano il loro carattere in buono o cattivo. Anche il periodo storico, il luogo di nascita e l’appartenenza a un gruppo possono fare la differenza in meglio o in peggio. Sorridere agli altri, oltre che un piacere, dovrebbe essere un dovere morale di buona convivenza. L’allegria è come una malattia contagiosa; un sorriso donato, solitamente, è un sorriso ricambiato. Un Natale triste, che Natale è? Almeno in questo periodo natalizio facciamo lo sforzo mentale ed eccezionale di bandire la tristezza dalla nostra vita. Si dice che da cosa nasce cosa, cosicché riusciremo a piantare il seme della gaiezza nei nostri cuori. Poi, bisogna annaffiare quella piantina affinché metta radici profonde ed estese. E’ difficile? Forse. Un lungo cammino comincia sempre con un piccolo passo: allora cominciamo ad alzare i tacchi e muoviamoci verso la gioia. L’allegria viene dall’anima; parte, pervade tutto il corpo e termina con un sorriso. E’ lo stato d’animo più positivo che ci sia; in teoria costa poco essere allegri; in pratica, richiede l’impegno di dimenticare le preoccupazioni o accantonarle per un momento e dar loro il giusto valore che meritano. Superarle e affrontarle senza patemi d’animo è il segreto di non essere schiacciato dal loro peso. Ritorna in auge il detto che dice: “Se la vita ti dà cento motivi per essere triste, danne almeno cento più uno per essere allegro. Chiodo schiaccia chiodo è l’alternativa più giusta”. Essere triste è un disaggio interiore; occorre  fare un grande salto di qualità per vincere la negatività. Il problema rimane sia che si è tristi che se si è allegri; tanto vale, allora, cercare la strada che conduce all’allegria; il terreno sarà poco accidentato se ci sarà la piena volontà di cambiare atteggiamento e vestire i panni della persona allegra al di là dei problemi.

Buona, lunga e serena vita dallo scrittore Carmine Scavello (autore di sei libri pubblicati dal 2013)

 
Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 5 Dicembre 2018 
L’INGORDIGIA
L’ingordigia è il desiderio impetuoso di possedere sempre di più; normalmente, più di quanto se ne abbia realmente bisogno. Si fa solo per il gusto del possesso, al di là dell’utilità reale che se ne trae. E’ legata al possesso del denaro, ma vale anche per qualsiasi altro tipo di materiale di un certo valore. L’avidità è la bramosia di avere quell’impulso irrefrenabile ad accumulare ricchezze e a guadagnare il massimo possibile e impossibile, senza accontentarsi dei traguardi raggiunti. L’ingordo diventa vorace ed insaziabile col rischio fondato di calpestare impunemente le persone con cui ha a che a fare; spesso, queste ultime non sanno difendersi per paura di conseguenze o incapacità di reagire. Quel soggetto è come se fosse drogato per non rendersi conto del male che arreca agli altri. La domanda nasce spontanea: l’avido è una persona cattiva o è in malafede? Si è portati a pensare che abbia solo un problema continuo psicologico dovuto a un bisogno di colmare un vuoto dovuto a mancanza di stimoli e di affetti, ma capace – a modo suo – di sostituirli con beni materiali. Quell’uomo insaziabile ha un desiderio continuo di procurarsi anche ciò di cui non ha effettiva necessità. Somiglia al personaggio Walt Disney, zio Paperon de Paperoni, che si crogiola nel suo tesoro di monete d’oro; si tuffa letteralmente sul suo gruzzolo; se l‘abbraccia; vi si rotola e guai a dare una monetina a Paperino e Qui Quo Qua. Non si accontenta giammai di accrescere il suo patrimonio, sebbene non se lo possa minimamente godere, né condividere fraternamente con i componenti della sua famiglia. Quando parliamo di avidità ci riferiamo all’egoismo elevato all’ennesima potenza; si può riversare non solo su beni materiali, quali denaro, case, automobili, gioielli, ma anche su gelosia esagerata, altezzosità e senso smisurato di possesso; essa non dà contentezza in quanto crea insoddisfazione e invidia per chi possiede di più. Mi ha colpito una storiella semplice raccontata dal mio maestro elementare, sentita a sua volta narrare quando era un alunno anche lui. Agli scolari fu assegnato il compito di disegnare su un foglio una moneta. Il risultato fu sorprendente. I ragazzi di estrazione povera disegnarono una moneta enorme in confronto alla forma originale; quelli di estrazione abbiente la riprodussero minuscola, come fosse in fotografia. Il maestro vide nei due comportamenti la realtà dei due ceti sociali; in un caso il desiderio di possedere quella moneta e nell’altro la normalità del possesso. Un detto sempre attuale dice: “Beati gli ultimi se i primi sono onesti”. Io lo modificherei con: … se i primi non sono ingordi. Anni addietro davo una mano a mia sorella nella conduzione del suo locale da ballo; mi occupavo del bar e alla fine della serata sparecchiavo i tavoli. Ecco il fatto che racconto. Mia sorella ad una certa ora metteva a disposizione un buffet self service con pasta, pizzette, focacce e dolci; appena comunicava che potevano servirsi, si creava una fila incontrollata e tutti si riempivano i piatti fino all’inverosimile; nel frattempo qualcuno continuava a ballare e aspettava di servirsi con comodo; sbagliava i conti in quanto a causa dell’ingordaggine della gente restava poca roba nei vassoi. Mia sorella era costretta a cuocere altra pasta e riscaldare altre pizzette e focacce, ammesso che ne fossero rimaste ancora. Ora viene il bello. Quando andavo a sparecchiare trovavo i piatti interi di cibo non consumato e in quel momento pensavo a quei poveracci che erano rimasti senza. Dicevo tra me e me: Che ingordi deficienti! Almeno avessero mangiato quel ben di Dio e non costringerci a buttarlo nell’umido.
 
 

Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello: 2 Dicembre 2018 , gita a Rovereto

Visita al Castello di Avio e alla città di Rovereto del 01 dicembre 2018

Con questa ultima visita del 2018 i nostri amici dell’ALA ci regalano un’altra perla culturale e ci fanno gli auguri anticipati del Santo Natale. Stavolta ci portano in Trentino a visitare i luoghi citati nel titolo della lettera. La scelta la giudico interessante dal punto di vista strategico ed istruttivo. Il Castello di Avio, secondo me, non è conosciuto dal grande pubblico ed è un vero peccato. Però, se il FAI l’ha inserito tra i suoi beni culturali, ha i suoi buoni motivi e concordo pienamente nella lodevole scelta. Le tre poderose cinte murarie e le cinque torri ne fanno una possente roccaforte. Consiglio di visitarlo in quanto differisce dagli altri manieri per l’architettura, la posizione strategica, il panorama, la storia e gli splendidi affreschi. A seguire, la tappa di Rovereto (Roboretum in latino) ha concluso la giornata. E’ chiamata “città della quercia” perché un tempo era circondata da un bosco di querce in cui pascolavano liberamente gli animali, si ricavava il legna da ardere e vi si coltivavano cereali. La guida Daniela T. ha illustrato come Rovereto racchiuda al suo interno contesti moderni e antichi che si fondono per darle la palma di città turistica. E’ suggestiva la visita alla campana dei caduti battezzata Maria Dolens situata sul colle di Miravalle; è la quarta campana al mondo per il peso tra quelle che suonano a distesa, ossia ruotando sul proprio asse orizzontale. Ogni sera cento rintocchi ricordano i caduti di tutte le guerre per invocare pace e fratellanza tra i popoli del mondo. Il suono riecheggia nella valle. Le nazioni coinvolte nella Prima Guerra Mondiale, hanno offerto dei cannoni che sono stati fusi per costruire la campana; oggi si contano 95 adesioni di nazioni. Quei rintocchi mandano un messaggio eloquente ed univoco: amarsi come fratelli! Col vostro permesso mi allaccio alla mia quarta opera letteraria “I battiti dell’amore”.

(*) L’umanità non deve mai stancarsi di tenere accesa la fiammella della speranza, affinché la bandiera dell’arcobaleno continui a sventolare negli animi di coloro che amano la pace e ripudiano la guerra. Ogni uomo di qualunque latitudine faccia conto di avere un vessillo della pace tutto suo issato simbolicamente nel proprio giardino o legato saldamente all’inferriata del suo balcone perché il vento amico lo sventoli e ricordi agli altri uomini che un mondo senza guerra è possibile se si mettono da parte l’egoismo, l’odio e la superbia di appartenere ad una razza superiore. Non c’è amore senza pace; non c’è pace senza amore! Quando viene a mancare l’amore, si insinua il tarlo dell’odio, che scava profondi solchi nelle coscienze. Il sentimento dell’odio annebbia le menti e fa vedere nero anche il bianco della neve o il velo della sposa. Ha per areola una corona di cattiveria; si alimenta di dubbi e di sospetti e vede solo quello che appaga la sua arroganza e la sua discordanza. Ha inoltre per cattivi consiglieri gli angeli del male e mette tante sentinelle intorno ai suoi steccati per non fare entrare il bene. Odio e amore non possono convivere: l’uno è antagonista inesorabilmente dell’altro. La pace capisce che in queste meste condizioni è indesiderata e va in vacanza. Trasloca sconsolata verso altri lidi dove possa trovare un terreno fertile per mettere robuste radici tra uomini di buona volontà, amici della concordia. Sa bene che essa non si può imporre nei cuori con la forza e con la violenza; appena un contendente si distrae un attimo, girando lo sguardo altrove, il nemico della pace lo pugnala alle spalle. La guerra, sempre in agguato dietro l’angolo, è la conseguenza diretta dell’allontanamento della pace; tutto gioca a sfavore dell’amore; fomenta gli animi per appropriarsi del rancore e per trovare le giustificazioni a uno scorretto comportamento verso i fratelli di turno, giudicati rei di aver violato le regole ….

Lo scrittore Carmine Scavello augura buona, lunga e serena Vita

(*) Breve frammento tratto dal capitolo “Amore per la pace” del mio quarto libro “I battiti dell’amore”

  • Sacrario militare di Castel Dante, posto sulla sommità di Colle Castel Dante, dal quale è possibile avere una panoramica sulla città e sui suoi dintorni. La costruzione è del 1936, su progetto dell’architetto Ferdinando Biscaccianti. È l’estrema sepoltura di dodicimila soldati italiani e austro-ungarici uccisi sul fronte italiano durante la prima guerra mondiale. Il Sacrario conserva inoltre le spoglie dei martiri irredentisti Fabio Filzi e Damiano Chiesa. Un monumento al generale Guglielmo Pecori Giraldi ricorda la 1ª Armata italiana che, nel 1916, fermò l’offensiva austriaca
  • La Campana dei Caduti battezzata Maria Dolens, situata sul Colle di Miravalle, i cui cento rintocchi ricordano ogni sera i Caduti di tutte le guerre, invocando Pace e fratellanza nel mondo. Venne fusa il 30 ottobre 1924 con il bronzo dei cannoni offerti dalle Nazioni coinvolte nell'”immane massacro” della prima guerra mondiale. Prima di essere esiliata nel secondo dopoguerra sul colle di Miravalle, dominava, alta sul torrione Malipiero del Castello castrobarcense, la Valle Lagarina. Per decenni Maria Dolens costituì parte importante e significativa del paesaggio di Rovereto e della sua coscienza civica: la città, dopo ogni tramonto, risuonava del suo solenne monito alla fratellanza universale nel ricordo del sangue versato su tutti i campi di battaglia.[22]
  • Sacrario militare di Castel Dante, posto sulla sommità di Colle Castel Dante, dal quale è possibile avere una panoramica sulla città e sui suoi dintorni. La costruzione è del 1936, su progetto dell’architetto Ferdinando Biscaccianti. È l’estrema sepoltura di dodicimila soldati italiani e austro-ungarici uccisi sul fronte italiano durante la prima guerra mondiale. Il Sacrario conserva inoltre le spoglie dei martiri irredentisti Fabio Filzi e Damiano Chiesa. Un monumento al generale Guglielmo Pecori Giraldi ricorda la 1ª Armata italiana che, nel 1916, fermò l’offensiva austriaca

Tra i vigneti di Sabbionara d’Avio, gli affreschi del castello raccontano l’amore, ma anche storie di guerra ed episodi di  battaglie.

Il castello di Avio è uno dei più noti, antichi e suggestivi monumenti fortificati del Trentino. Dalla sua posizione, sulle pendici del Monte Vignola, il castello domina la valle fin quasi a Verona. Imperdibile il colpo d’occhio sull’imponente mastio, la poderosa cinta muraria e le cinque torri.

Probabilmente presidio militare già in epoca longobarda, divenne proprietà della famiglia Castelbarco per passare in seguito ai veneziani nel 1441. Dal 1977 il castello è  un Bene del FAI, che vi ha realizzato un’attenta opera di restauro.

Entrando, attraverserai una porta-torre coronata da merli a coda di rondine. Sulla destra osserva la mole della torre che spicca tra le mura orientali: è la “Picadora”, chiamata così perché, secondo la tradizione, sulla terrazza venivano impiccati i condannati.

All’interno, rimarrai incantato dagli splendidi cicli di affreschi di scuola veronese: La parata dei combattenti, sulle pareti della Casa delle Guardie, e La stanza dell’amore, eleganti decorazioni di gusto cortese nel mastio.

Il Castello di Sabbionara d’Avio si scorge da lontano. È il tuo primo benvenuto in Trentino!

Il castello è costituito da tre cinte murarie che circondano a guisa di corona l’insieme del sistema difensivo e può vantare 5 torri, tra cui quella della picadora, dove in passato venivano eseguite le condanne capitali per mezzo dell’impiccagione

Città della Quercia nome di rovereto

La Campana dei Caduti battezzata Maria Dolens, situata sul Colle di Miravalle, i cui cento rintocchi ricordano ogni sera i Caduti di tutte le guerre, invocando Pace e fratellanza nel mondo. Venne fusa il 30 ottobre 1924 con il bronzo dei cannoni offerti dalle Nazioni coinvolte nell'”immane massacro” della prima guerra mondiale. Prima di essere esiliata nel secondo dopoguerra sul colle di Miravalle, dominava, alta sul torrione Malipiero del Castello castrobarcense, la Valle Lagarina. Per decenni Maria Dolens costituì parte importante e significativa del paesaggio di Rovereto e della sua coscienza civica: la città, dopo ogni tramonto, risuonava del suo solenne monito alla fratellanza universale nel ricordo del sangue versato su tutti i campi di battaglia.[22]

 Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello :  21° Messaggio 15/11/2018 

Libera divagazione sulla stupidità

 << Se i cretini sapessero di esserlo, non sarebbero cretini! >>

E’ una frase vecchia come il cucco. Qualcuno direbbe che al giorno d’oggi ce ne sono sempre meno in quanto l’informazione ha fatto passi da gigante. Ma tempi erano, tempi sono e tempi saranno; però, chissà perché la mamme dei cretini sono sempre incinte!

Ho cercato se esiste la Giornata Mondiale della Stupidità e non l’ho trovata; forse perché è ogni giorno dell’anno. I miei maestri di riferimento mi han sempre detto che è impossibile far diventare intelligente uno stupido. Han rincarato la dose dicendo che l’intelligente – a stretto contatto con lo stupido – finisce per perdere la sua intelligenza temporaneamente o per sempre perché è molto più facile l’appiattimento verso il basso.

Un mio amico psicologo ha affermato che la stupidità è contagiosa; non ho elementi in mano per poterlo smentire. Egli parte dal presupposto che in natura gli elementi più diffusi sono l’idrogeno e la stupidità umana.

Durante una discussione tra amici sull’imbecillità è stata tirata fuori questa frase che riporto testualmente: L’umanità vive in un’epoca in cui le guerre sono civili, le bombe sono intelligenti e la maggior parte della gente è stupida.

Un comico napoletano durante uno spettacolo di cabaret disse alla spalla: “Sei nella media”. Perché domandò l’altro: Ogni minuto muore uno stupido e ne nascono due! Tu sei uno di quei due.

Durante una trasmissione televisiva sugli animali da cortile, un ragazzo chiese al conduttore come mai l’oca viene definita come un animale stupido; l’uomo colto di sorpresa da quella domanda insolita rispose: “Sicuramente è dovuto a causa delle stupidità che sono state scritte nel tempo dagli uomini di cultura con le sue penne.

Gli stupidi si attraggono come calamite. Ne ho avuta la prova sul mondo del lavoro; quando veniva assunto uno stupido, dopo una settimana dall’assunzione si accoppiava con gli altri stupidi dell’azienda. Poi, mi son chiesto: Ma gli esaminatori dormivano o erano attratti da altre qualità che – francamente – i benpensanti non vedevano?

Il mio capo un giorno affermò: E’ giusto che ci siano gli stupidi, altrimenti come si farebbe a capire chi sono gli intelligenti. Continuò il discorso dicendo una battuta stupida che mi ha colpito per la sua originalità: “Un cretino può leggere unsaggio e non viceversa”. Invece una battuta intelligente e riflessiva è espressa dalla legge di Murphy: “I cretini sono sempre più ingegnosi delle precauzioni che si prendono per impedire loro di nuocere!”

Parlando di depositi bancari con un mio amico direttore di banca egli mi disse che: “Uno sciocco e il suo denaro condividono lo stesso materasso”; quello sciocco usava il metodo antico di chi non si fidava degli istituti bancari.

A un banchetto di nozze se ne sentono di tutti i colori, specie quando si alza troppo il gomito; solitamente i ciucchi dicono delle verità. Quella che sto per dire è uno schiaffo morale all’amore di due giovani talmente innamorati da identificarsi nel detto “due cuori e una capanna”. Quell’uomo, cotto dai fumi dell’alcool, guardando e indicando con un dito tremolante il giovane sposo disse: “Se hai un padre povero sei uno sfortunato; se hai un suocero povero sei uno scemo”.

Un giorno davanti al casolare di campagna chiesi a mio padre come difendersi dagli stupidi; mi fece un esempio semplicissimo dicendomi: vedi il toro laggiù, lo temi di fronte perché potrebbe caricarti; vedi l’asino legato al palo, lo temi da dietro perché potrebbe scalciarti; così potrai difenderti. E gli stupidi? Purtroppo, lo temi da ambo le parti; è imprevedibile. Poi, aggiunse: Lo stupido ha un cervello così piccolo che quando due pensieri si incontrano, si fermano a litigare per decidere chi passa prima e chi dopo; intanto non passa nessuno dei due.

Mi lasciò un consiglio: “Non discutere mai con un idiota in quanto ti porta a ragionare come lui e ti batte con la sua ottusa esperienza. Gli chiesi quanti stupidi ci sono percentualmente nelle società; così mi rispose con una battuta spiritosa: “Dio deve proprio amare tanto gli stupidi, altrimenti non si spiegherebbe come mai ne ha creati così tanti”.

Feci notare a mio padre che ci sono tanti falsi stupidi in giro quando fa loro comodo; fanno finta di non sentire o di non capire per deviare il discorso o guadagnare tempo. Gli ho ricordato che un tempo c’erano tanti finti scemi per non andare alla guerra. Lui mi rispose che il vantaggio di essere intelligente è quello che può recitare la parte dello scimunito, a differenza che il contrario è impossibile ………………

Lo scrittore Carmine Scavello augura buona, lunga e serena vita.

(contatti: mail carminescavello@yahoo.it ; telefono: 349 2980359)

Convegno dell’ALA di Asti del 29 settembre 2018

Oggi – giorno della festa di San Michele – una numerosa carovana dell’ALA – costituita da baldi e orgogliosi giovani di una volta – si avvia a visitare una caratteristica cittadina piemontese di origine ligure – come villaggio – e poi edificata dai Romani col nome di Hasta Pompeia. Asti era nota già nel medioevo come la città delle “mille” torri ca; oggi ne sono rimaste una dozzina ca. Poi, le han fatto compagnia case-fortini, chiese, domus e palazzi. Mi vengono in mente cinque curiosità legate al territorio di Asti. La prima. Nella California esiste un villaggio chiamato Asti; fu fondato da emigrati piemontesi e svizzeri. Anche là c’è la tradizione dei vigneti. La seconda. In tutte le crociate l’esercito comunale di Asti vi partecipò con un suo drappello di uomini. La terza. Anche Asti annovera un miracolo eucaristico avvenuto entro il suo perimetro nel 1535. Si narra che durante la celebrazione della Santa Messa – allo spezzare dell’ostia – sarebbero uscite delle gocce di sangue che finirono sul calice e sul piatto – che lo copre – detto patena. Avvenne nella chiesa collegiata di San Secondo; i presenti estasiati urlarono al miracolo, ma – poi – l’ostia consacrata ritornò normale – senza la presenza di sangue – e fu ingerita dal sacerdote celebrante la messa come aveva sempre fatto. La quarta. Nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1797 gli Astigiani – stanchi dei Savoia e stremati dalle operazioni militari e dalla crisi economica – insorsero contro il governo centrale e instaurarono la Repubblica Astese; fu innalzata la bandiera bianca e rossa. Durò solo tre giorni e i 17 capi furono arrestati, processati e condannati a morte. Asti è conosciuta nel mondo per i suoi vini e in particolare per l’Asti spumante; per l’appunto, ogni anno a settembre si organizza uno dei concorsi enologici più importanti d’Italia, chiamato Douja d’Or. Douja è il termine dialettale piemontese per indicare un antico e panciuto boccale; parimenti alla parola è legato anche il nome della maschera settecentesca Gianduja. La quinta. Il territorio di Asti è inserito nella lista dei patrimoni dell’Unesco; l’area di Canelli e Asti spumante conta 1236 vigneti coltivati a Moscato Bianco. Un pensiero va pure al suo antico Palio storico che si svolge in Piazza Alfieri nel giorno dedicato al patrono di Asti – il martire San Secondo – con una corsa di cavalli montati “a pelo”, ossia senza sella. Gli storici dicono che è più antico di quello di Siena. Così, scopriamo che la città di Asti ha avuto – tra gli altri personaggi famosi – un martire tra i suoi concittadini. Altri personaggi noti meritevoli di essere citati sono: il poeta/scrittore Vittorio Alfieri; il cantautore Paolo Conte; il comico/scrittore Giorgio Faletti; il regista Giovanni Pastrone (nome d’arte Piero Fosco); i parenti di papa Francesco del casato Bergoglio. Un mio amico astigiano – a proposito dei soprannomi dati alle città – mi disse che Asti è chiamata “Bùla di còj”; mi spiegò che tale nomignolo le fu conferito riferendosi alla sua collocazione geografica, in quanto è edificata in una conca ricca di coltivazioni agricole e di folta vegetazione. Citò anche due antichi detti astigiani. Il primo è : “sentirsi come na barca ‘nt in bòsch” che tradotto significa sentirsi fuori posto o in gravi difficoltà; il secondo è “andare a ramengo”; nasce ad Asti ed è riferito a personaggi importanti del territorio caduti in disgrazia o falliti e mandati in prigione ad Amarengo (Asti). C’è un detto che squalifica gli Astigiani: “sono cosacchi quelli di Asti, larghi di bocca e stretti di mano, ossia chiacchieroni e avari. Nei comuni vicini alla città si diceva: “se il temporale viene da Asti, prendi l’asino e togligli il basto. Se viene da Casale prendi i buoi e vai ad arare.

Tra il VI e il IX secolo Asti era il luogo di un importante ducato di origine longobarda, che iniziò la tradizione di confinare quanti avevano commesso i reati economici proprio ad Aramengo. Questa abitudine sarebbe stata portata avanti anche nei secoli successivi, pure sotto la dominazione sabauda.

La polentina astigiana, fatta con mandorle, uvetta, maraschino e ricoperta da polenta gialla.

Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello

08  agosto 2018 – GTE e AVIS ,  ce lo ricorda Andrea Andreoni 

Ambrogino d'Oro alla GTE - 1973
Ambrogino d’Oro alla GTE – 1973

30 giugno 2018 –     Gita i tesori del Polesine

Abbiamo cominciato la visita a Fratta Polesine sede della villa palladiana Badoer, detta “Badoera”. La villa presenta forme armoniche ed eleganti; al suo interno ci sono affreschi attribuiti a Gallo Fiorentino. Fa spicco la presenza di vedute urbane ed agresti e decorazioni grottesche; cito con orgoglio nazionale che è patrimonio Unesco. Il Palladio, Andrea di Pietro dalla Gondola, nelle sue creature architettoniche cerca la bellezza, la funzionalità e la vetustà. Fratta Polesine è orgogliosa della villa perché è l’unica nel territorio della provincia di Rovigo progettata da Palladio; il suddetto architetto costruiva le ville fuori dei centri abitati, ma qui ha fatto un‘eccezione edificandola nel tessuto urbano; se guardiamo la forma si presenta con una loggia ionica, una scalinata centrale a tre rampe e due barchesse ai lati. Nonostante i suoi anni a partire dal 1550, anno di inizio di costruzione, la villa si presenta ancora oggi in buono stato di conservazione. La sua salvezza dalle alluvioni dell’Adige è dovuta al fatto che è stata edificata su un terrapieno, prima sede di un castello in rovina. Meritano di essere visitati i granai del sottotetto, oggi usati per mostre. La seconda parte della giornata è stata dedicata al santuario della Vergine del Pilastrello – una statua della Madonna con Bambino in legno di olivo diventata nera a causa dell’ossidazione del materiale ligneo – nel comune di Lendinara; è un luogo di culto che attira pellegrini da ogni parte; qui vivono i monaci Benedettini Olivetani che si dedicano all’accoglienza delle persone bisognose di conforto spirituale. Ne sono testimonianza le tante fotografie appese su telai per chiedere una grazia, i tanti cuori d’argento e le prime tavolette di legno dipinte allocate sull’altare a cui si accede dal lato dell’arcata sinistra. Qui è presente una fonte di acqua benedetta e una vasca ottagonale; al suo esterno fa bella mostra un chiostro, come tutti santuari che si rispettano. Racconto la storiella del primo miracolo della Madonna Nera. Questa Madonnina apparteneva a un signore di nome Giovanni Borezzo. Nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1509 un tremendo temporale si abbatté nella zona e la statua fu strappata dalla violenza dell’acqua. Il mattino seguente un certo Matteo Brandilese trovò la statuetta su una siepe mentre irradiava nell’aria un bagliore luminoso di forte intensità. Gridò al miracolo e da quel giorno tutta la cittadinanza si recava in quel luogo in segno di preghiera. Fu così che un avvocato di nome Matteo Malmigliati – attratto anch’egli dalla luce – decise di costruire una piccola chiesetta nel punto esatto dell’apparizione. Un altro miracolo avvenne quando Matteo Borezzo decise di ristrutturare la chiesetta; l’acqua di una fonte usata per impastare la malta si trasformò in sangue. Seguirono altri miracoli, descritti nei quadri appesi in chiesa. Ora manca quello di far ritrovare la statuetta, rubata da una nicchia alle spalle dell’altare centrale e non più ritrovata. Un ringraziamento va all’associazione ALA per l’ottima organizzazione, alla guida signora Giada per la chiarezza e all’azienda di trasporti Origgi di Carugate per il servizio. Buona vita dallo scrittore Carmine Scavello (contatti: mail carminescavello@yahoo . it; tel. 349 2980359)

01 Novembre  2017  – Riceviamo dal nostro socio Carmine Scavello :

Cari destinatari,

in questo giorno speciale la Chiesa festeggia tutti i Santi, compresi quelli non menzionati nel calendario liturgico. Pertanto, auguro a tutti gli amici Buon Onomastico. Come uomo comune che vive la sua vita normale con tutti i pregi e i difetti umani, mi accingo a scrivere la presente lettera aperta per parlare di santità, un concetto che a tanti di noi può sembrare una cosa astratta e difficile da mettere in pratica se non si cambia stile di vita e modo di pensare, di ragionare e di agire. Il Santo si spoglia simbolicamente degli abiti civili e indossa quelli religiosi e comincia un percorso di vita integerrima e immune dai peccati terreni. Mi cimento in questa impresa con l’umiltà di scrittore e di osservatore della vita; non voglio dare insegnamenti profondi di cui non sono in grado di comprendere e di divulgare. E’ buona norma osservare, analizzare e comprendere il mondo che gravita intorno noi e cercare di separare il bene dal male; poi, agire da persona corretta e rispettosa del prossimo e della casa comune che ci dà ospitalità. Da ragazzo mi hanno insegnato che per concetto di moralità non si intende eseguire necessariamente cose straordinarie, ma svolgere straordinariamente bene e con amore le cosiddette azioni ordinarie. Il saggio insegna di non rimandare a domani a compiere le opere di bene che si possono compiere oggi, perché domani è un altro giorno e non ci sarebbe più tempo o perché le situazioni son cambiate. La logica mi dice di cominciare a fare prima ciò che è necessario; poi, a fare ciò che possibile fare; infine attrezzarsi e ingegnarsi a provare a fare le cose difficili. A volte, avvengono piccoli miracoli che meravigliano noi stessi; riusciamo ad arrivare dove era impensabile arrivare; la fede, la costanza e la speranza ci danno la forza nei propri mezzi di superare pure le difficoltà più impegnative della vita. In quei momenti pensiamo che non siamo soli e che c’è al nostro fianco il nostro Santo Protettore. Mi hanno posto una domanda insolita e difficile: qual è la differenza tra l’uomo invidioso e il Santo Protettore? Dopo attenta riflessione è scaturita la seguente risposta. L’uomo invidioso vuole salire sempre più in alto per scalare le vette delle classi sociali; il santo, invece, vuole scendere sempre più in basso per essere più vicino agli umili e agli indifesi. In conclusione le cose si invertono: l’invidioso scende sempre e il Santo sale sempre. Anni fa un cabarettista disse allegoricamente una sacrosanta verità: i Santi sono comuni mortali che hanno fatto carriera solo dopo la loro morte. Infatti, per il riconoscimento di santità c’è dietro un lungo processo di beatificazione dimostrata da fatti concreti e miracoli. Io dico in tutta sincerità che non sono perfetto e non sono immune da difetti. Non ho la pretesa di rincorrere la santità che non appartiene al mio modo di fare; cerco di vivere la normalità stando in pace con me stesso e col mondo.

Buona vita da Carmine Scavello

19 Giugno 2017  – Riceviamo dalla nostra Socia Carmela (Lina) D’Elia :

Invio un mio ricordo dell’ Ingegnere Francesco Francese recentemente scomparso.

Con tristezza ho appreso della sua scomparsa a funerali avvenuti.

Per anni ci siamo scambiati notizie ed auguri con biglietti di Natale, era restio ad usare il PC con la posta elettronica, ed anche il telefono cellulare in particolare.

Lo scorso Natale per lo scambio di auguri non mi è arrivato nulla da parte sua, essendo io ottimista, ho pensato all’ennesimo ritardo per un disguido postale, poi, esattamente il giorno dopo il suo funerale, ho ricevuto una telefonata da sua moglie, che m’informava della scomparsa del marito e nel fare ordine fra le sue lettere, l’ing. Francese aveva abbozzato un biglietto di auguri di Natale da inviarmi ma la malattia gli ha impedito di fare.

Che dire? Tanti sono i ricordi che ho del caro ingegner Francese, ne cito uno per tutti:

lo incontrai la prima volta nel dicembre del 1975, dopo un breve colloquio avvenuto col Signor Giamberardino per essere assunta in GTE, nella sede dell’ufficio personale di Cassina de’ Pecchi.

Fui accompagnata dalla guardia Signora Ivana Cavallari nell’ufficio dell’ingegner F. Francese responsabile anche del Laboratorio Tecnologie Avanzate.

Era un giorno particolarmente movimentato fuori dal suo ufficio, perché una parte del Laboratorio era rimasta nel capannone staccato dal nucleo centrale della fabbrica, (per tutti il Lazzaretto) macchinari e tecnici controllavano il trasloco del reparto film sottile del laboratorio, il reparto film spesso era già stato spostato ed era attivo nella sua nuova collocazione.

In più, vi era un movimento di personale che era lì per salutare un tecnico del Laboratorio che lasciava l’Azienda per un’aspettativa sindacale.

Quando l’ingegner Francese mi vide fu molto affabile, mi spiegò il motivo di tutta quella confusione, e poi mi disse: “Signorina, noi qui facciamo film”

Io pensai: accipicchia, ma dove sono capitata?

Poi nel tempo, conoscendolo meglio, capii che era il suo modo di fare trabocchetti e vedere la reazione di chi aveva di fronte.

Non mi persi d’animo e gli dissi che non capivo a cosa lui si riferisse, ma gli dissi che io amavo molto il Cinema.

Scherzando mi spiegò brevemente la tecnologia del film spesso e mi accompagnò nel Laboratorio che eseguiva questa tecnologia, mi mostrò i forni per la sinterizzazione dei circuiti, la macchina serigrafica e quello che riguardava la costruzione dei circuiti.

Fu professionale e leggero e mi mise a mio agio.Un mese dopo ero assunta in quel Laboratorio e ci rimasi fino alla sua dismissione.

Sono grata di averlo incontrato, professionalmente e umanamente mi ha arricchito.

Negli anni ci siamo sempre confrontati e rispettati, anche se in Azienda avevamo ruoli tanto diversi: lui Dirigente Aziendale ed io, operaia e militante sindacale.

Lo ricorderò con stima e affetto e ovunque, sia riposi in pace.

Cordialmente.

D’Elia  Carmela (Lina).

12 Aprile 2017  – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello :

Buona Pasqua a tutti, lettori e non.

Anni addietro il giorno dell’Epifania si facevano gli auguri di Buona Pasqua; tanti non ne capivano il motivo, ma non si tiravano indietro perché era una buona usanza augurale; non si voleva fare la figura del diverso. Allora durante la messa dell’’Epifania veniva annunciato ufficialmente il giorno che sarebbe caduta la Pasqua in quel determinato anno solare. Inoltre in quella festività si comunicava ai fedeli che Gesù si manifestava agli uomini. Il parroco della mia infanzia chiamava l’Epifania Pasqua di Natale. Nessuno lo contestava per questa affermazione, che mi risulti, per cui le sue parole erano condivise. Nel giorno di Pasqua è usanza consolidata mangiare l’agnello; si tramanda tale tradizione in ricordo del pranzo degli Ebrei, terra d’origine dei familiari di Gesù. La vera ragione si allaccia al concetto dell’innocenza: l’agnello è visto come il simbolo di colui che è senza peccato. La Pasqua è preceduta dalla Quaresima. In tale periodo ci è stato detto che era bandito mangiare uova, per chi credeva in tale ammonimento. I nonni dicevano che bastava fare il segno della croce per cancellare il peccato e mangiarli ugualmente per non morire di fame. Le uova comparivano d’incanto sulla tavola a Pasqua allo stato naturale o trasformati. Sia il Natale che la Pasqua erano e sono considerate le feste del trionfo della vita; nel primo caso è la nascita di Gesù Bambino nella grotta; poi, simboleggiata con il presepe. Pasqua celebra la Resurrezione; in pratica Gesù è come se nascesse di nuovo e tornerebbe a vivere per poi salire nel luogo celeste da cui è venuto. L’uovo simboleggia la vita; infatti ogni essere vivente del regno animale, compreso l’uomo, nasce da un uovo. E’ proprio in quell’uovo fecondo che si forma la vita. Non posso non citare la colomba. A Pasqua rappresenta il dolce della tradizione; non è un caso di contaminazione in quanto in essa si materializza lo Spirito Santo. Il giorno di Pasqua c’erano tante usanze per dare maggior valore alla festività. A tale proposito si dice che anni addietro nella provincia di Salerno i figli, nel giorno di Pasqua, baciavano i piedi al padre per chiedergli perdono per le loro disubbidienze; che in Versilia le donne dei pescatori baciavano la sabbia come gesto di ringraziamento; in Romagna si accendevano dei fuochi come atto purificatore. Ci sono riti cruenti non ancora dimenticati; uno di questi è quello dei Battenti o Vattienti. In alcune zone d’Italia meridionale, nella settimana santa tra giovedì e sabato, alcuni fedeli penitenti organizzati in gruppi si flagellano le gambe e altre parti del corpo con oggetti contundenti fino a far uscire il sangue; poi, vanno in giro per le strade del paese o a trovare gli amici a mostrare le ferite e il sangue che cola. Non è autopunizione bensì partecipazione alla sofferenza di Gesù. Pasqua è il simbolo del rinnovamento, della gioia e della speranza. Auguro a tutti che non ci sia un uovo talmente grande che possa contenervi, perché la vostra presenza è già una grande sorpresa. L’autore Carmine Scavello

21 Novembre 2015  – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello un commento sulla gita a Vicenza :

Carissimi/e,

pure stavolta l’Associazione Lavoratori Seniores d’Azienda – A.L.A. ci ha portato a visitare, conoscere ed ammirare un’altra città d’arte di notevole importanza architettonica e culturale: Vicenza. Dal 1994 è considerata con tutti gli onori patrimonio dell’Unesco, anche per merito delle ville palladiane. Questo riconoscimento le è dovuto per i suoi tesori di inestimabile valore artistico. Quasi tutti conosciamo i capolavori immortali dei grandi Maestri che qui hanno operato: i Tiepolo, padre e figlio, e Palladio. A Vicenza la loro arte è di casa per dare lustro all’Umanità della loro riconosciuta creatività e bravura. Se pensiamo a Vicenza, pensiamo anche a loro per associazione di idee. Se alziamo gli occhi vediamo l’imponente santuario di Monte Berico dedicato alla Madonna che apparve in miracolo in quel luogo benedetto ad una popolana per ben due volte. Fu grande all’inizio lo scetticismo sull’apparizione; la donna fu considerata una visionaria. Poi la miracolata fu creduta e fu costruita una piccola cappella devota sul cucuzzolo. La gente accorse numerosa e convinta del miracolo finché le autorità ecclesiastiche permisero la costruzione del santuario, che vediamo oggi in tutta la sua grandezza e splendore. Dall’alto della collina, sebbene sia chiamata Monte Berico, la Madonna veglia su Vicenza e sulla sua gente: da lassù il panorama è mozzafiato! Villa Valmarana Ai Nani ci ha affascinato con gli affreschi dei Tiepolo; le loro opere si sono salvate dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale grazie alla sagacia degli esperti in conservazione di capolavori. Su un muro di cinta della medesima erano bene in vista tante statue di nani. La guida turistica ci ha raccontato un fatto che sa di leggenda. Vi abitava, isolata dal mondo esterno, una ragazza nana, congiunta dei proprietari, circondata da altri nani per farle vivere e credere la sua normalità. Un giorno ella riuscì a mettersi in contatto col mondo esterno; vide un giovane alto e bello e se ne innamorò. Capì che la differenza fisica tra di loro era abissale e si tolse la vita, lanciandosi da una finestra. Ogni guida turistica non può fare a meno di citare il vecchio detto cucito addosso ai Vicentini, che sono chiamati mangiagatti secondo la seguente storiella o leggenda. Vicenza era invasa dai topi, che distruggevano ogni cosa commestibile, senza venirne a capo. Chiesero aiuto a Venezia che mandò in soccorso un branco di gatti. I felini assolsero il compito e nel contempo aumentarono di peso e divennero pasciuti tanto da essere appetibili. Il Doge in visita a Vicenza fu invitato a pranzo. Davanti ad un piatto succulento disse: è molto squisito questo coniglio! Un buontempone lo fermò e gli rispose che nel piatto c’era uno di quei gatti avuti in prestito e mai restituiti. A proposito di Palladio, mi ha incuriosito ogni volta la visione della Casa Bianca e del Campidoglio a Washington; c’era un qualcosa che mi sapeva di italianità. La guida mi ha dato conferma di essere opere neopalladiane. Se mi chiedeste di ritornare a Vicenza, vi risponderei di sì; in tal caso mi viene spontaneo ringraziare Tina ed Angelo per la loro scelta azzeccata. Finora non hanno mai sbagliato una meta turistica. Si considerano principianti e l’umiltà è la loro forza vincente. Bravi!

Buona vita ai lettori

Dallo scrittore, amico e collega Carmine Scavello

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03 Ottobre 2015  – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello un commento sul convegno a Verona:

Carissimi amici,
ho visitato in passato la città di Verona in più circostanze; però, credetemi, questa volta il contesto è diverso perché è cambiato lo spirito con cui l’evento si è ripetuto. Essere in centinaia non è come essere in quattro gatti! Va sottolineato il fatto che organizzare un incontro di tale eccezionale portata richiede un grande sforzo preparatorio. Immagino con un po’ di fantasia i preparativi di un matrimonio. Bisogna muoversi con molto anticipo per cercare un ristorante per centinaia di persone; preparare i tavoli; stilare gli elenchi dei partecipanti; organizzare gli interventi; affidare i compiti precisi perché ogni cosa funzioni a dovere. Vedere cinque autobus che si muovono in processione con un carico umano eccezionale alla fine riempie di gioia chi crede fermamente nell’aggregazione! Cosa spinge gli ex colleghi a rispondere all’appello degli organizzatori? Sicuramente è la voglia di rivedersi dopo un anno intero per raccontarsi le cose accadute sotto lo scorrere perpetuo del tempo. L’occasione è ghiotta e farsela sfuggire sarebbe un vero peccato. Io dico con molta umiltà e spontaneità che ogni lasciata è persa; non per altro, i proverbi insegnano. Verona è stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO; è una città dalle mille facce e dalle molteplici risorse; vi convivono modernità e antichità. La giuria mondiale ha riconosciuto il valore della sua struttura urbana ed architettonica per essere tutelato a tutto vantaggio dei posteri. I concetti di modernità e di antichità si fondono per offrire al visitatore la lungimiranza sulla fugacità del tempo e sulla caducità delle cose: rimane però intatto lo spirito di coloro che hanno fatto la storia di questa città unica al mondo. Il mito di Romeo e Giulietta non tramonta mai! Manda il messaggio che l’amore è più forte della vita stessa. Contrastare un amore è una mancanza di libertà e di civiltà, riconosciute dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; anteporre problemi economici, politici e di classe all’amore vero, sano e passionale di due giovani amanti è un’offesa al genere umano. La casa di Giulietta ricorda al mondo intero che simili offese al sentimento primordiale non debbano mai più accadere. Mi viene in mente una frase curiosa che, durante una visita guidata alla città, la buttò lì una guida turistica di buon’umore: Verona è conosciuta come la città senza case! La domanda nacque spontanea: come sarebbe a dire senza case? La donna con un sorriso compiacente e campanilistico rispose che il centro storico è ricoperto solo da hotel, antichi palazzi storici, ruderi romani e monumenti artistici. Provate a contarli se ne siete capaci: ne perdereste subito il conto; io stessa ci ho rinunciato e lo dico con umiltà; sarei superba se ammettessi di conoscerli tutti uno per uno. Dopo questa giornata fantastica ci rimarrà il ricordo di aver rivisto tante facce amiche a cui siamo legati da eterna e sincera amicizia, sentendo nominare solamente il suono del nome Verona.

Un abbraccio a tutti i lettori dallo scrittore Carmine Scavello

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30 luglio 2015 – Carmine Scavello ci scrive una lettera a ricordo del dott. Giovanni Fattore:

Carissimi familiari, amici e conoscenti del dott. Giovanni Fattore,

Valuto una cosa buona e giusta il mio gesto libero e spontaneo di dedicare un dolce e caloroso pensiero al caro e indimenticabile amico Giovanni, ora che la luce ha calato il sipario sull’ultimo atto del suo intenso vissuto. Egli ci ha lasciati in punta di piedi, per non far rumore, per intraprendere un lungo viaggio che lo condurrà lontano nel mondo dei giusti e dei beati. Io dico con umiltà che le care persone, che hanno lasciato un segno indelebile e ammirevole del loro passaggio terreno, continueranno a vivere nel ricordo perenne di chi resta.

Ci sarà sempre qualche episodio che richiamerà la sua memoria. A me personalmente basterà guardare solamente la copertina del mio terzo libro, ambientato in GTE/Siemens, per ricordarmi l’episodio curioso e divertente che ha coinvolto Giovanni, sotto forma di scherzo goliardico. In qualità di uomo di spirito e di compagnia si fece una sana risata e convenne che lo scherzo fosse stato bene organizzato e veramente divertente. Racconto questo piccolo episodio per mettere in risalto il buon clima di convivenza che egli creava intorno a lui; da buon responsabile di sezione cercò sempre l’armonia del gruppo. Intorno a lui si respirava un buon clima di amicizia e di collaborazione. Conosceva la Storia dell’umanità e noi restavamo a bocca aperta a sentirlo parlare con cognizione di causa. Ripeteva spesso che fin quando ignorava certe materie e nozioni aveva sempre lo stimolo di imparare; ricordo una sua frase che ho memorizzato e l’ho adottata: più so, meno so! La sete del sapere lo portava ad approfondire ogni argomento. D’ora in poi, se vogliamo vedere Giovanni, basta alzare gli occhi al cielo e cercare la stella più lucente: quella è la sua che brilla per noi che dirci che ci guarda dall’alto per dispensarci serenità; ne aveva talmente tanta che buona parte di essa se l’è portata con sé nel suo bagaglio delle cose più care per farla cadere sotto forma di pioggia ed irrorarci della sua bontà. Chi ha conosciuto Giovanni conserva di lui un ricordo bellissimo: un uomo così buono e virtuoso non si incontra tutti i giorni. Una persona così speciale, e alquanto perfetto, e di qualità umane, intellettive e spirituali superiori non poteva non lavorare che per il Servizio Qualità. Il suo bagaglio culturale spaziava a 360° nel campo del sapere umanistico e scientifico; non esisteva argomento che lui non conoscesse! Parlare con lui l’ho sempre considerato un arricchimento culturale. Non lo ricordo mai arrabbiato; con un sorriso cancellava ogni diatriba. Potrei pensare che controllasse il suo istinto di reazione, invece dico con lume di ragione che dava la giusta importanza a ogni evento che coinvolgeva la sua vita, sia privata che professionale. Soppesava le situazioni, anche le più critiche, e cercava la soluzione più breve ai problemi; ci riusciva perché era volitivo e concreto. Non vorrei sbagliarmi se dicessi che fosse ricco di fede; l’intuii quando parlava di sacralità con semplicità, naturalezza e libertà di pensiero. Dire solo grazie a Giovanni per i bei messaggi che ci ha lasciato è riduttivo: vorrei dire a tutti coloro che l’hanno amato che il suo amore superava il loro in quantità e qualità. Che il Signore accolga la sua anima e gli dia la vita eterna: lo merita sia come uomo che come amico. Concludo la missiva con l’auspicio fraterno che la Pace irrori la sua anima pia Carmine Scavello ( carminescavello@yahoo.it; 02 9230967; 349 2980359)

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15 Maggio 2915 – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello :

Carmine Scavello, in veste di autore, annuncia che a maggio 2015 ha pubblicato il suo terzo libro LAFABBRICA DEI RICORDI: piccole storie di straordinaria umanità industriale”Ogni opera letteraria è una creatura per chi la pensa e la scrive. L’opera in questione, formata da tanti racconti indipendenti; è un testo allegro, divertente, umoristico, allegorico, goliardico e riflessivo, quanto basta. Potrei dire che il contenuto rispecchia vagamente, a grandi linee, il mondo ilare e fantasioso di Fantozzi e Pierino. I personaggi, le storie, gli scherzi ed i fatti raccontati sono, invece, veri e riflettono la realtà di un’epoca assai vicina a chi scrive e a chi legge. Il libro rappresenta la biografia di una comunità aziendale, simile a tante, raccontata con ironia e spontanea riflessione in cui confluiscono ricordi, fatti, aneddoti, emozioni e volti. Una somma di piccole storie capaci, però, di dare un contributo alla Storia e alla Memoria. Costume, Società e modo di pensare, descritti senza cattiveria o presa in giro, riproducono fedelmente il modo di vivere di persone che convivevano ed agivano a stretto contatto e condividevano gli stessi spazi e gli stessi problemi esistenziali.

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24 Dicenbre 2014 – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello un commento sull Natale:

scavelloUna stella a Natale

Osservo sereno una Stella brillare lassù,
ove dimora perpetua l’anima dei giusti;
qui neanche tra gli ulivi c’è pace quaggiù
e troppi deboli piegano in avanti i busti.

Nonostante gli appelli non tace il cannone,

il mondo è fiducioso soprattutto a Natale;

vorrebbe il drappo della pace sul pennone

ed il trionfo del bene finalmente sul male.

Tra il povero ed il ricco aumenta la distanza,

chi potrebbe operare tende a voltare la faccia.

Si sfalda piano piano il vincolo di fratellanza

e si restituisce con rancore pane per focaccia.

Il Natale riesce a risvegliare le coscienze,

fa comprendere che il mondo così non va;

ci enuncia di appianare tutte le divergenze

e che si crea più posto spostandoci più in là.

Fino a quando l’orgoglio prevale sull’umiltà,

nessuno ci prova a compiere il primo passo;

si oscura pertanto la Luce che illumina la bontà

e l’indice dei buoni sentimenti punta al ribasso.

C’è un tempo per perdonare e mai per odiare,

spesso viene ignorata la parola del vangelo;

a Natale, però, è sempre il tempo per amare;

quando mancano i buoni contatti cresce il gelo.

E’ duro per chi soffre cercare un solido appiglio,

specialmente se prevale il sentimento di sfiducia;

c’è chi vive in miseria e ha per casa un giaciglio

e si illude appena che gli strappi egli ricucia.

Intanto la Stella Cometa illumina il sentiero

e come una freccia indica la giusta direzione;

Dio vede e provvede e ci rende l’animo leggero

e riesce ad accendere la più spenta passione.

Bisogna sempre confidare sulla nostra buona Stella,

anche se si ritiene che il mondo giri al contrario;

quando men te l’aspetti arriva una buona novella,

la speranza non esamina i giorni del calendario.

Buon Natale

Carmine Scavello – via Don Sturzo 10/C – Cernusco Sul Naviglio – MI

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18 novembre 2014 ,Gita a Roma per l’udienza col Santo Padre , Carmine Scavello:

 Carissimi amici,

mi colpì pochi anni fa la frase che pronunciò una guida turistica: tra non molto ritornerete a rivisitare Roma; non bastano pochi giorni per vedere ed apprezzare le sue bellezze e i suoi capolavori eterni. La stessa frase l’ha pronunciata Rosa Cavallaro, la guida della gita in questione. La guida di allora aveva proprio ragione; se siamo ancora qui in gita e perché non si finisce mai di conoscere fino in fondo una città immortale così artistica, storica e completa. Roma affascina con tutte le sue bellezze archeologiche e moderne e le opere d’arte che fanno dell’arredo urbano il luogo più turistico e più visitato del mondo. Il soggiorno a Roma è stato una corsa contro il tempo: in tre giorni si vedono poche opere d’arte; comunque si gettano le basi per rivedere in un secondo tempo le stesse cose e con più calma. Leggendo il titolo, lo scopo della gita è stata l’udienza col Santo Padre; il resto è stato un fantastico e piacevole riempitivo. L’incontro col papa è sempre un’emozione che rimane scolpita per sempre nella memoria. Vedere la piazza San Pietro piena di fedeli provenienti da ogni parte del mondo ci dice che c’è urgenza di pace e grande bisogno d’amore e di giustizia sociale. Il Santo Padre nel suo sermone ha ripreso più volte tali temi condivisi; dall’alto della Sua sapienza ha invitato alla fratellanza e alla giustizia nel pianeta e a una condotta di vita morale e spirituale nel segno della concordia. Tutti i presenti hanno voluto vederlo da molto vicino e immortalarlo in una fotografia per conservare il ricordo di quel giorno. Voglio spendere qualche parola sui partecipanti; tutti sono stati interessati e concentrati ad ascoltare la guida. Ci conosciamo quasi tutti; almeno il cinquanta per cento è formato da ex colleghi; ritrovarci è sempre un momento emotivo e gioioso per ricordare i vecchi tempi. E’ vero siamo cambiati nel fisico, ma nello spirito siamo rimasti i ragazzi simpatici di sempre. Ci siamo sentiti in buone mani, quelle accoglienti di Tina e di Angelo. Entrambi hanno dato un senso di sicurezza come capi gruppo; devo dire doverosamente che Tina durante il viaggio in pullman ci ha viziati: è passata una volta con le caramelle alla frutta, un’altra con quelle alla liquirizia, un’altra con un pezzetto di torta, altre due volte con i biscottini danesi. Sono stati molto attenti che tutto si svolgesse nei programmi stabiliti. Li ringrazio anche per il pasto del ritorno a base di pizzette e panini. E’ stata molto interessante la visita di Roma di notte in autobus accompagnati dalla guida Rosa. Abbiamo visto di corsa quartieri fuori dai circuiti turistici; la guida per dovere di cronaca ci ha spiegato le cose belle e quelle brutte di Roma. Se dovessi fare una classifica dei luoghi più belli visitati, a parte i più importanti in assoluto, mi troverei in difficoltà. Ogni monumento, ogni chiesa, ogni statua ha una propria storia ed è unica nel suo genere. All’uscita dell’albergo, appena salito sul pullman, ho visto la fiancata di una Smart con la scritta “Ciao Roma”: è stato un segno premonitore per dirci ritornate presto! A parte un paio di persone che hanno visitato Roma per la prima volta, gli altri ne erano turisti veterani.

 Carmine Scavellovia Don Sturzo,10/C – Cernusco Sul Naviglio

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05 ottobre 2014 – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello un commento sul convegno 2014  di Mantova  :

Carissimi/e,

lasciatemi esprimere il mio libero pensiero che ritrovare il gruppo ogni volta rappresenta un momento di gioia che non ha prezzo. Quando vivevamo in fabbrica, gomito a gomito non c’era quest’esigenza in quanto ci vedevamo spesso e la vita scorreva lentamente ed inesorabile. Ognuno si dedicava alla propria attività lavorativa come se fosse stato su un ramo di un grande albero, paragonabile all’azienda. Le occasioni di incrociarci erano abbastanza frequenti in quanto le portinerie, la mensa, i larghi e lunghi corridoi e i punti ristoro erano comuni e molto frequentati durante le pause di lavoro. All’entrata ci sparpagliavamo come tante formichine e ci impegnavamo affinché il reparto imballaggio fosse stato sempre rifornito di apparati, pronti a seguire lontane destinazioni nelle varie parti del mondo. In quegli apparati c’era tutto il nostro orgoglio di fabbricanti di prodotti tecnologici altamente qualificati: ognuno di noi, nel suo piccolo e nelle sue funzioni competenti, contribuiva al successo commerciale del nostro rinomato marchio. Andare a festeggiare la nostra annuale rimpatriata a Mantova, o in un’altra città, ha poca importanza rispetto allo spirito vitale che ci accomuna. Tutto diventa un corollario in confronto al centro dell’iniziativa, che rappresenta il motivo primario di incontrarci.Dobbiamo ringraziare vivamente il gruppo organizzatore per l’immane lavoro che esige la realizzazione di un evento di così grande portata. Il consiglio sceglie ogni anno una meta diversa per soddisfare la nostra sete di curiosità e di cultura. Dico volutamente ben poco sui luoghi visitati perché ognuno, per suo conto, si può documentare sul sito prescelto. Sostengo a titolo personale che se l’ALA decidesse di rifare il prossimo anno il convegno a Mantova ci ritornerei di corsa. Intanto si potrebbero scegliere gli altri due itinerari sui tre non scelti quest’anno. Sarebbe, comunque, una situazione diversa ogni volta per il fatto che le circostanze sarebbero differenti a cominciare dal discorso, dal menu selezionato, dalla compagnia del tavolo e, non ultimo, dallo spirito del momento. Faccio volutamente quest’affermazione provocatoria per mandare il messaggio preciso di mettere al primo posto l’opportunità offertaci dall’ALA di farci incontrare.Tutto il resto è cornice, il quadro è il nostro incontro. Ho sentito casualmente lamentele, poche per fortuna, sul cibo e sul posto. Io quelle persone le metterei al posto dell’ALA ad organizzare una così bella giornata e poi starei a vedere il loro risultato. A criticare siamo buoni tutti, a fare sono buoni solo pochi! E’ un peccato mortale parlare male di chi ci mette la faccia e l’anima perché tutto fili liscio e alla perfezione. Bisogna premiare la buona volontà di chi sta dietro le quinte col loro invisibile lavoro: non sono operatori turistici, bensì sono solo degli onesti, attenti, bravi e scrupolosi volontari che mettono a disposizione degli altri tempo prezioso ed energie vitali. Secondo me quella gente criticona non si domanda quanto tempo e impegno ci vogliono a tenere i contatti con tutti gli iscritti, a prenotare ristoranti, autobus e scegliere la giornata giusta. Dico: Signore perdona quelle persone incontentabili; mentre tutti in coro dovremmo urlare con tutto il fiato che abbiamo in corpo: ALA, grazie di esistere!

Un abbraccio caloroso a tutti dal vostro amico Carmine Scavello

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31 Marzo 2014 Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello il seguente scritto :

Gita al Castello di Govone e Alba del 30 marzo 2014

Carissimi soci/e dell’ALA (e aggregati),

non mi stancherò mai di lodare l’impegno di Tina Marcantonio e Angelo Allevi nell’organizzare gite dall’esito scontato. Anche stavolta, tutto è filato liscio come l’olio: nessun intoppo o imprevisto hanno ostacolato il loro magnifico operato. Devo ringraziarli soprattutto per le scelte originali dei luoghi da visitare e per i ristorantini accoglienti dal menu che incontra i gusti della maggior parte dei partecipanti. Il castello è l’attrattiva principale di Govone. Se l’Unesco l’ha dichiarato patrimonio dell’umanità, concordo con questa scelta azzeccata che fa onore a tutto il popolo italiano e al suo vasto patrimonio. Dire che tutti i castelli si somigliano, non mi trova d’accordo: ognuno ha delle caratteristiche che lo contraddistinguono dai loro simili, si fa per dire. Ci aspettavamo una fioritura abbondante di tulipani, di origine persiane, tale da coprire di rosso tutta l’area piantumata con tali bulbi; invece le condizioni climatiche del periodo precedente ne hanno ritardato la crescita. Ad ogni modo qualche esemplare fiorito qua e là ha reso l’idea della bellezza straordinaria della loro corolla vermiglia. Il castello conserva poco dell’originale ricchezza artistica; alla base dello spoglio ci sono come sempre fattori economici. Il tempo e l’incuria umana hanno fatto il resto: una macchia diventa una chiazza, un foro diventa una voragine. Adibire i locali a scuole statali o a uffici pubblici senza un controllo ferreo e un’educazione mirata ha fatto sì che volontariamente o involontariamente si fossero arrecati danni agli arredi e alle pareti, che conservano un patrimonio inestimabile. I ragazzi, da che mondo è mondo, scrivono sempre sui muri! Sono rimasto colpito dalla prospettiva degli  affreschi angolari di una sala importante; quelli sopra la testa dell’osservatore si vedevano meno estesi di quelli opposti. Magia, no; è solo bravura! Gli affreschi, i quadri e i pochi mobili, comunque, sono degni di essere visitati. La guida ha avuto la brillante idea di  mostrarci con una luce laser i particolari che descriveva, aiutandone la comprensione. Le seti cinesi, che tappezzavano i muri delle stanze destinate a salotti, mi hanno tanto affascinato. Peccato che nessuno si sia preoccupato del loro valore artistico e unico nel suo genere! La finestra rotta e mai riparata ha creato un danno incalcolabile: sarebbero bastati due vetri e poche ore di lavoro di un falegname per evitare tale scempio. Come anche, chi ha trafugato qualche pezzetto di tappezzeria forse l’avrà buttato col tempo nella spazzatura, non conoscendone il reale valore artistico. Mentre ci recavamo al ristorante Bela Vista sono rimasto rapito dal territorio argilloso coltivato a vigneti ordinati e curati. Il culto del vino trova molti aderenti nella popolazione locale, non solo per il reddito quanto per la cultura trasmessa dai loro avi in senso verticale. La visita di Alba ha completato una giornata nata bene e finita nei migliori dei modi. La guida Patrizia è stata brava! La città dalle cento torri mi ha entusiasmato positivamente per i suoi residuati storici. I Romani vi hanno lasciato tracce della loro fiorente civiltà. Le chiese sono di una straordinaria bellezza; sono uniche nella loro costruzione e negli arredi artistici. Alba è famosa per la raccolta dei tartufi. Una fiera a cadenza regolare esalta questi gioielli culinari che fornisce il territorio, insieme ai vini pregiati e alle nocciole. La Ferrero, che fa di Alba la sua sede naturale, porta ricchezza alla popolazione e trasforma le nocciole nella prelibata crema dolciaria Nutella, famosa in tutto il mondo. Qui, sacro e profano si fondono in un intreccio che fa della città un luogo vivibile a misura d’uomo; la verde e fertile campagna circostante la cinge in un abbraccio.       Socio e amico Carmine Scavello

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20 Giugno 2013 Riceviamo dai nostri Soci Carla e PierGiorgio Merlano il seguente scritto :

APPUNTI DI VIAGGIO del Gran tour del Portogallo dal 1/6 al 7/6/2013

Il primo giugno ci incontriamo al check-in dell’aeroporto di Linate presso i banchi della linea  TAP airlines con gli amici partecipanti provenienti da Cassina de Pecchi; è un incontro piacevole, scambiamo calorosi saluti ed abbracci con amici ed ex colleghi che non vediamo dallo scorso anno in occasione del tour della Sardegna.

Partiamo in perfetto orario, voliamo sopra le nuvole attraverso la Francia e la Spagna.

In prossimità di Lisbona il cielo si rasserena e possiamo ammirare dall’alto la città.

Arrivati in aereo nella città di Porto incontriamo Sara, giovane guida molto preparata che ha saputo farci apprezzare le bellezze del Portogallo illustrandocene la storia dal periodo romano, alle conquiste marinare e coloniali fino ai giorni nostri, che per loro sono particolarmente critici.

Nella città di Porto abbiamo visitato la chiesa sconsacrata di San Francesco, edificio gotico con altari scolpiti in legno ricoperti da centinaia di chili di lamine d’oro.

Nella bella città di Porto, situata sul fiume Douro si è fatta una mini crociera che ci ha consentito di ammirare bellissimi ponti tra i quali quello progettato da Eiffel.

La nazione portoghese è prevalentemente cattolica e ricca di santuari tra i quali abbiamo visitato il Bom Jesus do Monte con le sue celebri scale che formano la Via Crucis; il Convento di Cristo con sette chiostri e la famosa finestra in stile Manuelino, una esuberante architettura decorativa subentrata al gotico e creato in onore del Re Manuel I.

Momenti di intenso raccoglimento sono stati vissuti con la visita al Santuario Mariano di Fatima.

A Lisbona eravamo alloggiati all’albergo Real Parque situato di fronte all’ambasciata vaticana.

La città sorge sulle rive del fiume Tago presso l’estuario nell’oceano Atlantico, qui abbiamo ammirato la Torre di Belem quale simbolo di Lisbona perché unica costruzione sopravvissuta al disastroso terremoto del 1755.

Di fronte a questa Torre abbiamo visitato il Monastero dei Jeronimos iniziato dal re Manuel I per consacrare la scoperta della rotta alle Indie di Vasco de Gama;  questo monastero e’ divenuto successivamente il Pantheon delle famiglie reali portoghesi.

Non va dimenticata la visita a Sintra, grazioso paese sede della residenza estiva dei sovrani portoghesi; interessante è stata anche la visita del palazzo ricco di mobili e di vari arredi del tempo passato.

Siamo stati inoltre a visitare il promontorio Cabo de Roca il punto più occidentale del continente europeo.

Prima di concludere questi appunti non dobbiamo dimenticare l’ospitalità degli ottimi alberghi e ristoranti con i succulenti piatti prevalentemente a base di pesce (baccalà) preparati in tantissimi modi  ed accompagnati da ottimi vini bianchi e “tinti”.

Carla e Pier Giorgio Merlano

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22 Marzo 2013 Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello questi due scritti :

Una poesia e un Augurio di Buona Pasqua per tutti noi.

 

Vivere la Pasqua

 Annuncia la Pasqua l’ulivo rigoglioso,

mentre la natura intorno è tutto un rifiorire.

Le campane preparano un concerto gioioso,

la buona novella vogliono a tutti riferire.

 

Sul cornicione un passero sembra triste,

alla mera notizia che un Giusto è morto;

una rondine lo rincuora, perciò desiste,

capisce allora che in cielo ora è risorto.

 

Si scoprono i vasi col grano germogliato,

si toglie dalle statue il greve drappo nero.

Il Verbo è compiuto come annunciato,

si apre il sipario e si svela il mistero.

 

Ritorna nei cuori la gioia dopo la passione,

la sofferenza prese il posto della contentezza.

La vita trionfa e alla morte spunta il falcione;

indica la direzione che porta alla salvezza.

 

La leggerezza dello spirito rende più felici,

si mette alle spalle quel tribolato calvario,

per essere puri si fa pulizia alle radici;

si spinge il carretto sul giusto binario.

 

Chi sente la Pasqua asseconda l’umore;

sa che spesso si condanna un Innocente;

sa che la ragione cede il passo al livore,

quando la condotta diventa indecente.

 

A Pasqua è doveroso brindare alla vita,

la mente dev’essere sgombra da cattivi pensieri.

Si mette un cerotto per nascondere ogni ferita,

si apre la gabbia dei propositi tenuti prigionieri.

 

Buona Pasqua

Carmine Scavello

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Carissimi,

la Pasqua si presenta come un inno alla vita che si prende la rivincita sulla morte. Guardando il crocefisso, quasi ci sentiamo in colpa per aver causato quella passione  assurda e violenta. Se provassimo ad immedesimarci per un attimo, un brivido salirebbe lungo la schiena al pensiero che un Innocente abbia sofferto per noi. Ma era stato scritto nelle Sacre Scritture e quindi doveva compiersi per rispettare il volere del Padre. Sono tre i momenti fondamentali che celebra la Pasqua: la Passione, la Morte e la Resurrezione. Ho assistito in più di un’occasione alla recita dal vivo della passione e nel momento culminante della scena finale sembrava che il cielo si oscurasse all’improvviso. Era un segnale preciso che veniva da lassù per farci riflettere sulla nostra condotta di vita. Eppure la giornata era soleggiata e nulla faceva presagire un cambiamento repentino del tempo! Un tema che faceva riflettere era quello del tradimento. E’ triste accettare il concetto che un discepolo potesse tradire il Maestro per trenta sporchi denari. Tradire la fiducia del Messia è una grande mancanza di rispetto e nel contempo il messaggio che la verità si viene a sapere. Il denaro guadagnato illecitamente brucia nelle mani e viene sperperato con la stessa facilità e velocità con cui è guadagnato. Quanti Giuda vivono introno a noi? Si spera sempre che dai falsi amici ci guardi Dio. I nemici, per quanto siano cattivi e sgraditi, ci danno la forza e la volontà di affrontarli lealmente. La Pasqua ci dà tantissimi spunti di riflessione. Quello che ci porta allegria e spensieratezza è la Resurrezione. Quante volte siamo caduti e poi ci siamo rialzati! Ci è capitato di perdere una battaglia, ma poi abbiamo gioito a vincere la guerra. Per cogliere la rosa spesso ci si punge con la spina; ti accorgi che la gioia del fiore nasconde il dolore procurato dall’aculeo. Ogni volta è come rinascere e ricominciare daccapo con più grinta e più passione. La sofferenza è come quel male che non viene per nuocere, ma per darci il coraggio di guardare in faccia la realtà e far crescere una rosa nel deserto. Quando diciamo che ognuno ha la sua croce intendiamo dire che i problemi non mancano per nessuno; cambia solo il giudizio personale. Un sasso può essere visto come un macigno e lo stesso come un granellino. L’ottimista e il pessimista hanno due angoli di visione differenti. Se guardano lo stesso oggetto con un cannocchiale, da un oculare lo vedono lontanissimo e dall’altro invece vicinissimo, eppure l’oggetto non si è mai mosso! Ciò a grandi linee ci dice che la verità sta sempre nel mezzo. La Pasqua ci mostra la contraddizione della vita e della morte ed entrambe sono superate dalla Resurrezione. I primi due concetti sono di facile interpretazione perché l’uomo ci convive, essendo nomi astratti che assumono significato concreto. La Resurrezione è il miracolo che si compie per dare un senso alla missione di Gesù sulla terra per portare la salvezza dell’uomo dal peccato. Il Suo sangue non è stato versato inutilmente, bensì per la redenzione della vita eterna. La chiesa con la festa della Pasqua festeggia il ciclo finale dell’avventura terrena del Figlio di Dio; è un evento che ci fa vedere Gesù come un Fratello e non come un’entità celestiale. È un Uomo come noi in carne ed ossa che ha sperimentato direttamente tutti i difetti dell’umanità: ha conosciuto la derisione, ha compreso il tradimento, ha toccato con mano la cattiveria, ha subito un ingiusto processo, ha visto in faccia la morte. Poi è risorto!

Buona Pasqua

Carmine Scavello

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18 Dicembre 2012 Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello questo scritto :

Gita a Ornavasso, alla vera grotta di Babbo Natale, e alla città di Intra,

del 15 dicembre 2012.

Carissimi……, con la gita odierna la nostra Associazione chiude in bellezza l’annata 2012. Il bilancio è decisamente positivo; d’altronde, non potrebbero esserci dubbi quando la squadra funziona a puntino. Si è scelto Ornavasso per stare nel clima giusto natalizio; questa suggestiva località, situata nella valle bagnata dal fiume Toce, è la sede della “Vera Grotta di Babbo Natale”. E’ ammirevole la creatività umana: sa trasformare una cava di marmo, ormai esaurita, in un’attrazione turistica. Rifacendosi alla tradizione nordica lappone, si è creato un percorso immaginario di Elfi e Twergi, personaggi fantasiosi legati alla tradizione natalizia, nel bosco incantato che conduce alla grotta: un’ampia caverna con un corridoio di circa duecento metri che termina in un’incantevole salone rivestito di marmo rosa dal pavimento alle pareti. Al centro, accoglie i visitatori, muniti di caso giallo, un Babbo Natale in carne ed ossa, con al fianco un Elfo nelle vesti di una ragazza, seduto su un trono. Riceve le letterine con i desideri dei bambini per assecondare la loro innocenza; in cambio dona un oggettino tipico in legno, prodotto nella zona. Per un attimo gli adulti ritornano bambini per farsi fotografare in quella cornice abbellita da grandiose proiezioni architetturali a contenuto natalizio. In quella cava si è estratto per lunghissimi anni il famoso marmo rosa con cui sono stati abbelliti il Duomo di Milano e la Certosa di Pavia. D’ora in poi è un buon motivo pensare al duro lavoro, in condizioni alquante disagiate, di quei lavoratori ogni volta che si entra in uno di dei due luoghi sacri su citati. Chissà che sforzo immane era compiuto per portare alla meta quel tesoro di roccia pregiata! La salita e la discesa sono facilitate dal trenino “Renna Espresso”, che si inerpica come un bruco. Su una terrazza panoramica, capolinea del trenino è situato il santuario della Madonna della Guardia al cui interno è allestito un presepe in movimento di un centinaio di metri quadrati; si pensa sia uno dei più grandi d’Italia. Il paesaggio ornavessese ha offerto vedute incantevoli: cime di montagne innevate di stagliavano in un cielo azzurro e limpido; la natura si è divertita con la roccia a creare strutture pittoresche. Quello stesso scenario si poteva osservare stando seduti al ristorante “Lago delle rose”; qui si è fatta una piacevole sosta gustativa, dopo la passeggiata tra i mercatini di Natale di Ornavasso. Pinocchio di legno era la statuetta più esposta per attirare l’attenzione sulla verità: quei fabbricanti alludono alle bugie che si dicono. Il momento culturale si è completato con la visita alla cittadina di Intra, letteralmente “tra”, terra fra due fiumi. Ebbe grande fortuna economica con l’espansione delle fabbriche tessili di industriali tedeschi che qui potevano sfruttare l‘energia cinetica prodotta dall’acqua convogliata dei due fiumi delimitanti i confini. Non scorreva buon sangue con gli abitanti di Pallanza e non era raro assistere a lanci di pietre tra i contendenti. Intra merita una visita per le sue vie centrali strette e caratteristiche. Peccato che amministratori ottusi negli anni del dopoguerra abbiano distrutto cimeli antichi, come un castello e una casa canonica annessa alla basilica di San Vittore, per far spazio a costruzioni moderne; spesso le banconote funzionano come ottime bende!

Carmine Scavello

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22 Ottobre 2012 Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello questo scritto :

Gita al Sacro Monte di Varallo Sesia e Santuario di Oropa 20/10/2012

(Impressioni e arricchimento suscitati dalla magia e sacralità di quei luoghi santi)

Carissimi………, ogni occasione di stare insieme è un momento sano da vivere come socializzazione e di rafforzamento dei vecchi legami che il tempo, a volte, attenua fino a farli sparire; se, poi, oltre alla componente umana c’è pure quella spirituale il connubio vale di più. Non è una regola, ma c’è un detto che dice il sole scalda chi vede. È il caso di questa gita meravigliosa che lascia in ognuno dei partecipanti un ricordo perenne. Visitare da vicino e toccare con mano e con gli occhi le realtà dei luoghi sacri ci fa vedere la fragilità umana, quando non è supportata degnamente da un comportamento ligio ai doveri materiali, spirituali e civili. La cosa che più risalta è quella che i luoghi di preghiera e di pellegrinaggio siano situati in zone dove la bellezza del creato raggiunge l’apice di gradimento e di raccoglimento; generalmente, cielo e terra si toccano per far sentire più vicina la presenza di Dio. Dall’alto tutto ciò che sta in basso appare piccolo; la superbia di chi si crede grande viene vanificata da quella visione mistica di grandezza che è la natura del luogo stesso, scelto a simboleggiare il concetto di purezza di Colui che si eleva. Colpisce la scelta di quella rupe impervia, quasi irraggiungibile, e di quella gola scavata tra le montagne, come nel palmo di una mano. Penso per un attimo alla fatica che faceva il pellegrino a scalare quell’irta salita e poi, una volta arrivato in cima, sentirsi quasi in paradiso. La pace e il silenzio che si respirano in quegli angoli di paradiso terrestre sono unici. Passare di cappella in cappella è come leggere un libro ed ognuna di esse è come un capitolo. La sequenza non è casuale, ma studiata con un ordine cronologico e preciso perché il visitatore possa essere attratto a rivivere la storia della Casa di tutti e dell’umanità. In ogni teca ogni personaggio è rappresentato come un’opera vivente. Pregi e difetti dei protagonisti non sfuggono ad un occhio partecipe; dei veri artisti si sono immedesimati in quello che stavano creando, mettendoci tutto il sentimento che suscita la scena nel complesso. La realtà della vita spesso distrae dai buoni sentimenti; ogni tanto ci vuole una boccata di aria buona per leggere nei nostri cuori. La visita ai due santuari è stata, presumo per la quasi totalità dei presenti, un’autocritica del nostro modo di vivere. Per vedere la bellezza di un quadro o di una scultura, solo per l’arte che rappresenta e non per il sentimento che suscita, sarebbe meglio andare in un museo; in un luogo sacro si entra con un altro approccio. All’ingresso vedo una scritta immaginaria: entrate in pace! La legge solo chi è predisposto all’incontro con Coloro che crede di incontrarVi. In questi ambiti si respira un’aria che sa di pace e di giustizia; i Personaggi Celesti, qui rappresentati, scendono al livello umano, acquistando le stesse sembianze per essere come uno di noi. Su alcuni muri interni dei due santuari sono appesi tanti messaggi di ringraziamento sotto forma di quadri, disegni, cuori d’argento, magliette o altri oggetti personali e comuni; la fede si manifesta anche in questi piccoli gesti d’amore, insignificanti per taluni, ma grandi per chi crede con la convinzione dell’esistenza di un Essere Superiore. La Madonna traspare in ogni scena nella Sua semplicità di mamma di tutti, credenti e non; la Sua bellezza celestiale la leggo in ogni volto di mamma che si fa in quattro per i suoi figli. Mi rimane un mistero, non chiarito, su quel colore nero che dipinge interamente il Suo corpo della statua di Oropa; cambia poco; quel che è più importante, invece, è il messaggio che ci manda di volerci bene come fratelli e figli Suoi.

Carmine Scavello

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01 Novembre 2011 – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello questo scritto :

Visita al Parco Nazionale delle Incisioni Rupestri in Valle Camonica del 29 Ottobre 2011

Questa giornata favolosa è da aggiungere senza esitazioni alle altrettante belle che ci ha proposto il gruppo Ala. Non è facile scegliere una meta e diamo atto ai nostri amici Tina ed Angelo che hanno fatto centro come al solito. Una lezione di storia fa bene allo spirito ed alla conoscenza; due ottime guide ci hanno illustrato con dovizia di particolari un museo all’aria aperta, ben conservato ed architettato per essere osservato su comode passerelle di legno. Il paesaggio circostante era ammirevole: lungo un lastricato principale, che saliva, ogni tanto si aprivano finestre tra le fronde degli alberi sul Pizzo Badile e la Concarena, nonché sul comune di Capo di Ponte, con le sue frazioni, adagiato nella vallata sottostante e rinfrescato dal fiume Oglio. Abbiamo conosciuto il popolo dei Camuni e siamo rimasti affascinati dalla loro appassionante storia. I Camuni, originali e creativi, ci hanno lasciato una testimonianza della civiltà preistorica in Italia mediante affascinanti incisioni rupestri sulla dura roccia. La natura ha offerto loro un ambiente ospitale, creato dal ritiro dei ghiacciai, dove vivere e progredire e delle “lavagne” naturali dove esprimere il loro pensiero. Scene di vita quotidiana ricavate con strumenti rudimentali sono immortalate sulla pietra per lasciare ai posteri un segno della loro presenza sul territorio. E’ da ammirare che i popoli succeduti non hanno distrutto ciò che hanno trovato per non cancellare la memoria, ma hanno aggiunto essi stessi altre immagini significative per continuare la storia. Infatti, accanto ai graffiti più antichi e più rudimentali se ne ammirano altri di fattura più pregevole; col tempo si sono affinate le tecniche di incisione con altri strumenti più efficaci, tipo di metallo o di pietre più dure. Le guide con l’ausilio di un bastone e senza scarpe, per rispetto o per non danneggiare la superficie incisa, indicavano le sequenze riprodotte; in apparenza le figure sembravano disposte là alla rinfusa, ma credo che un nesso logico ci sia stato; nulla nasce per caso e sicuramente quegli artisti comunicavano stati d’animo, speranze e momenti di vita quotidiana. Le loro opere erano alla luce del sole perché tutti potessero ammirarle e rendersi orgogliosi dell’appartenenza. Gli studiosi con tanta pazienza e molta approssimazione hanno capito il messaggio di quegli uomini: sicuramente i Camuni volevano ringraziare le divinità firmando il loro pensiero con un patto incancellabile. Cacciatori e cercatori di cibo, prima, attraverso le loro vicende raccontate sulla roccia, come in un libro aperto, hanno lasciato il segno dell’intelligenza umana che sfrutta le risorse naturali in modo intuitivo e costruttivo. La vita di società ha insegnato a quegli uomini saggi che uniti si vince ed insieme si raggiungono grandi traguardi; la caccia organizzata in gruppo, la coltivazione della terra, l’opportunità di sfruttare meglio le risorse naturali, la difesa del territorio e la socializzazione hanno migliorato la qualità della vita e rafforzato i vincoli di appartenenza. Ho immaginato per un attimo uno sciamano o sacerdote che munito di un rudimentale scalpello scegliesse il posto giusto dove sviluppare la sua creatività. E se fosse stato un lavoro di squadra? Non è escluso, secondo un mio personale parere. Forse il rapporto maestri e discepoli esisteva già allora e presumo che ci sia stato un lavoro di insegnamento più che di manovalanza intesa come servitù. I gitanti ascoltavano a bocca aperta le due guide ed erano fieri di quegli uomini che, pur vivendo in condizioni proibitive, hanno gettato le basi della storia umana. Grazie all’intuizione della comunicazione non verbale tanti fatti vissuti sono arrivati fino a noi nella fedeltà per lasciare una traccia del passaggio delle generazioni passate: quel che è scritto rimane, quel che viene tramandato a voce subisce alterazioni e stravolge la verità delle cose. A fine visita, tutti noi partecipanti abbiamo conservato un ricordo che ci accompagnerà nella memoria. Un autoesame, a volte, ci aiuterà a superare una difficoltà della vita corrente, pensando all’esistenza di quegli uomini primitivi  che si aggrappavano alla fede in un essere superiore ed allo spirito di conservazione della specie. Anche il più scettico si porterà dietro la consapevolezza che arrendersi vuol dire rinunciare alla vita; la civiltà si raggiunge a piccoli passi e questa è la missione del genere umano. Ci sono state e ci saranno cadute, ma ogni volta sulle ceneri è nato e nascerà il fiore della speranza. Se qualche volta ci lamentiamo del superfluo, quegli uomini non avevano neanche il necessario; eppure abbiamo seguito a camminare su quello stesso terreno su cui essi hanno lasciato le loro orme ed indicato il percorso comune dell’umanità fin dalla sua nascita. Apro una piccola parentesi sul pranzo. Non voglio esagerare se affermo che il ristorante “ Cristallo”in località Croce di Salven di Borno è quello che finora ci ha offerto il miglior servizio delle gite giornaliere. Qualità e quantità dei cibi e delle vivande hanno soddisfatto i palati più esigenti; siamo stati trattati veramente bene e la padrona merita i nostri elogi. Chi si lamenta commette peccato! Abbiamo chiuso in bellezza la giornata conciliando il sacro con il profano, con la visita al santuario dell’Annunziata. Nella chiesa con tutti quegli scheletri e teschi si respirava il clima della nostra limitatezza. Mi ha colpito una frase impressa su una targa “polvere sei e polvere diventerai”; invitava ad una vita più parca e regolare nel rispetto divino ed umano. Mi sono, poi, rallegrato alla vista di uno stupendo presepe che rappresentava la Natività in un susseguirsi di luci e di ombre legate al sorgere ed al tramontare del sole in un intreccio di personaggi umili e regali che facevano da contorno alla grotta. Dico con gioia e con libertà di pensiero che la gita mi ha documentato e divertito; inoltre ho potuto salutare vecchi, aggettivo qualificativo non legato all’età ma temporale, colleghi con cui ho condiviso un pezzo della mia vita.

Grazie a tutti

Carmine Scavello

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11 Luglio 2011 – Riceviamo dal nostro Socio Carmine Scavello questo scritto :

Gita al Lago di Como del 2 Luglio 2011

Il tempo ci è stato alleato e ci ha riservato una delle più belle giornate soleggiate, ventilate e fresche dell’anno: la gita è cominciata sotto i migliori auspici. L’organizzazione come al solito è stata perfetta, grazie all’abnegazione, alla simpatia ed alle premure di due collaudati organizzatori, Tina ed Angelo. Como ci ha accolto a braccia aperte ed ha messo a nostra disposizione il suo potenziale turistico e ricettivo. Una bella fanciulla comasca ci ha fatto da cicerone per l’intera giornata, sia a terra che sul piroscafo Concordia, uno dei primi ancora in attività e funzionante con le ruote a vapore. Al suo interno è perfettamente visibile tutto l’apparato motorio ben conservato e lucido, come se il tempo non fosse mai trascorso. La guida ci ha sistemati nel punto migliore di osservazione, ossia a prua, e ci ha deliziato con una spiegazione chiara e precisa sulla storia del lago, sulle ville, sui personaggi che le hanno abitate nei secoli e sui paesi rivieraschi. Tutti con gli occhi puntati sulle indicazioni della guida non facevamo in tempo a distrarci e ad annoiarci perché le meraviglie da vedere erano tantissime. Un cielo limpido ed un’acqua azzurra facevano da cornice al verde intenso delle foreste che scendevano dai pendii e si buttavano nelle limpide acque del lago. In quel momento passato e presente si fondevano in un’atmosfera di bellezza ed eleganza. Principi, regnanti e persone baciate dalla buona sorte hanno ed hanno avuto la fortuna di vivere in un luogo che fa onore al Creatore per aver modellato un angolo di natura così bello e suggestivo da non temere confronti. Personaggi che hanno fatto la storia hanno soggiornato in quelle ville per ritemprarsi dalle fatiche, per comporre opere e per prendere decisioni. Oggi uomini rampanti e con le tasche piene di soldi vengono a popolare quelle coste per ostentare la loro ricchezza e godersi un relax da sogno. Una di quelle attrattive che non sono passate inosservate è stata la villa di George Clooney: si è tanto parlato in questi ultimi tempi del personaggio e della love story con la Canalis; qualche burlone del gruppo diceva di vederlo affacciato ad una finestra della villa ed altri boccaloni scrutavano l’orizzonte per inquadrarlo. Dopo la traversata del ramo di Como in corrispondenza di quello di Lecco si è presentato un quadro stupendo della natura; in lontananza si vedevano le cime delle Alpi e delle Prealpi che facevano da sfondo al paesaggio già incantevole per sé stesso. La guida ci ha confortato dicendoci che il giorno prima c’era foschia e non si vedevano le montagne; un altro buon segno della riuscita della gita. Dopo la traversata, un piccolo languore alla stomaco è stato sedato sul terrazzino del ristorante Suisse a Bellaggio con un pranzetto allietato dal panorama sul lago; già quella veduta meravigliosa faceva passare in secondo ordine le pietanze servite da personale gentile ed efficiente. Qualche maschietto si è lustrata la vista osservando con la coda dell’occhio i corpi al sole di alcune fanciulle straniere che prendevano il sole in bikini su un terrazzino adiacente. Dopo il caffè si è ripreso il viaggio per Como, ancora il traghetto per Cadenabbia e poi sul pullman ancora insieme alla guida che ha continuato il discorso via terra illustrando le chiese incontrate lungo il cammino e citando piccoli aneddoti e storie di viandanti, pellegrini, trafficanti e contrabbandieri legate ai paesi incontrati. A questo punto dopo ore stando seduti, abbiamo alzato i tacchi per visitare la città accompagnati dalla simpaticissima guida del mattino. Molto interessante è stato il Duomo e tutta la sua storia sulla costruzione: mi ha colpito il fatto che è una chiesa senza campanile, ma sfrutta quello del Broletto; le statue di Plinio il Giovane e Plinio il Vecchio inserite in un contesto sacro sull’ingresso principale rappresentano l’amore ed il rispetto dei comaschi verso i loro celebri antenati; il rosone è indescrivibile con le mie umili parole. Como è legata al suo patrimonio romano ed alcuni resti importanti ne sono testimonianza di fede e di fierezza di appartenenza. La sua fortuna è stata la vicinanza al confine svizzero e non ha subito i bombardamenti della Grande Guerra. Noi milanesi di nascita e di adozione siamo andati a Como col ramoscello d’ulivo in segno di pace, cancellando gli antichi rancori tra le due città. Il bel ricordo di Como sarà legato in futuro alla nostra riuscitissima gita.                                                             Carmine Scavello